10 gennaio 2008

Ban poco chiari su battleknight.it


Questa che sto per raccontarvi è una delle truffe telematiche più assurde e pazzesche che abbia visto. Si tratta di una browser game gratuito(per modo di dire) www.battleknight.it (di Gameforge, ndr). Si controlla un personaggio e lo si fa crescere con dei parametri a proprio piacimento.

Io già un anno fa giocavo a questo gioco con un nome utente"DEVILMAN" e ho ricevuto un banning permanente per multiaccount, cosa assurda, poichè io avevo segnalato ai responsabili del gioco che eravamo in tre a giocare dallo stesso computer.
Dopo questa prima follia, ho fatto un altro personaggio"MISTER BAN" bannato temporaneamente per 1 giorno per "nome non consono". Siccome sul forum interno del gioco ero registrato col vecchio nome di DEVILMAN ho sentito puzza di bruciato.
Infatti stamane apro la mia casella e-mail e ricevo la notifica di ban permamente per disposizioni superiori. Questo gioco, spendendo dei soldi acquistando dei rubini via telefono, ti da la possibilità di comprare armi magiche per il tuo personaggio. Io l'ho fatto. Sia con Devilman che con Mister Ban.
Siccome ho speso dei soldi per questo gioco, personalmente ritengo di essere stato truffato dallo staff di questo gioco.
Bannato sia prima che dopo con totale assenza di motivazioni plausibili ed accettabili. Loro non ti informano prima se c'è qualcosa che non va, ti bannano senza preavviso.
E' assolutamente pazzesco.
Aspetto con fiducia il vostro intervento e mi auguro che sappiate mettere in guardia tutti da questa gigantesca truffa colossale.
Il bello è che i soldi spesi non te li ridanno neanche.
Io mi sento, da consumatore, raggirato, truffato e preso in giro.

Esigo spiegazioni che questi signori non vogliono darmi.

David Rossi

313 commenti:

1 – 200 di 313   Nuovi›   Più recenti»
Anonimo ha detto...

Beh, sono anch'io un giocatore di BK e sui metodi dello "staff" ci sarebbe molto da dire, cmq ti dò una dritta, giocando sui server tedeschi, sul forum è specificato che sottoscrivendo un "premium" in pratica sottoscrivi un contratto con la GF, se il contratto viene recesso anticipatamente hai diritto ad un risarcimento...stranamente sul forum Italiano di tutto ciò non vi è traccia...vabbè lasciamo perdere...
templar

Anonimo ha detto...

Sinceramente ti sta bene...
invece di spendere i soldi in un gioco per fare 2 click vacci a fare un giro con gli amici!

Anonimo ha detto...

ahahahahahah sfigato!

Anonimo ha detto...

allora ve ne racconto una anche io.. ma prima mi sento di rispondere a "qualcuno" e spiegargli/le che ognuno può spendere i soldi come meglio crede, perchè giocando a BK non si manca certo di rispetto e neppure si limita la libertà altrui..
detto questo vorrei raccontare che il mio account ha ricevuto "una sospensione (permban) come risultato di un tentativo di manipolazione del sistema".. ora io non ho commesso niente di strano, stavo tranquillamente giocando e visto che sono Anonimo non avrebbe alcun senso scrivere falsità. Il bello è che pur non avendo fatto niente mi vedo costretto ad abbandonare il mio account (uno dei migliori in classifica) dopo più di un anno di gioco continuo e dopo aver ricaricato il mio account con soldi veri appena pochi giorni prima.. il tutto perché il ban mi è stato dato dal sistema e non dai vari GameOperator del gioco e questi non ci possono fare nulla... anzi, mi consigliano di riscrivermi nuovamente dal livello 1.......... e sembra che io non sia neppure il primo player a cui sia successa questa cosa.. e non riescono a segnalarlo e ovviare a questo problema???? no, dico.. in effetti io una cosa l'ho forzata: il MIO PORTAFOGLIO! rendiamoci conto della fregatura.... O_O

Anonimo ha detto...

riguardo la situazione BK, solo in Italia l'utente non è tutelato ed i responsabili del team sono veri e propri spaventapasseri messi dall'azienda tedesca con limitazioni all'accesso e con funzioni solo di facciata.
Oltre ai vari Bun per forzatura ed ai vari bug di sistema che dovrebbe essere risolto nell'immediatezza da parte di chi amministra fisicamente il server.
Anche perchè il contratto premium non prevede tali difetti già in essi motivo di rimborso per l'utente premium.
La cosa più scandalosa sono i criteri da parte di figure minori tipo i go nei criteri di assegnazione e nel bannare un utente.
Ora con quali criteri si interrompe un servizio nel caso di utenti premium a pagamento, da parte di un pinco pallino del team??
Cari signori del team di BK in Italia spesso i criteri di censura che applicate per un ban, oltre alla mancata erogazione di servizio a pagamento non giustificata, viene posto in essere da motivi e criteri di censura per seguibili dalla legge.
Quindi datevi una svegliata voi del team italiano di Bk prima che qualcuno si scocci e i soldi li spenda per un avvocato che vi toccherà rimborsare......in merito a quanto sopra spero che tale portale faccia qualcosa se possibile.

Anonimo ha detto...

Questa è sicuramente una situazione poco chiara, e sopratutto non mi sembra per nulla corretto e licito, il fatto che nessuno dello staff, sappia come bisogna comportarsi e a chi bisogna rivolgersi.... anche a me è successa una cosa simile, sono stato bannato per "descrizione non consona", all'interno non vi era nulla di volgare o offensivo, solo battute goliardiche che riprendevano veri testi di canzoni....in questo gioco, si spendono soldi anche per attivare degli aiutini attraverso il nascondiglio....vi spiego quanto mi è successo:
- ban di 10 giorni
questi ban vengono gestiti da dei Game Operator (a quanto pare non esistono, degli schemi o tabelle che li regolano), che agiscono come vogliono, il più delle volte sono magari risentiti, perchè giocano e perdono contro di te su altri server, così aumentano la durata del ban, basta pensare che gente che ha offeso e minacciato la mia persona e la mia famiglia (punibile anche a norma di legge), viene bannata 3 giorni e io per aver messo il testo della canzone di Mina "Grande Grande"con all'interno il ritornello sei solo un bambino capriccioso la vuoi sempre vinta tu, mi sono visto bloccare l'account per 10 giorni.
Vi sembra corretto????
Altra cosa, io gioco su molti altri giochi online, dove ti viene prima segnalata la presunta irregolarità, tu hai tempo una settimana per spiegare e rimediare (se provvedi, non ti bannano), se vieni bannato, comunque il tuo supporter o premium (come lo volete chiamare, in poche parole, quello che paghi), ti viene prolungato di quel periodo che non ne hai fatto uso....
Ad esempio su uno di questi giochi sono stato bannato in maniera permanente avevo ancora 10 mesi di supporter, mi hanno fatto rifare un nuovo account e mi hanno accreditato tale supporter sul nuovo account, con Battleknight questo non avviene....è LEGALE???
Ti rubano in pratica i soldi, per cose e motivi che manco sanno spiegarti.
Grazie e Buona giornata a tutti/e

Anonimo ha detto...

Salve, sono quello bannato per "manipolazione del sistema". Il problema non me lo hanno risolto.. Ho scritto pure in Germania 3 volte, ma nessuno mi ha risposto.. non hanno risposto neppure all'Admin Italiano del gioco (così mi è stato riferito).. niente e nessuno può farci nulla.. mi sembra incredibile! Il fatto che un Admin o un Team Leader del gioco non riescano a sbrogliare un Ban di gioco perchè fuori dal loro raggio d'azione.. beh.. la dice lunga sull'utilità di certe figure proprio nel momento di risolvere un grave problema capitato ad un utente (pagante), anche perchè in definitiva sono loro gli unici canali utilizzabili per richiedere assistenza..

Rispondendo a 2 interventi prima scrivo che il problema è all'iscrizione al gioco, ovvero prima di iniziare a giocare noi firmiamo da soli la nostra condanna a morte... nei "Termini di contratto e condizioni d'uso", tra le altre ci sono queste diciture:
- il verificarsi di svantaggi per un utente causati da interruzioni server, programmazioni imperfette ecc. non da diritto all'utente di richiedere il ripristino dello stato del proprio account a prima dell'avvenimento
- Eventuali obiezioni possono essere avanzate solo verso la gestione del progetto. Non ci possono essere rivendicazioni legali che riguardino la terminazione di un account.
- L'utente non ha diritto alla richiesta di rimborsi eccetto quando l'associazione sia stata sciolta dalla Gameforge e l'utente non abbia causato la terminazione con la violazione dei Termini e Condizioni, delle regole del Gioco/Forum o della legge.

Meditate... meditate gente..

Solidale con l'intervento precedente, la cosa che mi domando, se mai qualcuno potrebbe esaminare la cosa, è: "Ok il contratto.. ma quanto è giusto che questi possono fare quello che vogliono su un servizio a pagamento, o meglio, da quando il servizio diviene a pagamento?" (precisione dovuta perchè se uno vuole può anche giocare gratis). Spero che qualcuno si interessi alla cosa visto che qui vengono raccolte delle esperienze dei consumatori..

Ovviamente io lascio per cause di forza maggiore che non dipendono da me ma pagare per un gioco colmo di bug che i programmatori non risolvono mai e dopo aver visto cosa riesce a fare (oppure a non fare come nel mio caso) quello stesso staff che vieta pure di parlare apertamente ed educatamente dei ban ricevuti sul forum ufficiale.. dico solo che, nel rispetto degli altri, i soldi uno li spende come vuole ma fate tesoro delle esperienze altrui e giudicate voi prima di iniziare a giocare.. Buona giornata a tutti.

Anonimo ha detto...

Anche se non relativo al BAN vorrei dire la mia sul gioco. Qualcuno ha dimenticato di citare i BUG (o presunti tali). I bug sono associati agli aggiornamenti del programma. Stranamente tutti i programmi immessi in commercio sono testati da 2 livelli di tester (alfa e beta tester) e poi messi in circolazione. Quelli di battleknight invece creano sempre problemi. Stranamente i problemi sono sempre associati ai rubini (che vengono comprati con soldi veri). Gli ultimi bug sono i tornei (che non concedono più i rubini ai vincitori) e i castelli che vengono persi anche se la guerra viene vinta dal difensore. Io personalmente ho aperto gli occhi e stò lasciando il gioco. Nel frattempo ho inviato una denuncia per truffa al Garante per le Comunicazioni e a quello del Commercio. Se non dovessero essere le autorità preposte la invierò alla Polizia Postale.... sono stanco di stare a guardare e subire...

Anonimo ha detto...

Confermo quanto scrive il post precedente questione Ban, vogliamo parlarne???
Stranamente a ogni aggiornamento che viene fatto, non vengono risolti i Bug conosciuti e per i quali sono aperte anche discussioni da parte dello staff sul forum ufficiale del gioco, e ogni volta guarda caso entra il discorso rubini (che vengono pagati dall'utente), sembra strano e a ogni domanda posta allo staff, dicono che loro non possono farci niente che il problema arriva direttamente dalla GF, poi contatti la GF e dicono che è una questione Italiana, e tu rimane sempre con nulla di fatto, se non soldi buttati via.

Anonimo ha detto...

I CAVALIERI PRESCELT
(ICP)
BELLISSIMO ORDINE SUL SERVER 5
SIRSQUALL IL CAPO E UN MITO SA RISOLVERE LE SITUAZIONI SEMPRE E CMQ

Anonimo ha detto...

I CAVALIERI PRESCELT
(ICP)
BELLISSIMO ORDINE SUL SERVER 5
SIRSQUALL IL CAPO E UN MITO SA RISOLVERE LE SITUAZIONI SEMPRE E CMQ

Anonimo ha detto...

Ebbene sono un altro player vittima dell'arroganza e della prepotenza dei membri dello staff e in queste caso specifico di Gorlagor il Game Administrator di battleknight.it.
A causa di un mio messaggio privato ad un utente (amico di gorlagor che mi ha segnalato subito a lui e che tempestivamente mi ha bannato)nel quale dicevo che avevo abbastanza gemme da prendere infinite pozioni e piallare tutti i membri del suo ordine ho detto anche una cosa che sanno tutti (ma non si deve sapere) e che riguarda in fattispecie proprio qualcosa inerente ai membri dello staff. Ero staff anche io anche se di un altro gioco e rileggendo il regolamento parlava solo ed unicamente della salvaguardia dei dati sensibili degli utenti e la non diffusione degli stessi per motivi di privacy, cosa che ho rispettato. La cosa che non si deve sapere (ma che sanno tutti) invece sul regolamento dello staff non è scritto e quindi in mancanza di tale mancanza non protetta dal vincolo della segretezza. Ebbene per questa cosa sono stato bannato sui miei due account del server 1 e del server 5 (un ban assolutamente ingiusto e privo di fondamento in quanto non ho contravvenuto a nessun regolamento ne come player ne come staff. Ora su quei due account avevo appena caricato 50 euro di gemme ognuno e chi me le rimborsa? Questa cosa non la farò passare liscia e tramite un avvocato pretenderò il rimborso nonchè la rimozione dall'incarico di Gorlagor. Ho già provveduto a fornire gli incartamenti all'avvocato ed all'adiconsum. Vediamo cosa ne uscirà fuori. E' ora di finirla con i soprusi degli staff ed è ora che la GameForge si prenda le dovute responsabilità visto che di soldi dagli utenti ne prende parecchi.

Anonimo ha detto...

http://derubatiotruffati.forumfree.net/

Qui è stato aperto un forum dove potrete segnalare le vostre questioni che poi verrà segnalato direttamente alla gameforge. Vediamo se i soprusi degli staff cesseranno

Anonimo ha detto...

Bene,finalmente esiste la prova scritta online che ancora nel 2009 esistono i cogloni cronici in Italia.
Ma davvero non capite?
Quando vi registrate ad un browser game/forum/sito qualunque leggetevi prima i termini e le condizioni e il regolamento.
Inoltre se frequentavate il forum scoprirete a maggior ragione che certe cose sono vietate ed è stato piu volte specificato che il ban di sistema non puo essere levato.

Detto questo imparate a leggervi i regolamenti

tomascy

Anonimo ha detto...

caro tomascy,
hai poco da fare il fenomeno.. lo spirito di un forum è la condivisione della conoscenza a pro sia dell'azienda sia degli utenti.. mi sa che sei sicuramente uno dello staff... voi fate il cavolo che vi pare sia sul forum sia con i ban e guarda che non c'è una vera regolamentazione documentativa sui ban per cui uno si può attenere.. e nn dirmi che c'è scritto perchè non mi riferisco alle disposizioni di non offendere etc..etc.... dimmi la differenza tra un ban di 20 gg e un ban di una settimana? le date a senso? dai nn c'è scritto nulla!!!! ne ho viste di tutti i colori in un anno di gioco ed io non ho ma preso un ban.. ma capisco anche che chi riceve un ban per manipolazione di sistema e non ha fatto nulla e voi inermi che non potete fare nulla devi ammettere che è denigrante per un giocatore pagante.. la vostra non è una figura facile ma tanto se la gente sta zitta è proprio perchè fate troppo il cavolo che volete in una specie di dittatura.. rivedete un pò le cose e pensate a migliorare il servizio tra ban che durano da anni e costi di esercizio che lievitano ad ogni aggiornamento e poi quando succedono ste cose i clienti non si sentono tutelati.. avendo visto come era nato BK, oggi è strutturato troppo a spillare i soldi alla gente (è solo un mio parere e non offendo nessuno) avendo riscontrato che non si migliora il servizio, avendo visto cosa succede ai players io lascio il gioco ma una cosa mi sento di consigliarvela: invece di decantare sul forum generale la "fine dei rapporti con la clientela", cosa che non potete assolutamente permettere con chi paga, pensate a migliorarvi perchè questi fatti dovrebbero essere indicatori di una certa situazione.. ma tanto non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire..

Anonimo ha detto...

chissà perchè siete tutti anonimi, eh??
paura??

Anonimo ha detto...

Se non leggete tutto quello che vi viene chiesto di leggere, sia sul forum che sul gioco, o non sapete leggere o ve ne fregate altamente, e ne dovete accettare le conseguenze.

Se ragionate così internet non fa per voi.

Voi leggete quello che c'è scritto prima di firmare un foglio? Se si, fatelo anche su internet; se no non lamentatevi delle conseguenze.

Crescete un po' va...

Unknown ha detto...

Che Sorpresa...
Anche io da Ex top Classifica di Bk ho avuto le mie belle disavventure.
Lasciamo stare il forum per favore, gestito da pecore a dir poco, gente fanatica che esce la sera e si vanta con i 4 sfigati che frequenta di essere un amministratore.
Quello che rigurada me è ancora più grave.
I suddetti Game Operator violano di continuo gli account degli utenti entrando di nascosto come infamelli quali sono e leggendo di tutti e di più.
Io stesso sono stato bannato in base a messaggi privati letti senza permesso.
Ho mail degli stessi go che confermano di essere entrati nel mip PG e avermi escluso perchè li offendevo.
La cosa grave è che nel contratto all'epoca non era esplicitato che gli Sfigati di turno avrebbero potuto invadere la mia privacy, fatto sta che un paio di volte per fretta mi sono scambiato password private e numeri di carta di credito con mio fratello tramite Game e poi mi sono spariti i soldi dal conto.
Ergo ho fatto denuncia alla polizia di stato allegando la mail dove un GO , un pò imbecille in realtà ammetteva candidamente l'intrusione.
Consiglio a tutti di segnalare il tutto al garante e lasciare stare i Go, non sono in grado di comprendere pensieri più complessi del " Io sono un GO"
Per me sei un coglio'

Unknown ha detto...

OPS scusate aggiungo perchè solo ora ho finito di leggere tutto:

Chi ha subito ingiustizie da Golgor( da noi conosciuto unanimemente come Gorlacazzone) lo lasci stare è un poveraccio che nella vita non ha avuto nient'altro che poter bannare gente..Basta guardarlo in faccia..
Io stesso l'ho denunciato per il furto dei miei soldini sulla carta di credito...ma la cosa sta andando per le lunghe in questura..
Ma prima o poi avrò il piacere di vederlo faccia a faccia in tribunae e poterlo ehmm." toccare"
in senso platonico..co sti GO non si sa mai..:-D
Enjoy
Q. (io mi sono firmato come vedi merdina)

Anonimo ha detto...

hai scritto:
"Anonimo ha detto...

chissà perchè siete tutti anonimi, eh??
paura??"


mi sembra che anche tu sia anonimo.. senti da che pulpito arriva la predica.. questo è un classico comportamento da GO, C.v.d.

Anonimo ha detto...

"Lasciamo stare il forum per favore, gestito da pecore a dir poco, gente fanatica che esce la sera e si vanta con i 4 sfigati che frequenta di essere un amministratore."

Ma voi sapete che quello che scrivete può costarvi caro?

Sembrate solo un agglomerato di bambini, mio pensiero.

Unknown ha detto...

IO si Tu?
Perchè effettivamente del tuo intervento non se ne sentiva il bisogno
Grazie

Anonimo ha detto...

oh grullo! hai dato i tuoi dati della carta di credito su internet? ma sei la regina delle fave! :O

su un blog di una associazione per i consumatori fai proprio cascar le braccia...

Anonimo ha detto...

[quote]
Io stesso l'ho denunciato per il furto dei miei soldini sulla carta di credito...ma la cosa sta andando per le lunghe in questura..

[/quote]

ma perchè posti boiate figliolo?

Anonimo ha detto...

mi sa che forse non sai neanche leggere. Ha detto che ha dato i dati della sua carta di credito tramite messaggio privato su battleknight e che un GO lo ha letto e gli sono spariti soldi. Leggi bene prima di dir qualcosa

Anonimo ha detto...

messaggio privato su bk...eh si proprio il massimo come sicurezza, il canale per eccellenza con cui comunicare certi dati personali...

infatti non si son mai visti casi di furti di account tra giocatori

ripeto, quando fai belinate come passare i dati della tua carta di credito a pg virtuali che in quel momento potrebbero essere chicchesia si tira in mezzo il caro vecchio Darwin, selezione naturale, la fava paga...

di al fratellino di non usare password come "qwerty" piuttosto che inventarti accuse campate per aria solo perchè qualcuno t'ha rotto il giochino che evidentemente usavi maluccio visto che come dici sei stato cacciato

"...t'ho buco sto pallone"

Anonimo ha detto...

No la passowrd qwerty è troppo difficile da ricordare :D

Meglio 12345 :D

Quanto si rendono ridicole le persone :D

Anonimo ha detto...

Secondo me gli account rubati, i messaggi letti e i ban eseguiti è tutta opera degli staff GO, SGO, GA, mimì e cocò con tutte ste sigle si capisce na sega ma è un mio personale pensiero e non un accusa specifica quindi...

Anonimo ha detto...

il pensiero di uno che non capisce le sigle :O

ne faremo tesoro e dogma per il futuro grazie!

Anonimo ha detto...

In ogni caso si sta andando fuori tema. Si parlava dei ban ingiusti fatti dalle varie sigle mimì e cocò

Anonimo ha detto...

giusto, appena tornano partecipanti alla discussione che hanno il QI necessario per interpretare delle sigle, e non sono fave che spacciano dati di carte d credito on line, torniamo a parlare seriamente...

"...e fu così che la discussione morì per mancanza di interlocutori dotati di senno..."

Anonimo ha detto...

io invece le conosco bene le sigle, credimi.. vedo che sono scese in campo le parti ma alle domande che vi pongono non si risponde se non solo controbattendo e criticando gli altri di essere anonimi.. come vengono categorizzati i ban? ..ovvero quando bannare per 20 giorni? quando bannare per 3 giorni? perchè non informate gli utenti a riguardo invece di dire sempre le solite cose? tipo.. per multiaccount si ha permban.. per offese in real si danno X giorni.. per contenuto nei profili, nomi, messaggi etc etc non consoni si danno Y giorni.. etc etc.. così almeno la finireste di essere criticati e la vostra capacità di agire ancora più tutelata.. anche io ne ho viste di "marachelle" fatte dallo staff, non ci prendiamo in giro, sono fatti a sentimento.... é bello vedere che si discute di una cosa dove da altre parti (forum) non è permesso.. consiglio solo a tutti di esprimervi in maniera chiara e senza offendere, tanto queste domande anche se poste con educazione, sono sempre fastidiose per chi non è abituato a rispondere ed iniziare a litigare nn porta da nessuna parte...

Anonimo ha detto...

perchè invece di chiedere agli amministratori quanto dura un ban per le offese non iniziate a evitare di offendere? anche se a giudicare dal tono di molti dei post in questo blog ne siete totalmente incapaci...

Anonimo ha detto...

Io sono stato bannato permanentemente solo per aver detto "succhiami il cazzo e ingoia la sborra, brutta puttana di merda, PORCO DIO!!!" a una lurida mignotta che mi attaccava di continuo, 'sta vacca di merda. È un'ingiustizia!!! lo staff di BK deve tutto bruciare all'inferno, con la puttana madonna che li inforca in culo, 'sti stronzi!!! STAFF DI BK: MAGNATE LA MMERDA!!!

Anonimo ha detto...

tralasciando gli elementi come quello sopra.. ti ricordo che voi ci siete anche per bannare giustamente i bifolchi che infastidiscono come quello sopra che non sanno confrontarsi con le persone.. indi invece di chiedere di smettere di offendere (tanto le persone maleducate ci saranno sempre) ricordati che uno dei tuoi compiti diretti è quello di assistere i giocatori che ti chiedono chiarezza... ma continui a non rispondere e a girarci intorno.. lascia perdere le persone volgari e rispondi a coloro che educatamente ti pongono delle domande perchè cercano un confronto sano.. o vuoi rimanere al livello di questi maleducati continuando a provocare? dimostra di avere la maturità dell'incarico che ricopri, altrimenti se continui così non ha senso parlarne.. convieni?

Anonimo ha detto...

oh, ma tu che kazzo vuoi??? ma perché non te ne vai a fare in culo tu, tua madre e tutti i suoi clienti?

Anonimo ha detto...

Ma che è una discussione a mo' di barzelletta? mhuashuashuhahahahahahahahahah

Anonimo ha detto...

no pezzo di imbecille, è una roba contro quegli stronzi di battleknight. devono morire nella merda, porcodio!!!

Anonimo ha detto...

Ma tanto difficilmente ti risponderà perchè non sa neanche lui cosa dire.

Anonimo ha detto...

hai ragione, è solo un povero stronzo

Anonimo ha detto...
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20. 1 Di nova pena mi conven far versi
20. 2 e dar matera al ventesimo canto
20. 3 de la prima canzon ch'è d'i sommersi.

20. 4 Io era già disposto tutto quanto
20. 5 a riguardar ne lo scoperto fondo,
20. 6 che si bagnava d'angoscioso pianto;

20. 7 e vidi gente per lo vallon tondo
20. 8 venir, tacendo e lagrimando, al passo
20. 9 che fanno le letane in questo mondo.

20. 10 Come 'l viso mi scese in lor più basso,
20. 11 mirabilmente apparve esser travolto
20. 12 ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso;

20. 13 ché da le reni era tornato 'l volto
20. 14 e in dietro venir li convenia,
20. 15 perché 'l veder dinanzi era lor tolto.

20. 16 Forse per forza già di parlasia
20. 17 si travolse così alcun del tutto;
20. 18 ma io nol vidi, né credo che sia.

20. 19 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
20. 20 di tua lezione, or pensa per te stesso
20. 21 com'io potea tener lo viso asciutto,

20. 22 quando la nostra imagine di presso
20. 23 vidi sì torta, che 'l pianto de li occhi
20. 24 le natiche bagnava per lo fesso.

20. 25 Certo io piangea, poggiato a un de' rocchi
20. 26 del duro scoglio, sì che la mia scorta
20. 27 mi disse: «Ancor se' tu de li altri sciocchi?

20. 28 Qui vive la pietà quand'è ben morta;
20. 29 chi è più scellerato che colui
20. 30 che al giudicio divin passion comporta?

20. 31 Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
20. 32 s'aperse a li occhi d'i Teban la terra;
20. 33 per ch'ei gridavan tutti: "Dove rui,

20. 34 Anfiarao? perché lasci la guerra?".
20. 35 E non restò di ruinare a valle
20. 36 fino a Minòs che ciascheduno afferra.

20. 37 Mira c'ha fatto petto de le spalle:
20. 38 perché volle veder troppo davante,
20. 39 di retro guarda e fa retroso calle.

20. 40 Vedi Tiresia, che mutò sembiante
20. 41 quando di maschio femmina divenne
20. 42 cangiandosi le membra tutte quante;

20. 43 e prima, poi, ribatter li convenne
20. 44 li duo serpenti avvolti, con la verga,
20. 45 che riavesse le maschili penne.

20. 46 Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,
20. 47 che ne' monti di Luni, dove ronca
20. 48 lo Carrarese che di sotto alberga,

20. 49 ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca
20. 50 per sua dimora; onde a guardar le stelle
20. 51 e 'l mar no li era la veduta tronca.

20. 52 E quella che ricuopre le mammelle,
20. 53 che tu non vedi, con le trecce sciolte,
20. 54 e ha di là ogne pilosa pelle,

20. 55 Manto fu, che cercò per terre molte;
20. 56 poscia si puose là dove nacqu'io;
20. 57 onde un poco mi piace che m'ascolte.

20. 58 Poscia che 'l padre suo di vita uscìo,
20. 59 e venne serva la città di Baco,
20. 60 questa gran tempo per lo mondo gio.

20. 61 Suso in Italia bella giace un laco,
20. 62 a piè de l'Alpe che serra Lamagna
20. 63 sovra Tiralli, c'ha nome Benaco.

20. 64 Per mille fonti, credo, e più si bagna
20. 65 tra Garda e Val Camonica e Pennino
20. 66 de l'acqua che nel detto laco stagna.

20. 67 Loco è nel mezzo là dove 'l trentino
20. 68 pastore e quel di Brescia e 'l veronese
20. 69 segnar poria, s'e' fesse quel cammino.

20. 70 Siede Peschiera, bello e forte arnese
20. 71 da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
20. 72 ove la riva 'ntorno più discese.

20. 73 Ivi convien che tutto quanto caschi
20. 74 ciò che 'n grembo a Benaco star non può,
20. 75 e fassi fiume giù per verdi paschi.

20. 76 Tosto che l'acqua a correr mette co,
20. 77 non più Benaco, ma Mencio si chiama
20. 78 fino a Governol, dove cade in Po.

20. 79 Non molto ha corso, ch'el trova una lama,
20. 80 ne la qual si distende e la 'mpaluda;
20. 81 e suol di state talor essere grama.

20. 82 Quindi passando la vergine cruda
20. 83 vide terra, nel mezzo del pantano,
20. 84 sanza coltura e d'abitanti nuda.

20. 85 Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
20. 86 ristette con suoi servi a far sue arti,
20. 87 e visse, e vi lasciò suo corpo vano.

20. 88 Li uomini poi che 'ntorno erano sparti
20. 89 s'accolsero a quel loco, ch'era forte
20. 90 per lo pantan ch'avea da tutte parti.

20. 91 Fer la città sovra quell'ossa morte;
20. 92 e per colei che 'l loco prima elesse,
20. 93 Mantua l'appellar sanz'altra sorte.

20. 94 Già fuor le genti sue dentro più spesse,
20. 95 prima che la mattia da Casalodi
20. 96 da Pinamonte inganno ricevesse.

20. 97 Però t'assenno che, se tu mai odi
20. 98 originar la mia terra altrimenti,
20. 99 la verità nulla menzogna frodi».

20.100 E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
20.101 mi son sì certi e prendon sì mia fede,
20.102 che li altri mi sarien carboni spenti.

20.103 Ma dimmi, de la gente che procede,
20.104 se tu ne vedi alcun degno di nota;
20.105 ché solo a ciò la mia mente rifiede».

20.106 Allor mi disse: «Quel che da la gota
20.107 porge la barba in su le spalle brune,
20.108 fu - quando Grecia fu di maschi vòta,

20.109 sì ch'a pena rimaser per le cune -
20.110 augure, e diede 'l punto con Calcanta
20.111 in Aulide a tagliar la prima fune.

20.112 Euripilo ebbe nome, e così 'l canta
20.113 l'alta mia tragedìa in alcun loco:
20.114 ben lo sai tu che la sai tutta quanta.

20.115 Quell'altro che ne' fianchi è così poco,
20.116 Michele Scotto fu, che veramente
20.117 de le magiche frode seppe 'l gioco.

20.118 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
20.119 ch'avere inteso al cuoio e a lo spago
20.120 ora vorrebbe, ma tardi si pente.

20.121 Vedi le triste che lasciaron l'ago,
20.122 la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine;
20.123 fecer malie con erbe e con imago.

20.124 Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine
20.125 d'amendue li emisperi e tocca l'onda
20.126 sotto Sobilia Caino e le spine;

20.127 e già iernotte fu la luna tonda:
20.128 ben ten de' ricordar, ché non ti nocque
20.129 alcuna volta per la selva fonda».
20.130 Sì mi parlava, e andavamo introcque.

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17. 1 Qual venne a Climené, per accertarsi
17. 2 di ciò ch'avea incontro a sé udito,
17. 3 quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi;

17. 4 tal era io, e tal era sentito
17. 5 e da Beatrice e da la santa lampa
17. 6 che pria per me avea mutato sito.

17. 7 Per che mia donna «Manda fuor la vampa
17. 8 del tuo disio», mi disse, «sì ch'ella esca
17. 9 segnata bene de la interna stampa;

17. 10 non perché nostra conoscenza cresca
17. 11 per tuo parlare, ma perché t'ausi
17. 12 a dir la sete, sì che l'uom ti mesca».

17. 13 «O cara piota mia che sì t'insusi,
17. 14 che, come veggion le terrene menti
17. 15 non capere in triangol due ottusi,

17. 16 così vedi le cose contingenti
17. 17 anzi che sieno in sé, mirando il punto
17. 18 a cui tutti li tempi son presenti;

17. 19 mentre ch'io era a Virgilio congiunto
17. 20 su per lo monte che l'anime cura
17. 21 e discendendo nel mondo defunto,

17. 22 dette mi fuor di mia vita futura
17. 23 parole gravi, avvegna ch'io mi senta
17. 24 ben tetragono ai colpi di ventura;

17. 25 per che la voglia mia saria contenta
17. 26 d'intender qual fortuna mi s'appressa;
17. 27 ché saetta previsa vien più lenta».

17. 28 Così diss'io a quella luce stessa
17. 29 che pria m'avea parlato; e come volle
17. 30 Beatrice, fu la mia voglia confessa.

17. 31 Né per ambage, in che la gente folle
17. 32 già s'inviscava pria che fosse anciso
17. 33 l'Agnel di Dio che le peccata tolle,

17. 34 ma per chiare parole e con preciso
17. 35 latin rispuose quello amor paterno,
17. 36 chiuso e parvente del suo proprio riso:

17. 37 «La contingenza, che fuor del quaderno
17. 38 de la vostra matera non si stende,
17. 39 tutta è dipinta nel cospetto etterno:

17. 40 necessità però quindi non prende
17. 41 se non come dal viso in che si specchia
17. 42 nave che per torrente giù discende.

17. 43 Da indi, sì come viene ad orecchia
17. 44 dolce armonia da organo, mi viene
17. 45 a vista il tempo che ti s'apparecchia.

17. 46 Qual si partio Ipolito d'Atene
17. 47 per la spietata e perfida noverca,
17. 48 tal di Fiorenza partir ti convene.

17. 49 Questo si vuole e questo già si cerca,
17. 50 e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
17. 51 là dove Cristo tutto dì si merca.

17. 52 La colpa seguirà la parte offensa
17. 53 in grido, come suol; ma la vendetta
17. 54 fia testimonio al ver che la dispensa.

17. 55 Tu lascerai ogne cosa diletta
17. 56 più caramente; e questo è quello strale
17. 57 che l'arco de lo essilio pria saetta.

17. 58 Tu proverai sì come sa di sale
17. 59 lo pane altrui, e come è duro calle
17. 60 lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.

17. 61 E quel che più ti graverà le spalle,
17. 62 sarà la compagnia malvagia e scempia
17. 63 con la qual tu cadrai in questa valle;

17. 64 che tutta ingrata, tutta matta ed empia
17. 65 si farà contr'a te; ma, poco appresso,
17. 66 ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.

17. 67 Di sua bestialitate il suo processo
17. 68 farà la prova; sì ch'a te fia bello
17. 69 averti fatta parte per te stesso.

17. 70 Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello
17. 71 sarà la cortesia del gran Lombardo
17. 72 che 'n su la scala porta il santo uccello;

17. 73 ch'in te avrà sì benigno riguardo,
17. 74 che del fare e del chieder, tra voi due,
17. 75 fia primo quel che tra li altri è più tardo.

17. 76 Con lui vedrai colui che 'mpresso fue,
17. 77 nascendo, sì da questa stella forte,
17. 78 che notabili fier l'opere sue.

17. 79 Non se ne son le genti ancora accorte
17. 80 per la novella età, ché pur nove anni
17. 81 son queste rote intorno di lui torte;

17. 82 ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,
17. 83 parran faville de la sua virtute
17. 84 in non curar d'argento né d'affanni.

17. 85 Le sue magnificenze conosciute
17. 86 saranno ancora, sì che ' suoi nemici
17. 87 non ne potran tener le lingue mute.

17. 88 A lui t'aspetta e a' suoi benefici;
17. 89 per lui fia trasmutata molta gente,
17. 90 cambiando condizion ricchi e mendici;

17. 91 e portera'ne scritto ne la mente
17. 92 di lui, e nol dirai»; e disse cose
17. 93 incredibili a quei che fier presente.

17. 94 Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
17. 95 di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie
17. 96 che dietro a pochi giri son nascose.

17. 97 Non vo' però ch'a' tuoi vicini invidie,
17. 98 poscia che s'infutura la tua vita
17. 99 vie più là che 'l punir di lor perfidie».

17.100 Poi che, tacendo, si mostrò spedita
17.101 l'anima santa di metter la trama
17.102 in quella tela ch'io le porsi ordita,

17.103 io cominciai, come colui che brama,
17.104 dubitando, consiglio da persona
17.105 che vede e vuol dirittamente e ama:

17.106 «Ben veggio, padre mio, sì come sprona
17.107 lo tempo verso me, per colpo darmi
17.108 tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona;

17.109 per che di provedenza è buon ch'io m'armi,
17.110 sì che, se loco m'è tolto più caro,
17.111 io non perdessi li altri per miei carmi.

17.112 Giù per lo mondo sanza fine amaro,
17.113 e per lo monte del cui bel cacume
17.114 li occhi de la mia donna mi levaro,

17.115 e poscia per lo ciel, di lume in lume,
17.116 ho io appreso quel che s'io ridico,
17.117 a molti fia sapor di forte agrume;

17.118 e s'io al vero son timido amico,
17.119 temo di perder viver tra coloro
17.120 che questo tempo chiameranno antico».

17.121 La luce in che rideva il mio tesoro
17.122 ch'io trovai lì, si fé prima corusca,
17.123 quale a raggio di sole specchio d'oro;

17.124 indi rispuose: «Coscienza fusca
17.125 o de la propria o de l'altrui vergogna
17.126 pur sentirà la tua parola brusca.

17.127 Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
17.128 tutta tua vision fa manifesta;
17.129 e lascia pur grattar dov'è la rogna.

17.130 Ché se la voce tua sarà molesta
17.131 nel primo gusto, vital nodrimento
17.132 lascerà poi, quando sarà digesta.

17.133 Questo tuo grido farà come vento,
17.134 che le più alte cime più percuote;
17.135 e ciò non fa d'onor poco argomento.

17.136 Però ti son mostrate in queste rote,
17.137 nel monte e ne la valle dolorosa
17.138 pur l'anime che son di fama note,

17.139 che l'animo di quel ch'ode, non posa
17.140 né ferma fede per essempro ch'aia
17.141 la sua radice incognita e ascosa,
17.142 né per altro argomento che non paia».

Anonimo ha detto...

19. 1 Parea dinanzi a me con l'ali aperte
19. 2 la bella image che nel dolce *frui*
19. 3 liete facevan l'anime conserte;

19. 4 parea ciascuna rubinetto in cui
19. 5 raggio di sole ardesse sì acceso,
19. 6 che ne' miei occhi rifrangesse lui.

19. 7 E quel che mi convien ritrar testeso,
19. 8 non portò voce mai, né scrisse incostro,
19. 9 né fu per fantasia già mai compreso;

19. 10 ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro,
19. 11 e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
19. 12 quand'era nel concetto e "noi" e "nostro".

19. 13 E cominciò: «Per esser giusto e pio
19. 14 son io qui essaltato a quella gloria
19. 15 che non si lascia vincere a disio;

19. 16 e in terra lasciai la mia memoria
19. 17 sì fatta, che le genti lì malvage
19. 18 commendan lei, ma non seguon la storia».

19. 19 Così un sol calor di molte brage
19. 20 si fa sentir, come di molti amori
19. 21 usciva solo un suon di quella image.

19. 22 Ond'io appresso: «O perpetui fiori
19. 23 de l'etterna letizia, che pur uno
19. 24 parer mi fate tutti vostri odori,

19. 25 solvetemi, spirando, il gran digiuno
19. 26 che lungamente m'ha tenuto in fame,
19. 27 non trovandoli in terra cibo alcuno.

19. 28 Ben so io che, se 'n cielo altro reame
19. 29 la divina giustizia fa suo specchio,
19. 30 che 'l vostro non l'apprende con velame.

19. 31 Sapete come attento io m'apparecchio
19. 32 ad ascoltar; sapete qual è quello
19. 33 dubbio che m'è digiun cotanto vecchio».

19. 34 Quasi falcone ch'esce del cappello,
19. 35 move la testa e con l'ali si plaude,
19. 36 voglia mostrando e faccendosi bello,

19. 37 vid'io farsi quel segno, che di laude
19. 38 de la divina grazia era contesto,
19. 39 con canti quai si sa chi là sù gaude.

19. 40 Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
19. 41 a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
19. 42 distinse tanto occulto e manifesto,

19. 43 non poté suo valor sì fare impresso
19. 44 in tutto l'universo, che 'l suo verbo
19. 45 non rimanesse in infinito eccesso.

19. 46 E ciò fa certo che 'l primo superbo,
19. 47 che fu la somma d'ogne creatura,
19. 48 per non aspettar lume, cadde acerbo;

19. 49 e quinci appar ch'ogne minor natura
19. 50 è corto recettacolo a quel bene
19. 51 che non ha fine e sé con sé misura.

19. 52 Dunque vostra veduta, che convene
19. 53 esser alcun de' raggi de la mente
19. 54 di che tutte le cose son ripiene,

19. 55 non pò da sua natura esser possente
19. 56 tanto, che suo principio discerna
19. 57 molto di là da quel che l'è parvente.

19. 58 Però ne la giustizia sempiterna
19. 59 la vista che riceve il vostro mondo,
19. 60 com'occhio per lo mare, entro s'interna;

19. 61 che, ben che da la proda veggia il fondo,
19. 62 in pelago nol vede; e nondimeno
19. 63 èli, ma cela lui l'esser profondo.

19. 64 Lume non è, se non vien dal sereno
19. 65 che non si turba mai; anzi è tenebra
19. 66 od ombra de la carne o suo veleno.

19. 67 Assai t'è mo aperta la latebra
19. 68 che t'ascondeva la giustizia viva,
19. 69 di che facei question cotanto crebra;

19. 70 ché tu dicevi: "Un uom nasce a la riva
19. 71 de l'Indo, e quivi non è chi ragioni
19. 72 di Cristo né chi legga né chi scriva;

19. 73 e tutti suoi voleri e atti buoni
19. 74 sono, quanto ragione umana vede,
19. 75 sanza peccato in vita o in sermoni.

19. 76 Muore non battezzato e sanza fede:
19. 77 ov'è questa giustizia che 'l condanna?
19. 78 ov'è la colpa sua, se ei non crede?"

19. 79 Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna,
19. 80 per giudicar di lungi mille miglia
19. 81 con la veduta corta d'una spanna?

19. 82 Certo a colui che meco s'assottiglia,
19. 83 se la Scrittura sovra voi non fosse,
19. 84 da dubitar sarebbe a maraviglia.

19. 85 Oh terreni animali! oh menti grosse!
19. 86 La prima volontà, ch'è da sé buona,
19. 87 da sé, ch'è sommo ben, mai non si mosse.

19. 88 Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
19. 89 nullo creato bene a sé la tira,
19. 90 ma essa, radiando, lui cagiona».

19. 91 Quale sovresso il nido si rigira
19. 92 poi c'ha pasciuti la cicogna i figli,
19. 93 e come quel ch'è pasto la rimira;

19. 94 cotal si fece, e sì levai i cigli,
19. 95 la benedetta imagine, che l'ali
19. 96 movea sospinte da tanti consigli.

19. 97 Roteando cantava, e dicea: «Quali
19. 98 son le mie note a te, che non le 'ntendi,
19. 99 tal è il giudicio etterno a voi mortali».

19.100 Poi si quetaro quei lucenti incendi
19.101 de lo Spirito Santo ancor nel segno
19.102 che fé i Romani al mondo reverendi,

19.103 esso ricominciò: «A questo regno
19.104 non salì mai chi non credette 'n Cristo,
19.105 né pria né poi ch'el si chiavasse al legno.

19.106 Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!",
19.107 che saranno in giudicio assai men *prope*
19.108 a lui, che tal che non conosce Cristo;

19.109 e tai Cristian dannerà l'Etiòpe,
19.110 quando si partiranno i due collegi,
19.111 l'uno in etterno ricco e l'altro inòpe.

19.112 Che poran dir li Perse a' vostri regi,
19.113 come vedranno quel volume aperto
19.114 nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?

19.115 Lì si vedrà, tra l'opere d'Alberto,
19.116 quella che tosto moverà la penna,
19.117 per che 'l regno di Praga fia diserto.

19.118 Lì si vedrà il duol che sovra Senna
19.119 induce, falseggiando la moneta,
19.120 quel che morrà di colpo di cotenna.

19.121 Lì si vedrà la superbia ch'asseta,
19.122 che fa lo Scotto e l'Inghilese folle,
19.123 sì che non può soffrir dentro a sua meta.

19.124 Vedrassi la lussuria e 'l viver molle
19.125 di quel di Spagna e di quel di Boemme,
19.126 che mai valor non conobbe né volle.

19.127 Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
19.128 segnata con un i la sua bontate,
19.129 quando 'l contrario segnerà un emme.

19.130 Vedrassi l'avarizia e la viltate
19.131 di quei che guarda l'isola del foco,
19.132 ove Anchise finì la lunga etate;

19.133 e a dare ad intender quanto è poco,
19.134 la sua scrittura fian lettere mozze,
19.135 che noteranno molto in parvo loco.

19.136 E parranno a ciascun l'opere sozze
19.137 del barba e del fratel, che tanto egregia
19.138 nazione e due corone han fatte bozze.

19.139 E quel di Portogallo e di Norvegia
19.140 lì si conosceranno, e quel di Rascia
19.141 che male ha visto il conio di Vinegia.

19.142 Oh beata Ungheria, se non si lascia
19.143 più malmenare! e beata Navarra,
19.144 se s'armasse del monte che la fascia!

19.145 E creder de' ciascun che già, per arra
19.146 di questo, Niccosìa e Famagosta
19.147 per la lor bestia si lamenti e garra,
19.148 che dal fianco de l'altre non si scosta».

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23. 1 Come l'augello, intra l'amate fronde,
23. 2 posato al nido de' suoi dolci nati
23. 3 la notte che le cose ci nasconde,

23. 4 che, per veder li aspetti disiati
23. 5 e per trovar lo cibo onde li pasca,
23. 6 in che gravi labor li sono aggrati,

23. 7 previene il tempo in su aperta frasca,
23. 8 e con ardente affetto il sole aspetta,
23. 9 fiso guardando pur che l'alba nasca;

23. 10 così la donna mia stava eretta
23. 11 e attenta, rivolta inver' la plaga
23. 12 sotto la quale il sol mostra men fretta:

23. 13 sì che, veggendola io sospesa e vaga,
23. 14 fecimi qual è quei che disiando
23. 15 altro vorria, e sperando s'appaga.

23. 16 Ma poco fu tra uno e altro quando,
23. 17 del mio attender, dico, e del vedere
23. 18 lo ciel venir più e più rischiarando;

23. 19 e Beatrice disse: «Ecco le schiere
23. 20 del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto
23. 21 ricolto del girar di queste spere!».

23. 22 Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto,
23. 23 e li occhi avea di letizia sì pieni,
23. 24 che passarmen convien sanza costrutto.

23. 25 Quale ne' plenilunii sereni
23. 26 Trivia ride tra le ninfe etterne
23. 27 che dipingon lo ciel per tutti i seni,

23. 28 vid'i' sopra migliaia di lucerne
23. 29 un sol che tutte quante l'accendea,
23. 30 come fa 'l nostro le viste superne;

23. 31 e per la viva luce trasparea
23. 32 la lucente sustanza tanto chiara
23. 33 nel viso mio, che non la sostenea.

23. 34 Oh Beatrice, dolce guida e cara!
23. 35 Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
23. 36 è virtù da cui nulla si ripara.

23. 37 Quivi è la sapienza e la possanza
23. 38 ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra,
23. 39 onde fu già sì lunga disianza».

23. 40 Come foco di nube si diserra
23. 41 per dilatarsi sì che non vi cape,
23. 42 e fuor di sua natura in giù s'atterra,

23. 43 la mente mia così, tra quelle dape
23. 44 fatta più grande, di sé stessa uscìo,
23. 45 e che si fesse rimembrar non sape.

23. 46 «Apri li occhi e riguarda qual son io;
23. 47 tu hai vedute cose, che possente
23. 48 se' fatto a sostener lo riso mio».

23. 49 Io era come quei che si risente
23. 50 di visione oblita e che s'ingegna
23. 51 indarno di ridurlasi a la mente,

23. 52 quand'io udi' questa proferta, degna
23. 53 di tanto grato, che mai non si stingue
23. 54 del libro che 'l preterito rassegna.

23. 55 Se mo sonasser tutte quelle lingue
23. 56 che Polimnia con le suore fero
23. 57 del latte lor dolcissimo più pingue,

23. 58 per aiutarmi, al millesmo del vero
23. 59 non si verria, cantando il santo riso
23. 60 e quanto il santo aspetto facea mero;

23. 61 e così, figurando il paradiso,
23. 62 convien saltar lo sacrato poema,
23. 63 come chi trova suo cammin riciso.

23. 64 Ma chi pensasse il ponderoso tema
23. 65 e l'omero mortal che se ne carca,
23. 66 nol biasmerebbe se sott'esso trema:

23. 67 non è pareggio da picciola barca
23. 68 quel che fendendo va l'ardita prora,
23. 69 né da nocchier ch'a sé medesmo parca.

23. 70 «Perché la faccia mia sì t'innamora,
23. 71 che tu non ti rivolgi al bel giardino
23. 72 che sotto i raggi di Cristo s'infiora?

23. 73 Quivi è la rosa in che 'l verbo divino
23. 74 carne si fece; quivi son li gigli
23. 75 al cui odor si prese il buon cammino».

23. 76 Così Beatrice; e io, che a' suoi consigli
23. 77 tutto era pronto, ancora mi rendei
23. 78 a la battaglia de' debili cigli.

23. 79 Come a raggio di sol che puro mei
23. 80 per fratta nube, già prato di fiori
23. 81 vider, coverti d'ombra, li occhi miei;

23. 82 vid'io così più turbe di splendori,
23. 83 folgorate di sù da raggi ardenti,
23. 84 sanza veder principio di folgóri.

23. 85 O benigna vertù che sì li 'mprenti,
23. 86 sù t'essaltasti, per largirmi loco
23. 87 a li occhi lì che non t'eran possenti.

23. 88 Il nome del bel fior ch'io sempre invoco
23. 89 e mane e sera, tutto mi ristrinse
23. 90 l'animo ad avvisar lo maggior foco;

23. 91 e come ambo le luci mi dipinse
23. 92 il quale e il quanto de la viva stella
23. 93 che là sù vince come qua giù vinse,

23. 94 per entro il cielo scese una facella,
23. 95 formata in cerchio a guisa di corona,
23. 96 e cinsela e girossi intorno ad ella.

23. 97 Qualunque melodia più dolce suona
23. 98 qua giù e più a sé l'anima tira,
23. 99 parrebbe nube che squarciata tona,

23.100 comparata al sonar di quella lira
23.101 onde si coronava il bel zaffiro
23.102 del quale il ciel più chiaro s'inzaffira.

23.103 «Io sono amore angelico, che giro
23.104 l'alta letizia che spira del ventre
23.105 che fu albergo del nostro disiro;

23.106 e girerommi, donna del ciel, mentre
23.107 che seguirai tuo figlio, e farai dia
23.108 più la spera suprema perché lì entre».

23.109 Così la circulata melodia
23.110 si sigillava, e tutti li altri lumi
23.111 facean sonare il nome di Maria.

23.112 Lo real manto di tutti i volumi
23.113 del mondo, che più ferve e più s'avviva
23.114 ne l'alito di Dio e nei costumi,

23.115 avea sopra di noi l'interna riva
23.116 tanto distante, che la sua parvenza,
23.117 là dov'io era, ancor non appariva:

23.118 però non ebber li occhi miei potenza
23.119 di seguitar la coronata fiamma
23.120 che si levò appresso sua semenza.

23.121 E come fantolin che 'nver' la mamma
23.122 tende le braccia, poi che 'l latte prese,
23.123 per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;

23.124 ciascun di quei candori in sù si stese
23.125 con la sua cima, sì che l'alto affetto
23.126 ch'elli avieno a Maria mi fu palese.

23.127 Indi rimaser lì nel mio cospetto,
23.128 "*Regina celi*" cantando sì dolce,
23.129 che mai da me non si partì 'l diletto.

23.130 Oh quanta è l'ubertà che si soffolce
23.131 in quelle arche ricchissime che fuoro
23.132 a seminar qua giù buone bobolce!

23.133 Quivi si vive e gode del tesoro
23.134 che s'acquistò piangendo ne lo essilio
23.135 di Babillòn, ove si lasciò l'oro.

23.136 Quivi triunfa, sotto l'alto Filio
23.137 di Dio e di Maria, di sua vittoria,
23.138 e con l'antico e col novo concilio,
23.139 colui che tien le chiavi di tal gloria.

Anonimo ha detto...

24. 1 «O sodalizio eletto a la gran cena
24. 2 del benedetto Agnello, il qual vi ciba
24. 3 sì, che la vostra voglia è sempre piena,

24. 4 se per grazia di Dio questi preliba
24. 5 di quel che cade de la vostra mensa,
24. 6 prima che morte tempo li prescriba,

24. 7 ponete mente a l'affezione immensa
24. 8 e roratelo alquanto: voi bevete
24. 9 sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa».

24. 10 Così Beatrice; e quelle anime liete
24. 11 si fero spere sopra fissi poli,
24. 12 fiammando, a volte, a guisa di comete.

24. 13 E come cerchi in tempra d'oriuoli
24. 14 si giran sì, che 'l primo a chi pon mente
24. 15 quieto pare, e l'ultimo che voli;

24. 16 così quelle carole, differente-
24. 17 mente danzando, de la sua ricchezza
24. 18 mi facieno stimar, veloci e lente.

24. 19 Di quella ch'io notai di più carezza
24. 20 vid'io uscire un foco sì felice,
24. 21 che nullo vi lasciò di più chiarezza;

24. 22 e tre fiate intorno di Beatrice
24. 23 si volse con un canto tanto divo,
24. 24 che la mia fantasia nol mi ridice.

24. 25 Però salta la penna e non lo scrivo:
24. 26 ché l'imagine nostra a cotai pieghe,
24. 27 non che 'l parlare, è troppo color vivo.

24. 28 «O santa suora mia che sì ne prieghe
24. 29 divota, per lo tuo ardente affetto
24. 30 da quella bella spera mi disleghe».

24. 31 Poscia fermato, il foco benedetto
24. 32 a la mia donna dirizzò lo spiro,
24. 33 che favellò così com'i' ho detto.

24. 34 Ed ella: «O luce etterna del gran viro
24. 35 a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
24. 36 ch'ei portò giù, di questo gaudio miro,

24. 37 tenta costui di punti lievi e gravi,
24. 38 come ti piace, intorno de la fede,
24. 39 per la qual tu su per lo mare andavi.

24. 40 S'elli ama bene e bene spera e crede,
24. 41 non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi
24. 42 dov'ogne cosa dipinta si vede;

24. 43 ma perché questo regno ha fatto civi
24. 44 per la verace fede, a gloriarla,
24. 45 di lei parlare è ben ch'a lui arrivi».

24. 46 Sì come il baccialier s'arma e non parla
24. 47 fin che 'l maestro la question propone,
24. 48 per approvarla, non per terminarla,

24. 49 così m'armava io d'ogne ragione
24. 50 mentre ch'ella dicea, per esser presto
24. 51 a tal querente e a tal professione.

24. 52 «Di', buon Cristiano, fatti manifesto:
24. 53 fede che è?». Ond'io levai la fronte
24. 54 in quella luce onde spirava questo;

24. 55 poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
24. 56 sembianze femmi perch'io spandessi
24. 57 l'acqua di fuor del mio interno fonte.

24. 58 «La Grazia che mi dà ch'io mi confessi»,
24. 59 comincia' io, «da l'alto primipilo,
24. 60 faccia li miei concetti bene espressi».

24. 61 E seguitai: «Come 'l verace stilo
24. 62 ne scrisse, padre, del tuo caro frate
24. 63 che mise teco Roma nel buon filo,

24. 64 fede è sustanza di cose sperate
24. 65 e argomento de le non parventi;
24. 66 e questa pare a me sua quiditate».

24. 67 Allora udi' : «Dirittamente senti,
24. 68 se bene intendi perché la ripuose
24. 69 tra le sustanze, e poi tra li argomenti».

24. 70 E io appresso: «Le profonde cose
24. 71 che mi largiscon qui la lor parvenza,
24. 72 a li occhi di là giù son sì ascose,

24. 73 che l'esser loro v'è in sola credenza,
24. 74 sopra la qual si fonda l'alta spene;
24. 75 e però di sustanza prende intenza.

24. 76 E da questa credenza ci convene
24. 77 silogizzar, sanz'avere altra vista:
24. 78 però intenza d'argomento tene».

24. 79 Allora udi': «Se quantunque s'acquista
24. 80 giù per dottrina, fosse così 'nteso,
24. 81 non lì avria loco ingegno di sofista».

24. 82 Così spirò di quello amore acceso;
24. 83 indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
24. 84 d'esta moneta già la lega e 'l peso;

24. 85 ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa».
24. 86 Ond'io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
24. 87 che nel suo conio nulla mi s'inforsa».

24. 88 Appresso uscì de la luce profonda
24. 89 che lì splendeva: «Questa cara gioia
24. 90 sopra la quale ogne virtù si fonda,

24. 91 onde ti venne?». E io: «La larga ploia
24. 92 de lo Spirito Santo, ch'è diffusa
24. 93 in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,

24. 94 è silogismo che la m'ha conchiusa
24. 95 acutamente sì, che 'nverso d'ella
24. 96 ogne dimostrazion mi pare ottusa».

24. 97 Io udi' poi: «L'antica e la novella
24. 98 proposizion che così ti conchiude,
24. 99 perché l'hai tu per divina favella?».

24.100 E io: «La prova che 'l ver mi dischiude,
24.101 son l'opere seguite, a che natura
24.102 non scalda ferro mai né batte incude».

24.103 Risposto fummi: «Di', chi t'assicura
24.104 che quell'opere fosser? Quel medesmo
24.105 che vuol provarsi, non altri, il ti giura».

24.106 «Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo»,
24.107 diss'io, «sanza miracoli, quest'uno
24.108 è tal, che li altri non sono il centesmo:

24.109 ché tu intrasti povero e digiuno
24.110 in campo, a seminar la buona pianta
24.111 che fu già vite e ora è fatta pruno».

24.112 Finito questo, l'alta corte santa
24.113 risonò per le spere un `Dio laudamo'
24.114 ne la melode che là sù si canta.

24.115 E quel baron che sì di ramo in ramo,
24.116 essaminando, già tratto m'avea,
24.117 che a l'ultime fronde appressavamo,

24.118 ricominciò: «La Grazia, che donnea
24.119 con la tua mente, la bocca t'aperse
24.120 infino a qui come aprir si dovea,

24.121 sì ch'io approvo ciò che fuori emerse;
24.122 ma or conviene espremer quel che credi,
24.123 e onde a la credenza tua s'offerse».

24.124 «O santo padre, e spirito che vedi
24.125 ciò che credesti sì, che tu vincesti
24.126 ver' lo sepulcro più giovani piedi»,

24.127 comincia' io, «tu vuo' ch'io manifesti
24.128 la forma qui del pronto creder mio,
24.129 e anche la cagion di lui chiedesti.

24.130 E io rispondo: Io credo in uno Dio
24.131 solo ed etterno, che tutto 'l ciel move,
24.132 non moto, con amore e con disio;

24.133 e a tal creder non ho io pur prove
24.134 fisice e metafisice, ma dalmi
24.135 anche la verità che quinci piove

24.136 per Moisè, per profeti e per salmi,
24.137 per l'Evangelio e per voi che scriveste
24.138 poi che l'ardente Spirto vi fé almi;

24.139 e credo in tre persone etterne, e queste
24.140 credo una essenza sì una e sì trina,
24.141 che soffera congiunto "sono" ed "este".

24.142 De la profonda condizion divina
24.143 ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
24.144 più volte l'evangelica dottrina.

24.145 Quest'è 'l principio, quest'è la favilla
24.146 che si dilata in fiamma poi vivace,
24.147 e come stella in cielo in me scintilla».

24.148 Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,
24.149 da indi abbraccia il servo, gratulando
24.150 per la novella, tosto ch'el si tace;

24.151 così, benedicendomi cantando,
24.152 tre volte cinse me, sì com'io tacqui,
24.153 l'appostolico lume al cui comando
24.154 io avea detto: sì nel dir li piacqui!

Anonimo ha detto...

30. 1 Forse semilia miglia di lontano
30. 2 ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
30. 3 china già l'ombra quasi al letto piano,

30. 4 quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,
30. 5 comincia a farsi tal, ch'alcuna stella
30. 6 perde il parere infino a questo fondo;

30. 7 e come vien la chiarissima ancella
30. 8 del sol più oltre, così 'l ciel si chiude
30. 9 di vista in vista infino a la più bella.

30. 10 Non altrimenti il triunfo che lude
30. 11 sempre dintorno al punto che mi vinse,
30. 12 parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,

30. 13 a poco a poco al mio veder si stinse:
30. 14 per che tornar con li occhi a Beatrice
30. 15 nulla vedere e amor mi costrinse.

30. 16 Se quanto infino a qui di lei si dice
30. 17 fosse conchiuso tutto in una loda,
30. 18 poca sarebbe a fornir questa vice.

30. 19 La bellezza ch'io vidi si trasmoda
30. 20 non pur di là da noi, ma certo io credo
30. 21 che solo il suo fattor tutta la goda.

30. 22 Da questo passo vinto mi concedo
30. 23 più che già mai da punto di suo tema
30. 24 soprato fosse comico o tragedo:

30. 25 ché, come sole in viso che più trema,
30. 26 così lo rimembrar del dolce riso
30. 27 la mente mia da me medesmo scema.

30. 28 Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso
30. 29 in questa vita, infino a questa vista,
30. 30 non m'è il seguire al mio cantar preciso;

30. 31 ma or convien che mio seguir desista
30. 32 più dietro a sua bellezza, poetando,
30. 33 come a l'ultimo suo ciascuno artista.

30. 34 Cotal qual io la lascio a maggior bando
30. 35 che quel de la mia tuba, che deduce
30. 36 l'ardua sua matera terminando,

30. 37 con atto e voce di spedito duce
30. 38 ricominciò: «Noi siamo usciti fore
30. 39 del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:

30. 40 luce intellettual, piena d'amore;
30. 41 amor di vero ben, pien di letizia;
30. 42 letizia che trascende ogne dolzore.

30. 43 Qui vederai l'una e l'altra milizia
30. 44 di paradiso, e l'una in quelli aspetti
30. 45 che tu vedrai a l'ultima giustizia».

30. 46 Come sùbito lampo che discetti
30. 47 li spiriti visivi, sì che priva
30. 48 da l'atto l'occhio di più forti obietti,

30. 49 così mi circunfulse luce viva,
30. 50 e lasciommi fasciato di tal velo
30. 51 del suo fulgor, che nulla m'appariva.

30. 52 «Sempre l'amor che queta questo cielo
30. 53 accoglie in sé con sì fatta salute,
30. 54 per far disposto a sua fiamma il candelo».

30. 55 Non fur più tosto dentro a me venute
30. 56 queste parole brievi, ch'io compresi
30. 57 me sormontar di sopr'a mia virtute;

30. 58 e di novella vista mi raccesi
30. 59 tale, che nulla luce è tanto mera,
30. 60 che li occhi miei non si fosser difesi;

30. 61 e vidi lume in forma di rivera
30. 62 fulvido di fulgore, intra due rive
30. 63 dipinte di mirabil primavera.

30. 64 Di tal fiumana uscian faville vive,
30. 65 e d'ogne parte si mettìen ne' fiori,
30. 66 quasi rubin che oro circunscrive;

30. 67 poi, come inebriate da li odori,
30. 68 riprofondavan sé nel miro gurge;
30. 69 e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.

30. 70 «L'alto disio che mo t'infiamma e urge,
30. 71 d'aver notizia di ciò che tu vei,
30. 72 tanto mi piace più quanto più turge;

30. 73 ma di quest'acqua convien che tu bei
30. 74 prima che tanta sete in te si sazi»:
30. 75 così mi disse il sol de li occhi miei.

30. 76 Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
30. 77 ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe
30. 78 son di lor vero umbriferi prefazi.

30. 79 Non che da sé sian queste cose acerbe;
30. 80 ma è difetto da la parte tua,
30. 81 che non hai viste ancor tanto superbe».

30. 82 Non è fantin che sì sùbito rua
30. 83 col volto verso il latte, se si svegli
30. 84 molto tardato da l'usanza sua,

30. 85 come fec'io, per far migliori spegli
30. 86 ancor de li occhi, chinandomi a l'onda
30. 87 che si deriva perché vi s'immegli;

30. 88 e sì come di lei bevve la gronda
30. 89 de le palpebre mie, così mi parve
30. 90 di sua lunghezza divenuta tonda.

30. 91 Poi, come gente stata sotto larve,
30. 92 che pare altro che prima, se si sveste
30. 93 la sembianza non sua in che disparve,

30. 94 così mi si cambiaro in maggior feste
30. 95 li fiori e le faville, sì ch'io vidi
30. 96 ambo le corti del ciel manifeste.

30. 97 O isplendor di Dio, per cu' io vidi
30. 98 l'alto triunfo del regno verace,
30. 99 dammi virtù a dir com'io il vidi!

30.100 Lume è là sù che visibile face
30.101 lo creatore a quella creatura
30.102 che solo in lui vedere ha la sua pace.

30.103 E' si distende in circular figura,
30.104 in tanto che la sua circunferenza
30.105 sarebbe al sol troppo larga cintura.

30.106 Fassi di raggio tutta sua parvenza
30.107 reflesso al sommo del mobile primo,
30.108 che prende quindi vivere e potenza.

30.109 E come clivo in acqua di suo imo
30.110 si specchia, quasi per vedersi addorno,
30.111 quando è nel verde e ne' fioretti opimo,

30.112 sì, soprastando al lume intorno intorno,
30.113 vidi specchiarsi in più di mille soglie
30.114 quanto di noi là sù fatto ha ritorno.

30.115 E se l'infimo grado in sé raccoglie
30.116 sì grande lume, quanta è la larghezza
30.117 di questa rosa ne l'estreme foglie!

30.118 La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza
30.119 non si smarriva, ma tutto prendeva
30.120 il quanto e 'l quale di quella allegrezza.

30.121 Presso e lontano, lì, né pon né leva:
30.122 ché dove Dio sanza mezzo governa,
30.123 la legge natural nulla rileva.

30.124 Nel giallo de la rosa sempiterna,
30.125 che si digrada e dilata e redole
30.126 odor di lode al sol che sempre verna,

30.127 qual è colui che tace e dicer vole,
30.128 mi trasse Beatrice, e disse: «Mira
30.129 quanto è 'l convento de le bianche stole!

30.130 Vedi nostra città quant'ella gira;
30.131 vedi li nostri scanni sì ripieni,
30.132 che poca gente più ci si disira.

30.133 E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
30.134 per la corona che già v'è sù posta,
30.135 prima che tu a queste nozze ceni,

30.136 sederà l'alma, che fia giù agosta,
30.137 de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
30.138 verrà in prima ch'ella sia disposta.

30.139 La cieca cupidigia che v'ammalia
30.140 simili fatti v'ha al fantolino
30.141 che muor per fame e caccia via la balia.

30.142 E fia prefetto nel foro divino
30.143 allora tal, che palese e coverto
30.144 non anderà con lui per un cammino.

30.145 Ma poco poi sarà da Dio sofferto
30.146 nel santo officio; ch'el sarà detruso
30.147 là dove Simon mago è per suo merto,
30.148 e farà quel d'Alagna intrar più giuso».

Anonimo ha detto...

32. 1 Affetto al suo piacer, quel contemplante
32. 2 libero officio di dottore assunse,
32. 3 e cominciò queste parole sante:

32. 4 «La piaga che Maria richiuse e unse,
32. 5 quella ch'è tanto bella da' suoi piedi
32. 6 è colei che l'aperse e che la punse.

32. 7 Ne l'ordine che fanno i terzi sedi,
32. 8 siede Rachel di sotto da costei
32. 9 con Beatrice, sì come tu vedi.

32. 10 Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
32. 11 che fu bisava al cantor che per doglia
32. 12 del fallo disse "*Miserere mei*",

32. 13 puoi tu veder così di soglia in soglia
32. 14 giù digradar, com'io ch'a proprio nome
32. 15 vo per la rosa giù di foglia in foglia.

32. 16 E dal settimo grado in giù, sì come
32. 17 infino ad esso, succedono Ebree,
32. 18 dirimendo del fior tutte le chiome;

32. 19 perché, secondo lo sguardo che fée
32. 20 la fede in Cristo, queste sono il muro
32. 21 a che si parton le sacre scalee.

32. 22 Da questa parte onde 'l fiore è maturo
32. 23 di tutte le sue foglie, sono assisi
32. 24 quei che credettero in Cristo venturo;

32. 25 da l'altra parte onde sono intercisi
32. 26 di vòti i semicirculi, si stanno
32. 27 quei ch'a Cristo venuto ebber li visi.

32. 28 E come quinci il glorioso scanno
32. 29 de la donna del cielo e li altri scanni
32. 30 di sotto lui cotanta cerna fanno,

32. 31 così di contra quel del gran Giovanni,
32. 32 che sempre santo 'l diserto e 'l martiro
32. 33 sofferse, e poi l'inferno da due anni;

32. 34 e sotto lui così cerner sortiro
32. 35 Francesco, Benedetto e Augustino
32. 36 e altri fin qua giù di giro in giro.

32. 37 Or mira l'alto proveder divino:
32. 38 ché l'uno e l'altro aspetto de la fede
32. 39 igualmente empierà questo giardino.

32. 40 E sappi che dal grado in giù che fiede
32. 41 a mezzo il tratto le due discrezioni,
32. 42 per nullo proprio merito si siede,

32. 43 ma per l'altrui, con certe condizioni:
32. 44 ché tutti questi son spiriti ascolti
32. 45 prima ch'avesser vere elezioni.

32. 46 Ben te ne puoi accorger per li volti
32. 47 e anche per le voci puerili,
32. 48 se tu li guardi bene e se li ascolti.

32. 49 Or dubbi tu e dubitando sili;
32. 50 ma io discioglierò 'l forte legame
32. 51 in che ti stringon li pensier sottili.

32. 52 Dentro a l'ampiezza di questo reame
32. 53 casual punto non puote aver sito,
32. 54 se non come tristizia o sete o fame:

32. 55 ché per etterna legge è stabilito
32. 56 quantunque vedi, sì che giustamente
32. 57 ci si risponde da l'anello al dito;

32. 58 e però questa festinata gente
32. 59 a vera vita non è *sine causa*
32. 60 intra sé qui più e meno eccellente.

32. 61 Lo rege per cui questo regno pausa
32. 62 in tanto amore e in tanto diletto,
32. 63 che nulla volontà è di più ausa,

32. 64 le menti tutte nel suo lieto aspetto
32. 65 creando, a suo piacer di grazia dota
32. 66 diversamente; e qui basti l'effetto.

32. 67 E ciò espresso e chiaro vi si nota
32. 68 ne la Scrittura santa in quei gemelli
32. 69 che ne la madre ebber l'ira commota.

32. 70 Però, secondo il color d'i capelli,
32. 71 di cotal grazia l'altissimo lume
32. 72 degnamente convien che s'incappelli.

32. 73 Dunque, sanza mercé di lor costume,
32. 74 locati son per gradi differenti,
32. 75 sol differendo nel primiero acume.

32. 76 Bastavasi ne' secoli recenti
32. 77 con l'innocenza, per aver salute,
32. 78 solamente la fede d'i parenti;

32. 79 poi che le prime etadi fuor compiute,
32. 80 convenne ai maschi a l'innocenti penne
32. 81 per circuncidere acquistar virtute;

32. 82 ma poi che 'l tempo de la grazia venne,
32. 83 sanza battesmo perfetto di Cristo
32. 84 tale innocenza là giù si ritenne.

32. 85 Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
32. 86 più si somiglia, ché la sua chiarezza
32. 87 sola ti può disporre a veder Cristo».

32. 88 Io vidi sopra lei tanta allegrezza
32. 89 piover, portata ne le menti sante
32. 90 create a trasvolar per quella altezza,

32. 91 che quantunque io avea visto davante,
32. 92 di tanta ammirazion non mi sospese,
32. 93 né mi mostrò di Dio tanto sembiante;

32. 94 e quello amor che primo lì discese,
32. 95 cantando "*Ave, Maria, gratia plena*",
32. 96 dinanzi a lei le sue ali distese.

32. 97 Rispuose a la divina cantilena
32. 98 da tutte parti la beata corte,
32. 99 sì ch'ogne vista sen fé più serena.

32.100 «O santo padre, che per me comporte
32.101 l'esser qua giù, lasciando il dolce loco
32.102 nel qual tu siedi per etterna sorte,

32.103 qual è quell'angel che con tanto gioco
32.104 guarda ne li occhi la nostra regina,
32.105 innamorato sì che par di foco?».

32.106 Così ricorsi ancora a la dottrina
32.107 di colui ch'abbelliva di Maria,
32.108 come del sole stella mattutina.

32.109 Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
32.110 quant'esser puote in angelo e in alma,
32.111 tutta è in lui; e sì volem che sia,

32.112 perch'elli è quelli che portò la palma
32.113 giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio
32.114 carcar si volse de la nostra salma.

32.115 Ma vieni omai con li occhi sì com'io
32.116 andrò parlando, e nota i gran patrici
32.117 di questo imperio giustissimo e pio.

32.118 Quei due che seggon là sù più felici
32.119 per esser propinquissimi ad Augusta,
32.120 son d'esta rosa quasi due radici:

32.121 colui che da sinistra le s'aggiusta
32.122 è il padre per lo cui ardito gusto
32.123 l'umana specie tanto amaro gusta;

32.124 dal destro vedi quel padre vetusto
32.125 di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi
32.126 raccomandò di questo fior venusto.

32.127 E quei che vide tutti i tempi gravi,
32.128 pria che morisse, de la bella sposa
32.129 che s'acquistò con la lancia e coi clavi,

32.130 siede lungh'esso, e lungo l'altro posa
32.131 quel duca sotto cui visse di manna
32.132 la gente ingrata, mobile e retrosa.

32.133 Di contr'a Pietro vedi sedere Anna,
32.134 tanto contenta di mirar sua figlia,
32.135 che non move occhio per cantare osanna;

32.136 e contro al maggior padre di famiglia
32.137 siede Lucia, che mosse la tua donna,
32.138 quando chinavi, a rovinar, le ciglia.

32.139 Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna,
32.140 qui farem punto, come buon sartore
32.141 che com'elli ha del panno fa la gonna;

32.142 e drizzeremo li occhi al primo amore,
32.143 sì che, guardando verso lui, penètri
32.144 quant'è possibil per lo suo fulgore.

32.145 Veramente, *ne* forse tu t'arretri
32.146 movendo l'ali tue, credendo oltrarti,
32.147 orando grazia conven che s'impetri

32.148 grazia da quella che puote aiutarti;
32.149 e tu mi seguirai con l'affezione,
32.150 sì che dal dicer mio lo cor non parti».
32.151 E cominciò questa santa orazione:

Anonimo ha detto...

Ma questo coglione chi lo abbatte?

Anonimo ha detto...

Bel modo per evitare di rispondere alle domande. Ma del resto cosa si poteva pretendere. Non date spiegazioni quando le dovete dare figuriamoci qui.

Anonimo ha detto...

hai ragione, porco dio!!! e l'ultimo verso è pure più ecclesiastico dell'originale!
puppaaaaa

Anonimo ha detto...

Ma che spiegazioni deve dare questo cretino....

Anonimo ha detto...

Visto che ti trovi perché non ci scrivi anche i promessi sposi?

Anonimo ha detto...

io nn volevo considerarti ma ad esprimerti così dimostri che, oltre ad essere un maleducato, non sai confrontarti con le persone e non rispetti neppure gli altri che cercano un dialogo sereno perchè cerchi di interrompere la sequenza logica ai commenti inserendo paginate di disturbo.. complimenti poi non lamentarti se i GO ti trattano male una volta tanto che si potrebbe parlare con loro fuori dal forum.. e studiatela la divina commdia, magari impari anche qualche vocabolo che non sia una bestemmia.. io attendo sempre e ancora una risposta alle mie domande..

Anonimo ha detto...

Capitolo I

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia. Dall'una all'altra di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio all'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell'acqua; di qua lago, chiuso all'estremità o piùttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l'acqua riflette capovolti, co' paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra' monti che l'accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch'essi nell'orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l'ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell'altre vedute.

Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi.

Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci autentici, che potranno darne una bastante de' suoi caratteri principali, degli sforzi fatti per ispegnerla, e della sua dura e rigogliosa vitalità.

Fino dall'otto aprile dell'anno 1583, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d'Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi... i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno... ma, senza salario, o pur con esso, s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante... per fargli spalle e favore, o veramente, come si può presumere, per tendere insidie ad altri... A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a' renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l'esecuzione dell'ordine. Ma, nell'anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero, dà fuori un'altra grida, ancor più vigorosa e notabile, nella quale, tra l'altre ordinazioni, prescrive:

Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno... per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo... et ancorché non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come di sopra. Tutto ciò, e il di più che si tralascia, perché Sua Eccellenza è risoluta di voler essere obbedita da ognuno.

All'udir parole d'un tanto signore, così gagliarde e sicure, e accompagnate da tali ordini, viene una gran voglia di credere che, al solo rimbombo di esse, tutti i bravi siano scomparsi per sempre. Ma la testimonianza d'un signore non meno autorevole, né meno dotato di nomi, ci obbliga a credere tutto il contrario. È questi l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Juan Fernandez de Velasco, Contestabile di Castiglia, Cameriero maggiore di Sua Maestà, Duca della Città di Frias, Conte di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di Velasco, e di quella delli sette Infanti di Lara, Governatore dello Stato di Milano, etc. Il 5 giugno dell'anno 1593, pienamente informato anche lui di quanto danno e rovine sieno... i bravi e vagabondi, e del pessimo effetto che tal sorta di gente, fa contra il ben pubblico, et in delusione della giustizia, intima loro di nuovo che, nel termine di giorni sei, abbiano a sbrattare il paese, ripetendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce medesime del suo predecessore. Il 23 maggio poi dell'anno 1598, informato, con non poco dispiacere dell'animo suo, che... ogni dì più in questa Città e Stato va crescendo il numero di questi tali(bravi e vagabondi), né di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite appostatamente date, omicidii e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai quali si rendono più facili, confidati essi bravi d'essere aiutati dai capi e fautori loro... prescrive di nuovo gli stessi rimedi, accrescendo la dose, come s'usa nelle malattie ostinate. Ognuno dunque, conchiude poi, onninamente si guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida presente, perché, in luogo di provare la clemenza di Sua Eccellenza, proverà il rigore, e l'ira sua... essendo risoluta e determinata che questa sia l'ultima e perentoria monizione.

Non fu però di questo parere l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Pietro Enriquez de Acevedo, Conte di Fuentes, Capitano, e Governatore dello Stato di Milano; non fu di questo parere, e per buone ragioni. Pienamente informato della miseria in che vive questa Città e Stato per cagione del gran numero di bravi che in esso abbonda... e risoluto di totalmente estirpare seme tanto pernizioso, dà fuori, il 5 decembre 1600, una nuova grida piena anch'essa di severissime comminazioni, con fermo proponimento che, con ogni rigore, e senza speranza di remissione, siano onninamente eseguite.

Convien credere però che non ci si mettesse con tutta quella buona voglia che sapeva impiegare nell'ordir cabale, e nel suscitar nemici al suo gran nemico Enrico IV; giacché, per questa parte, la storia attesta come riuscisse ad armare contro quel re il duca di Savoia, a cui fece perder più d'una città; come riuscisse a far congiurare il duca di Biron, a cui fece perder la testa; ma, per ciò che riguarda quel seme tanto pernizioso de' bravi, certo è che esso continuava a germogliare, il 22 settembre dell'anno 1612. In quel giorno l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Giovanni de Mendozza, Marchese de la Hynojosa, Gentiluomo etc., Governatore etc., pensò seriamente ad estirparlo. A quest'effetto, spedì a Pandolfo e Marco Tullio Malatesti, stampatori regii camerali, la solita grida, corretta ed accresciuta, perché la stampassero ad esterminio de' bravi. Ma questi vissero ancora per ricevere, il 24 decembre dell'anno 1618, gli stessi e più forti colpi dall'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Gomez Suarez de Figueroa, Duca di Feria, etc., Governatore etc. Però, non essendo essi morti neppur di quelli, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Gonzalo Fernandez di Cordova, sotto il cui governo accadde la passeggiata di don Abbondio, s'era trovato costretto a ricorreggere e ripubblicare la solita grida contro i bravi, il giorno 5 ottobre del 1627, cioè un anno, un mese e due giorni prima di quel memorabile avvenimento.

Né fu questa l'ultima pubblicazione; ma noi delle posteriori non crediamo dover far menzione, come di cosa che esce dal periodo della nostra storia. Ne accenneremo soltanto una del 13 febbraio dell'anno 1632, nella quale l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, el Duque de Feria, per la seconda volta governatore, ci avvisa che le maggiori sceleraggini procedono da quelli che chiamano bravi. Questo basta ad assicurarci che, nel tempo di cui noi trattiamo, c'era de' bravi tuttavia.

Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt'e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s'era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l'altro s'era staccato dal muro; e tutt'e due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s'avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l'indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all'indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell'occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un'occhiata, al di sopra del muricciolo, ne' campi: nessuno; un'altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell'incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d'abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.

- Signor curato, - disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia.

- Cosa comanda? - rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.

- Lei ha intenzione, - proseguì l'altro, con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere una ribalderia, - lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!

- Cioè... - rispose, con voce tremolante, don Abbondio: - cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.

- Or bene, - gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.

- Ma, signori miei, - replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, - ma, signori miei, si degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...

- Orsù, - interruppe il bravo, - se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c'intende.

- Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...

- Ma, - interruppe questa volta l'altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, - ma il matrimonio non si farà, o... - e qui una buona bestemmia, - o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e... - un'altra bestemmia.

- Zitto, zitto, - riprese il primo oratore: - il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l'illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.

Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand'inchino, e disse: - se mi sapessero suggerire...

- Oh! suggerire a lei che sa di latino! - interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. - A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo?

- Il mio rispetto...

- Si spieghi meglio!

-... Disposto... disposto sempre all'ubbidienza -. E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio.

- Benissimo, e buona notte, messere, - disse l'un d'essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. - Signori... - cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond'era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l'altra, che parevano aggranchiate. Come stesse di dentro, s'intenderà meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, e de' tempi in cui gli era toccato di vivere.

Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da' primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d'esser divorato. La forza legale non proteggeva in alcun conto l'uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse essergli d'impedimento a proferire una condanna: gli squarci che abbiam riportati delle gride contro i bravi, ne sono un piccolo, ma fedel saggio. Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l'impotenza de' loro autori; o, se producevan qualche effetto immediato, era principalmente d'aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da' perturbatori, e d'accrescer le violenze e l'astuzia di questi. L'impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d'alcune classi, in parte riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività d'interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora, quest'impunità minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi. Così accadeva in effetto; e, all'apparire delle gride dirette a comprimere i violenti, questi cercavano nella loro forza reale i nuovi mezzi più opportuni, per continuare a far ciò che le gride venivano a proibire. Potevan ben esse inceppare a ogni passo, e molestare l'uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza protezione; perché, col fine d'aver sotto la mano ogni uomo, per prevenire o per punire ogni delitto, assoggettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d'esecutori d'ogni genere. Ma chi, prima di commettere il delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter piede; chi, senz'altre precauzioni, portava una livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l'interesse d'una famiglia potente, di tutto un ceto, era libero nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessi ch'eran deputati a farle eseguire, alcuni appartenevano per nascita alla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli uni e gli altri, per educazione, per interesse, per consuetudine, per imitazione, ne avevano abbracciate le massime, e si sarebbero ben guardati dall'offenderle, per amor d'un pezzo di carta attaccato sulle cantonate. Gli uomini poi incaricati dell'esecuzione immediata, quando fossero stati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, e pronti a sacrificarsi come martiri, non avrebber però potuto venirne alla fine, inferiori com'eran di numero a quelli che si trattava di sottomettere, e con una gran probabilità d'essere abbandonati da chi, in astratto e, per così dire, in teoria, imponeva loro di operare. Ma, oltre di ciò, costoro eran generalmente de' più abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo; l'incarico loro era tenuto a vile anche da quelli che potevano averne terrore, e il loro titolo un improperio. Era quindi ben naturale che costoro, in vece d'arrischiare, anzi di gettar la vita in un'impresa disperata, vendessero la loro inazione, o anche la loro connivenza ai potenti, e si riservassero a esercitare la loro esecrata autorità e la forza che pure avevano, in quelle occasioni dove non c'era pericolo; nell'opprimer cioè, e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa.

L'uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d'essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in que' tempi, portata al massimo punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l'individuo trovava il vantaggio d'impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene l'impunità. Le forze però di queste varie leghe eran molto disuguali; e, nelle campagne principalmente, il nobile dovizioso e violento, con intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini avvezzi, per tradizione famigliare, e interessati o forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldati del padrone, esercitava un potere, a cui difficilmente nessun'altra frazione di lega avrebbe ivi potuto resistere.

Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema particolare. Don Abbondio, assorbito continuamente ne' pensieri della propria quiete, non si curava di que' vantaggi, per ottenere i quali facesse bisogno d'adoperarsi molto, o d'arrischiarsi un poco. Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate. Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch'io mi sarei messo dalla vostra parte. Stando alla larga da' prepotenti, dissimulando le loro soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da un'intenzione più seria e più meditata, costringendo, a forza d'inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl'incontrava per la strada, il pover'uomo era riuscito a passare i sessant'anni, senza gran burrasche.

Non è però che non avesse anche lui il suo po' di fiele in corpo; e quel continuo esercitar la pazienza, quel dar così spesso ragione agli altri, que' tanti bocconi amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato a segno che, se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli un po' di sfogo, la sua salute n'avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v'eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch'egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d'essere un po' fantastico, e di gridare a torto. Era poi un rigido censore degli uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto era almeno un imprudente; l'ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro. Sopra tutto poi, declamava contro que' suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d'un debole oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gl'impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamente, ch'era un mischiarsi nelle cose profane, a danno della dignità del sacro ministero. E contro questi predicava, sempre però a quattr'occhi, o in un piccolissimo crocchio, con tanto più di veemenza, quanto più essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi, in cosa che li toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti incontri.

Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull'animo del poveretto, quello che s'è raccontato. Lo spavento di que' visacci e di quelle parolacce, la minaccia d'un signore noto per non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch'era costato tant'anni di studio e di pazienza, sconcertato in un punto, e un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano tumultuariamente nel capo basso di don Abbondio. "Se Renzo si potesse mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche costui è una testa: un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli... ih! E poi, e poi, perduto dietro a quella Lucia, innamorato come... Ragazzacci, che, per non saper che fare, s'innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro; non si fanno carico de' travagli in che mettono un povero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e prenderla con me! Che c'entro io? Son io che voglio maritarmi? Perché non son andati piuttosto a parlare... Oh vedete un poco: gran destino è il mio, che le cose a proposito mi vengan sempre in mente un momento dopo l'occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che andassero a portar la loro imbasciata..." Ma, a questo punto, s'accorse che il pentirsi di non essere stato consigliere e cooperatore dell'iniquità era cosa troppo iniqua; e rivolse tutta la stizza de' suoi pensieri contro quell'altro che veniva così a togliergli la sua pace. Non conosceva don Rodrigo che di vista e di fama, né aveva mai avuto che far con lui, altro che di toccare il petto col mento, e la terra con la punta del suo cappello, quelle poche volte che l'aveva incontrato per la strada. Gli era occorso di difendere, in più d'un'occasione, la riputazione di quel signore, contro coloro che, a bassa voce, sospirando, e alzando gli occhi al cielo, maledicevano qualche suo fatto: aveva detto cento volte ch'era un rispettabile cavaliere. Ma, in quel momento gli diede in cuor suo tutti que' titoli che non aveva mai udito applicargli da altri, senza interrompere in fretta con un oibò. Giunto, tra il tumulto di questi pensieri, alla porta di casa sua, ch'era in fondo del paesello, mise in fretta nella toppa la chiave, che già teneva in mano; aprì, entrò, richiuse diligentemente; e, ansioso di trovarsi in una compagnia fidata, chiamò subito: - Perpetua! Perpetua! -, avviandosi pure verso il salotto, dove questa doveva esser certamente ad apparecchiar la tavola per la cena. Era Perpetua, come ognun se n'avvede, la serva di don Abbondio: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l'occasione, tollerare a tempo il brontolìo e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che divenivan di giorno in giorno più frequenti, da che aveva passata l'età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche.

- Vengo, - rispose, mettendo sul tavolino, al luogo solito, il fiaschetto del vino prediletto di don Abbondio, e si mosse lentamente; ma non aveva ancor toccata la soglia del salotto, ch'egli v'entrò, con un passo così legato, con uno sguardo così adombrato, con un viso così stravolto, che non ci sarebbero nemmen bisognati gli occhi esperti di Perpetua, per iscoprire a prima vista che gli era accaduto qualche cosa di straordinario davvero.

- Misericordia! cos'ha, signor padrone?

- Niente, niente, - rispose don Abbondio, lasciandosi andar tutto ansante sul suo seggiolone.

- Come, niente? La vuol dare ad intendere a me? così brutto com'è? Qualche gran caso è avvenuto.

- Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire.

- Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà cura della sua salute? Chi le darà un parere?...

- Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un bicchiere del mio vino.

- E lei mi vorrà sostenere che non ha niente! - disse Perpetua, empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare.

- Date qui, date qui, - disse don Abbondio, prendendole il bicchiere, con la mano non ben ferma, e votandolo poi in fretta, come se fosse una medicina.

- Vuol dunque ch'io sia costretta di domandar qua e là cosa sia accaduto al mio padrone? - disse Perpetua, ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto.

- Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va... ne va la vita!

- La vita!

- La vita.

- Lei sa bene che, ogni volta che m'ha detto qualche cosa sinceramente, in confidenza, io non ho mai...

- Brava! come quando...

Perpetua s'avvide d'aver toccato un tasto falso; onde, cambiando subito il tono, - signor padrone, - disse, con voce commossa e da commovere, - io le sono sempre stata affezionata; e, se ora voglio sapere, è per premura, perché vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere, sollevarle l'animo...

Il fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Perpetua di conoscerlo; onde, dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più d'una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso. Quando si venne al nome terribile del mandante, bisognò che Perpetua proferisse un nuovo e più solenne giuramento; e don Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla spalliera della seggiola, con un gran sospiro, alzando le mani, in atto insieme di comando e di supplica, e dicendo: - per amor del cielo!

- Delle sue! - esclamò Perpetua. - Oh che birbone! oh che soverchiatore! oh che uomo senza timor di Dio!

- Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?

- Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come farà, povero signor padrone?

- Oh vedete, - disse don Abbondio, con voce stizzosa: - vedete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come farò, come farò; quasi fosse lei nell'impiccio, e toccasse a me di levarnela.

- Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi...

- Ma poi, sentiamo.

- Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il nostro arcivescovo è un sant'uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno, e, quando può fare star a dovere un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera, per informarlo come qualmente...

- Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a un pover'uomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l'arcivescovo me la leverebbe?

- Eh! le schioppettate non si dànno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto perché lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a...

- Volete tacere?

- Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s'accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le...

- Volete tacere? È tempo ora di dir codeste baggianate?

- Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi un boccone.

- Ci penserò io, - rispose, brontolando, don Abbondio: - sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare - E s'alzò, continuando: - non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader per l'appunto a me.

- Mandi almen giù quest'altro gocciolo, - disse Perpetua, mescendo. - Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.

- Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro. Così dicendo prese il lume, e, brontolando sempre: - una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani com'andrà? - e altre simili lamentazioni, s'avviò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro verso Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne : - per amor del cielo! -, e disparve.

Anonimo ha detto...

Capitolo II

Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non che l'indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in consulte angosciose. Non far caso dell'intimazione ribalda, né delle minacce, e fare il matrimonio, era un partito, che non volle neppur mettere in deliberazione. Confidare a Renzo l'occorrente, e cercar con lui qualche mezzo... Dio liberi! - Non si lasci scappar parola... altrimenti... ehm! - aveva detto un di que' bravi; e, al sentirsi rimbombar quell'ehm! nella mente, don Abbondio, non che pensare a trasgredire una tal legge, si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fuggire? Dove? E poi! Quant'impicci, e quanti conti da rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover'uomo si rivoltava nel letto. Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe. Si rammentò a proposito, che mancavan pochi giorni al tempo proibito per le nozze; "e, se posso tenere a bada, per questi pochi giorni, quel ragazzone, ho poi due mesi di respiro; e, in due mesi, può nascer di gran cose". Ruminò pretesti da metter in campo; e, benché gli paressero un po' leggieri, pur s'andava rassicurando col pensiero che la sua autorità gli avrebbe fatti parer di giusto peso, e che la sua antica esperienza gli darebbe gran vantaggio sur un giovanetto ignorante. "Vedremo, - diceva tra sé: - egli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle: il più interessato son io, lasciando stare che sono il più accorto. Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo". Fermato così un poco l'animo a una deliberazione, poté finalmente chiuder occhio: ma che sonno! che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate. Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio, è un momento molto amaro. La mente, appena risentita, ricorre all'idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosamente questo momento, don Abbondio ricapitolò subito i suoi disegni della notte, si confermò in essi, gli ordinò meglio, s'alzò, e stette aspettando Renzo con timore e, ad un tempo, con impazienza. Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v'andò, con la lieta furia d'un uomo di vent'anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama. Era, fin dall'adolescenza, rimasto privo de' parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua famiglia; professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a segno che un abile operaio non potesse cavarne di che vivere onestamente. Il lavoro andava di giorno in giorno scemando; ma l'emigrazione continua de' lavoranti, attirati negli stati vicini da promesse, da privilegi e da grosse paghe, faceva sì che non ne mancasse ancora a quelli che rimanevano in paese. Oltre di questo, possedeva Renzo un poderetto che faceva lavorare e lavorava egli stesso, quando il filatoio stava fermo; di modo che, per la sua condizione, poteva dirsi agiato. E quantunque quell'annata fosse ancor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a provare una vera carestia, pure il nostro giovine, che, da quando aveva messi gli occhi addosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava provvisto bastantemente, e non aveva a contrastar con la fame. Comparve davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello, col suo pugnale del manico bello, nel taschino de' calzoni, con una cert'aria di festa e nello stesso tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti. L'accoglimento incerto e misterioso di don Abbondio fece un contrapposto singolare ai modi gioviali e risoluti del giovinotto.

"Che abbia qualche pensiero per la testa", argomentò Renzo tra sé; poi disse: - son venuto, signor curato, per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.

- Di che giorno volete parlare?

- Come, di che giorno? non si ricorda che s'è fissato per oggi?

- Oggi? - replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta. - Oggi, oggi... abbiate pazienza, ma oggi non posso.

- Oggi non può! Cos'è nato?

- Prima di tutto, non mi sento bene, vedete.

- Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di così poco tempo, e di così poca fatica...

- E poi, e poi, e poi...

- E poi che cosa?

- E poi c'è degli imbrogli.

- Degl'imbrogli? Che imbrogli ci può essere?

- Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer quanti impicci nascono in queste materie, quanti conti s'ha da rendere. Io son troppo dolce di cuore, non penso che a levar di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto, a far le cose secondo il piacere altrui, e trascuro il mio dovere; e poi mi toccan de' rimproveri, e peggio.

- Ma, col nome del cielo, non mi tenga così sulla corda, e mi dica chiaro e netto cosa c'è.

- Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare un matrimonio in regola?

- Bisogna ben ch'io ne sappia qualche cosa, - disse Renzo, cominciando ad alterarsi, - poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non s'è sbrigato ogni cosa? non s'è fatto tutto ciò che s'aveva a fare?

- Tutto, tutto, pare a voi: perché, abbiate pazienza, la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare la gente. Ma ora... basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l'ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.

- Ma mi spieghi una volta cos'è quest'altra formalità che s'ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.

- Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?

- Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?

- Error, conditio, votum, cognatio, crimen,

Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,

Si sis affinis,... - cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.

- Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?

- Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.

- Orsù!...

- Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi...

- Che discorsi son questi, signor mio? - proruppe Renzo, con un volto tra l'attonito e l'adirato.

- Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.

- In somma...

- In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l'ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.

- Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?

- Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet...

- Le ho detto che non voglio latino.

- Ma bisogna pur che vi spieghi...

- Ma non le ha già fatte queste ricerche?

- Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico.

- Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tutto era finito? perché aspettare...

- Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ogni cosa per servirvi più presto: ma... ma ora mi son venute... basta, so io.

- E che vorrebbe ch'io facessi?

- Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caro, qualche giorno non è poi l'eternità: abbiate pazienza.

- Per quanto?

"Siamo a buon porto", pensò fra sé don Abbondio; e, con un fare più manieroso che mai, - via, - disse: - in quindici giorni cercherò,... procurerò...

- Quindici giorni! oh questa sì ch'è nuova! S'è fatto tutto ciò che ha voluto lei; s'è fissato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni! Quindici... - riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e battendo il pugno nell'aria; e chi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se don Abbondio non l'avesse interrotto, prendendogli l'altra mano, con un'amorevolezza timida e premurosa: - via, via, non v'alterate, per amor del cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana...

- E a Lucia che devo dire?

- Ch'è stato un mio sbaglio.

- E i discorsi del mondo?

- Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.

- E poi, non ci sarà più altri impedimenti?

- Quando vi dico...

- Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non m'appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco -. E così detto, se n'andò, facendo a don Abbondio un inchino men profondo del solito, e dandogli un'occhiata più espressiva che riverente.

Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L'accoglienza fredda e impicciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que' due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d'incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell'accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar più chiaro; ma, alzando gli occhi, vide Perpetua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre essa apriva l'uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.

- Buon giorno, Perpetua: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme.

- Ma! quel che Dio vuole, il mio povero Renzo.

- Fatemi un piacere: quel benedett'uomo del signor curato m'ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemi voi meglio perché non può o non vuole maritarci oggi.

- Oh! vi par egli ch'io sappia i segreti del mio padrone?

"L'ho detto io, che c'era mistero sotto", pensò Renzo; e, per tirarlo in luce, continuò: - via, Perpetua; siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.

- Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.

- È vero, - riprese questo, sempre più confermandosi ne' suoi sospetti; e, cercando d'accostarsi più alla questione, - è vero, - soggiunse, - ma tocca ai preti a trattar male co' poveri?

- Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perché... non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.

- Chi è dunque che ci ha colpa? - domandò Renzo, con un cert'atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l'orecchio all'erta.

- Quando vi dico che non so niente... In difesa del mio padrone, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Pover'uomo! se pecca, è per troppa bontà. C'è bene a questo mondo de' birboni, de' prepotenti, degli uomini senza timor di Dio...

"Prepotenti! birboni! - pensò Renzo: - questi non sono i superiori". - Via, - disse poi, nascondendo a stento l'agitazione crescente, - via, ditemi chi è.

- Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché... non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt'e due -. Così dicendo, entrò in fretta nell'orto, e chiuse l'uscio. Renzo, rispostole con un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell'orecchio della buona donna, allungò il passo; in un momento fu all'uscio di don Abbondio; entrò, andò diviato al salotto dove l'aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.

- Eh! eh! che novità è questa? - disse don Abbondio.

- Chi è quel prepotente, - disse Renzo, con la voce d'un uomo ch'è risoluto d'ottenere una risposta precisa, - chi è quel prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia?

- Che? che? che? - balbettò il povero sorpreso, con un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio che esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all'uscio. Ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava all'erta, vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la mise in tasca.

- Ah! ah! parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti miei, fuori di me. Voglio saperli, per bacco, anch'io. Come si chiama colui?

- Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra.

- Penso che lo voglio saper subito, sul momento -. E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino.

- Misericordia! - esclamò con voce fioca don Abbondio.

- Lo voglio sapere.

- Chi v'ha detto...

- No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito.

- Mi volete morto?

- Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere.

- Ma se parlo, son morto. Non m'ha da premere la mia vita?

- Dunque parli. Quel "dunque" fu proferito con una tale energia, l'aspetto di Renzo divenne così minaccioso, che don Abbondio non poté più nemmen supporre la possibilità di disubbidire.

- Mi promettete, mi giurate, - disse - di non parlarne con nessuno, di non dir mai...?

- Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi dice subito subito il nome di colui.

A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti, proferì: - don...

- Don? - ripeté Renzo, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l'orecchio chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all'indietro.

- Don Rodrigo! - pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte per il turbamento, parte perché, rivolgendo pure quella poca attenzione che gli rimaneva libera, a fare una transazione tra le due paure, pareva che volesse sottrarre e fare scomparir la parola, nel punto stesso ch'era costretto a metterla fuori.

- Ah cane! - urlò Renzo. - E come ha fatto? Cosa le ha detto per...?

- Come eh? come? - rispose, con voce quasi sdegnosa, don Abbondio, il quale, dopo un così gran sagrifizio, si sentiva in certo modo divenuto creditore. - Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non c'entro per nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in capo -. E qui si fece a dipinger con colori terribili il brutto incontro; e, nel discorrere, accorgendosi sempre più d'una gran collera che aveva in corpo, e che fin allora era stata nascosta e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo che Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso, continuò allegramente: - avete fatta una bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! in casa sua! in luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza! Per cavarmi di bocca il mio malanno, il vostro malanno! ciò ch'io vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete? Vorrei vedere che mi faceste...! Per amor del cielo! Non si scherza. Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza. E quando, questa mattina, vi davo un buon parere... eh! subito nelle furie. Io avevo giudizio per me e per voi; ma come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave.

- Posso aver fallato, - rispose Renzo, con voce raddolcita verso don Abbondio, ma nella quale si sentiva il furore contro il nemico scoperto: - posso aver fallato; ma si metta la mano al petto, e pensi se nel mio caso...

Così dicendo, s'era levata la chiave di tasca, e andava ad aprire. Don Abbondio gli andò dietro, e, mentre quegli girava la chiave nella toppa, se gli accostò, e, con volto serio e ansioso, alzandogli davanti agli occhi le tre prime dita della destra, come per aiutarlo anche lui dal canto suo, - giurate almeno... - gli disse.

- Posso aver fallato; e mi scusi, - rispose Renzo, aprendo, e disponendosi ad uscire.

- Giurate... - replicò don Abbondio, afferrandogli il braccio con la mano tremante.

- Posso aver fallato, - ripeté Renzo, sprigionandosi da lui; e partì in furia, troncando così la questione, che, al pari d'una questione di letteratura o di filosofia o d'altro, avrebbe potuto durar dei secoli, giacché ognuna delle parti non faceva che replicare il suo proprio argomento.

- Perpetua! Perpetua! - gridò don Abbondio, dopo avere invano richiamato il fuggitivo. Perpetua non risponde: don Abbondio non sapeva più in che mondo si fosse.

È accaduto più d'una volta a personaggi di ben più alto affare che don Abbondio, di trovarsi in frangenti così fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo ripiego mettersi a letto con la febbre. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare, perché gli si offerse da sé. La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l'ansietà dell'avvenire, fecero l'effetto. Affannato e balordo, si ripose sul suo seggiolone, cominciò a sentirsi qualche brivido nell'ossa, si guardava le unghie sospirando, e chiamava di tempo in tempo, con voce tremolante e stizzosa: - Perpetua! - La venne finalmente, con un gran cavolo sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla fosse stato. Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i "voi sola potete aver parlato", e i "non ho parlato", tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga all'uscio, di non aprir più per nessuna cagione, e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato era andato a letto con la febbre. Salì poi lentamente le scale, dicendo, ogni tre scalini, - son servito -; e si mise davvero a letto, dove lo lasceremo.

Renzo intanto camminava a passi infuriati verso casa, senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Renzo era un giovine pacifico e alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d'ogni insidia; ma, in que' momenti, il suo cuore non batteva che per l'omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di don Rodrigo, afferrarlo per il collo, e... ma gli veniva in mente ch'era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e servitori ben conosciuti v'entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un artigianello sconosciuto non vi potrebb'entrare senza un esame, e ch'egli sopra tutto... egli vi sarebbe forse troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere il suo schioppo, d'appiattarsi dietro una siepe, aspettando se mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi, con feroce compiacenza, in quell'immaginazione, si figurava di sentire una pedata, quella pedata, d'alzar chetamente la testa; riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira, sparava, lo vedeva cadere e dare i tratti, gli lanciava una maledizione, e correva sulla strada del confine a mettersi in salvo. "E Lucia?" Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo, v'entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de' suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e de' santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza delitti, all'orrore che aveva tante volte provato al racconto d'un omicidio; e si risvegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro, e quel giorno così sospirato! E come, con che parole annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere? Come farla sua, a dispetto della forza di quell'iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un sospetto formato, ma un'ombra tormentosa gli passava per la mente. Quella soverchieria di don Rodrigo non poteva esser mossa che da una brutale passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era un pensiero che potesse fermarsi un momento nella testa di Renzo. Ma n'era informata? Poteva colui aver concepita quell'infame passione, senza che lei se n'avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima d'averla tentata in qualche modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui! al suo promesso!

Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch'era nel mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s'avviò a quella di Lucia, ch'era in fondo, anzi un po' fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino. Renzo entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S'immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova in corpo e sul volto. Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: - lo sposo! lo sposo!

- Zitta, Bettina, zitta! - disse Renzo. - Vien qua; va' su da Lucia, tirala in disparte, e dille all'orecchio... ma che nessun senta, né sospetti di nulla, ve'... dille che ho da parlarle, che l'aspetto nella stanza terrena, e che venga subito -. La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d'avere una commission segreta da eseguire.

Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s'andava schermendo, con quella modestia un po' guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s'apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d'argento, che si dividevano all'intorno, quasi a guisa de' raggi d'un'aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d'oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch'esse, a ricami. Oltre a questo, ch'era l'ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d'una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand'in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare. La piccola Bettina si cacciò nel crocchio, s'accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua parolina all'orecchio.

- Vo un momento, e torno, - disse Lucia alle donne; e scese in fretta. Al veder la faccia mutata, e il portamento inquieto di Renzo, - cosa c'è? - disse, non senza un presentimento di terrore.

- Lucia! - rispose Renzo, - per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie.

- Che? - disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia: e quando udì il nome di don Rodrigo, - ah! - esclamò, arrossendo e tremando, - fino a questo segno!

- Dunque voi sapevate...? - disse Renzo.

- Pur troppo! - rispose Lucia; - ma a questo segno!

- Che cosa sapevate?

- Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro a chiamar mia madre, e a licenziar le donne: bisogna che siam soli.

Mentre ella partiva, Renzo sussurrò: - non m'avete mai detto niente.

- Ah, Renzo! - rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fermarsi. Renzo intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momento, con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch'io abbia taciuto se non per motivi giusti e puri?

Intanto la buona Agnese (così si chiamava la madre di Lucia), messa in sospetto e in curiosità dalla parolina all'orecchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a veder cosa c'era di nuovo. La figlia la lasciò con Renzo, tornò alle donne radunate, e, accomodando l'aspetto e la voce, come poté meglio, disse: - il signor curato è ammalato; e oggi non si fa nulla -. Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese di nuovo.

Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l'accaduto. Due o tre andaron fin all'uscio del curato, per verificar se era ammalato davvero.

- Un febbrone, - rispose Perpetua dalla finestra; e la trista parola, riportata all'altre, troncò le congetture che già cominciavano a brulicar ne' loro cervelli, e ad annunziarsi tronche e misteriose ne' loro discorsi.

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

NOOOOOOO

Che gliel'ho detto a fare?

Anonimo ha detto...

Capitolo VI

- In che posso ubbidirla? - disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui eran proferite, voleva dir chiaramente: bada a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati.

Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo, non c'era mezzo più sicuro e più spedito, che prenderlo con maniera arrogante. Egli che stava sospeso, cercando le parole, e facendo scorrere tra le dita le ave marie della corona che teneva a cintola, come se in qualcheduna di quelle sperasse di trovare il suo esordio; a quel fare di don Rodrigo, si sentì subito venir sulle labbra più parole del bisogno. Ma pensando quanto importasse di non guastare i fatti suoi o, ciò ch'era assai più, i fatti altrui, corresse e temperò le frasi che gli si eran presentate alla mente, e disse, con guardinga umiltà: - vengo a proporle un atto di giustizia, a pregarla d'una carità. Cert'uomini di mal affare hanno messo innanzi il nome di vossignoria illustrissima, per far paura a un povero curato, e impedirgli di compire il suo dovere, e per soverchiare due innocenti. Lei può, con una parola, confonder coloro, restituire al diritto la sua forza, e sollevar quelli a cui è fatta una così crudel violenza. Lo può; e potendolo... la coscienza, l'onore...

- Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io solo; e che chiunque ardisce entrare a parte con me di questa cura, lo riguardo come il temerario che l'offende.

Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore cercava di tirare al peggio le sue, per volgere il discorso in contesa, e non dargli luogo di venire alle strette, s'impegnò tanto più alla sofferenza, risolvette di mandar giù qualunque cosa piacesse all'altro di dire, e rispose subito, con un tono sommesso: - se ho detto cosa che le dispiaccia, è stato certamente contro la mia intenzione. Mi corregga pure, mi riprenda, se non so parlare come si conviene; ma si degni ascoltarmi. Per amor del cielo, per quel Dio, al cui cospetto dobbiam tutti comparire... - e, così dicendo, aveva preso tra le dita, e metteva davanti agli occhi del suo accigliato ascoltatore il teschietto di legno attaccato alla sua corona, - non s'ostini a negare una giustizia così facile, e così dovuta a de' poverelli. Pensi che Dio ha sempre gli occhi sopra di loro, e che le loro grida, i loro gemiti sono ascoltati lassù. L'innocenza è potente al suo...

- Eh, padre! - interruppe bruscamente don Rodrigo: - il rispetto ch'io porto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso a uno che ardisse di venire a farmi la spia in casa.

Questa parola fece venir le fiamme sul viso del frate: il quale però, col sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amara, riprese: - lei non crede che un tal titolo mi si convenga. Lei sente in cuor suo, che il passo ch'io fo ora qui, non è né vile né spregevole. M'ascolti, signor don Rodrigo; e voglia il cielo che non venga un giorno in cui si penta di non avermi ascoltato. Non voglia metter la sua gloria... qual gloria, signor don Rodrigo! qual gloria dinanzi agli uomini! E dinanzi a Dio! Lei può molto quaggiù; ma...

- Sa lei, - disse don Rodrigo, interrompendo, con istizza, ma non senza qualche raccapriccio, - sa lei che, quando mi viene lo schiribizzo di sentire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa mia! Oh! - e continuò, con un sorriso forzato di scherno: - lei mi tratta da più di quel che sono. Il predicatore in casa! Non l'hanno che i principi.

- E quel Dio che chiede conto ai principi della parola che fa loro sentire, nelle loro regge; quel Dio le usa ora un tratto di misericordia, mandando un suo ministro, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a pregar per una innocente...

- In somma, padre, - disse don Rodrigo, facendo atto d'andarsene, - io non so quel che lei voglia dire: non capisco altro se non che ci dev'essere qualche fanciulla che le preme molto. Vada a far le sue confidenze a chi le piace; e non si prenda la libertà d'infastidir più a lungo un gentiluomo.

Al moversi di don Rodrigo, il nostro frate gli s'era messo davanti, ma con gran rispetto; e, alzate le mani, come per supplicare e per trattenerlo ad un punto, rispose ancora: - la mi preme, è vero, ma non più di lei; son due anime che, l'una e l'altra, mi premon più del mio sangue. Don Rodrigo! io non posso far altro per lei, che pregar Dio; ma lo farò ben di cuore. Non mi dica di no: non voglia tener nell'angoscia e nel terrore una povera innocente. Una parola di lei può far tutto.

- Ebbene, - disse don Rodrigo, - giacché lei crede ch'io possa far molto per questa persona; giacché questa persona le sta tanto a cuore...

- Ebbene? - riprese ansiosamente il padre Cristoforo, al quale l'atto e il contegno di don Rodrigo non permettevano d'abbandonarsi alla speranza che parevano annunziare quelle parole.

- Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà d'inquietarla, o ch'io non son cavaliere.

A siffatta proposta, l'indegnazione del frate, rattenuta a stento fin allora, traboccò. Tutti que' bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono in fumo: l'uomo vecchio si trovò d'accordo col nuovo; e, in que' casi, fra Cristoforo valeva veramente per due.

- La vostra protezione! - esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con l'indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: - la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.

- Come parli, frate?...

- Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta certezza, che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli occhi immobili.

- Come! in questa casa...!

- Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre, e suggezione di quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel ch'io vi prometto. Verrà un giorno...

Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando sentì intonare una predizione, s'aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento.

Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e, alzando la voce, per troncar quella dell'infausto profeta, gridò: - escimi di tra' piedi, villano temerario, poltrone incappucciato.

Queste parole così chiare acquietarono in un momento il padre Cristoforo. All'idea di strapazzo e di villanià, era, nella sua mente, così bene, e da tanto tempo, associata l'idea di sofferenza e di silenzio, che, a quel complimento, gli cadde ogni spirito d'ira e d'entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che quella d'udir tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse d'aggiungere. Onde, ritirata placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò il capo, e rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la grandine come il ciel la manda.

- Villano rincivilito! - proseguì don Rodrigo: - tu tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva dalle carezze che si fanno a' tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta; e la vedremo. Così dicendo, additò, con impero sprezzante, un uscio in faccia a quello per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò il capo, e se n'andò, lasciando don Rodrigo a misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia.

Quando il frate ebbe serrato l'uscio dietro a sé, vide nell'altra stanza dove entrava, un uomo ritirarsi pian piano, strisciando il muro, come per non esser veduto dalla stanza del colloquio; e riconobbe il vecchio servitore ch'era venuto a riceverlo alla porta di strada. Era costui in quella casa, forse da quarant'anni, cioè prima che nascesse don Rodrigo; entratovi al servizio del padre, il quale era stato tutt'un'altra cosa. Morto lui, il nuovo padrone, dando lo sfratto a tutta la famiglia, e facendo brigata nuova, aveva però ritenuto quel servitore, e per esser già vecchio, e perché, sebben di massime e di costume diverso interamente dal suo, compensava però questo difetto con due qualità: un'alta opinione della dignità della casa, e una gran pratica del cerimoniale, di cui conosceva, meglio d'ogni altro, le più antiche tradizioni, e i più minuti particolari. In faccia al signore, il povero vecchio non si sarebbe mai arrischiato d'accennare, non che d'esprimere la sua disapprovazione di ciò che vedeva tutto il giorno: appena ne faceva qualche esclamazione, qualche rimprovero tra i denti a' suoi colleghi di servizio; i quali se ne ridevano, e prendevano anzi piacere qualche volta a toccargli quel tasto, per fargli dir di più che non avrebbe voluto, e per sentirlo ricantar le lodi dell'antico modo di vivere in quella casa. Le sue censure non arrivavano agli orecchi del padrone che accompagnate dal racconto delle risa che se n'eran fatte; dimodoché riuscivano anche per lui un soggetto di scherno, senza risentimento. Ne' giorni poi d'invito e di ricevimento, il vecchio diventava un personaggio serio e d'importanza.

Il padre Cristoforo lo guardò, passando, lo salutò, e seguitava la sua strada; ma il vecchio se gli accostò misteriosamente, mise il dito alla bocca, e poi, col dito stesso, gli fece un cenno, per invitarlo a entrar con lui in un andito buio. Quando furon lì, gli disse sotto voce: - padre, ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle.

- Dite presto, buon uomo.

- Qui no: guai se il padrone s'avvede... Ma io so molte cose; e vedrò di venir domani al convento.

- C'è qualche disegno?

- Qualcosa per aria c'è di sicuro: già me ne son potuto accorgere. Ma ora starò sull'intesa, e spero di scoprir tutto. Lasci fare a me. Mi tocca a vedere e a sentir cose...! cose di fuoco! Sono in una casa...! Ma io vorrei salvar l'anima mia.

- Il Signore vi benedica! - e, proferendo sottovoce queste parole, il frate mise la mano sul capo bianco del servitore, che, quantunque più vecchio di lui, gli stava curvo dinanzi, nell'attitudine d'un figliuolo. - Il Signore vi ricompenserà, - proseguì il frate: - non mancate di venir domani.

- Verrò, - rispose il servitore: - ma lei vada via subito e... per amor del cielo... non mi nomini -. Così dicendo, e guardando intorno, uscì, per l'altra parte dell'andito, in un salotto, che rispondeva nel cortile; e, visto il campo libero, chiamò fuori il buon frate, il volto del quale rispose a quell'ultima parola più chiaro che non avrebbe potuto fare qualunque protesta. Il servitore gli additò l'uscita; e il frate, senza dir altro, partì.

Quell'uomo era stato a sentire all'uscio del suo padrone: aveva fatto bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di ciò? Secondo le regole più comuni e men contraddette, è cosa molto brutta; ma quel caso non poteva riguardarsi come un'eccezione? E ci sono dell'eccezioni alle regole più comuni e men contraddette? Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d'aver dei fatti da raccontare.

Uscito fuori, e voltate le spalle a quella casaccia, fra Cristoforo respirò più liberamente, e s'avviò in fretta per la scesa, tutto infocato in volto, commosso e sottosopra, come ognuno può immaginarsi, per quel che aveva sentito, e per quel che aveva detto. Ma quella così inaspettata esibizione del vecchio era stata un gran ristorativo per lui: gli pareva che il cielo gli avesse dato un segno visibile della sua protezione. "Ecco un filo, - pensava, - un filo che la provvidenza mi mette nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch'io sognassi neppure di cercarlo!" Così ruminando, alzò gli occhi verso l'occidente, vide il sole inclinato, che già già toccava la cima del monte, e pensò che rimaneva ben poco del giorno. Allora, benché sentisse le ossa gravi e fiaccate da' vari strapazzi di quella giornata, pure studiò di più il passo, per poter riportare un avviso, qual si fosse, a' suoi protetti, e arrivar poi al convento, prima di notte: che era una delle leggi più precise, e più severamente mantenute del codice cappuccinesco.

Intanto, nella casetta di Lucia, erano stati messi in campo e ventilati disegni, de' quali ci conviene informare il lettore. Dopo la partenza del frate, i tre rimasti erano stati qualche tempo in silenzio; Lucia preparando tristamente il desinare; Renzo sul punto d'andarsene ogni momento, per levarsi dalla vista di lei così accorata, e non sapendo staccarsi; Agnese tutta intenta, in apparenza, all'aspo che faceva girare. Ma, in realtà, stava maturando un progetto; e, quando le parve maturo, ruppe il silenzio in questi termini:

- Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna, se vi fidate di vostra madre, - a quel vostra Lucia si riscosse, - io m'impegno di cavarvi di quest'impiccio, meglio forse, e più presto del padre Cristoforo, quantunque sia quell'uomo che è -. Lucia rimase lì, e la guardò con un volto ch'esprimeva più maraviglia che fiducia in una promessa tanto magnifica; e Renzo disse subitamente: - cuore? destrezza? dite, dite pure quel che si può fare.

- Non è vero, - proseguì Agnese, - che, se foste maritati, si sarebbe già un pezzo avanti? E che a tutto il resto si troverebbe più facilmente ripiego?

- C'è dubbio? - disse Renzo: - maritati che fossimo... tutto il mondo è paese; e, a due passi di qui, sul bergamasco, chi lavora seta è ricevuto a braccia aperte. Sapete quante volte Bortolo mio cugino m'ha fatto sollecitare d'andar là a star con lui, che farei fortuna, com'ha fatto lui: e se non gli ho mai dato retta, gli è... che serve? perché il mio cuore era qui. Maritati, si va tutti insieme, si mette su casa là, si vive in santa pace, fuor dell'unghie di questo ribaldo, lontano dalla tentazione di fare uno sproposito. N'è vero, Lucia?

- Sì, - disse Lucia: - ma come...?

- Come ho detto io, - riprese la madre: - cuore e destrezza; e la cosa è facile.

- Facile! - dissero insieme que' due, per cui la cosa era divenuta tanto stranamente e dolorosamente difficile.

- Facile, a saperla fare, - replicò Agnese. - Ascoltatemi bene, che vedrò di farvela intendere. Io ho sentito dire da gente che sa, e anzi ne ho veduto io un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì il curato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia.

- Come sta questa faccenda? - domandò Renzo.

- Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni ben lesti e ben d'accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all'improvviso, che non abbia tempo di scappare. L'uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell'e fatto, sacrosanto come se l'avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato può strillare, strepitare, fare il diavolo; è inutile; siete marito e moglie.

- Possibile? - esclamò Lucia.

- Come! - disse Agnese: - state a vedere che, in trent'anni che ho passati in questo mondo, prima che nasceste voi altri, non avrò imparato nulla. La cosa è tale quale ve la dico: per segno tale che una mia amica, che voleva prender uno contro la volontà de' suoi parenti, facendo in quella maniera, ottenne il suo intento. Il curato, che ne aveva sospetto, stava all'erta; ma i due diavoli seppero far così bene, che lo colsero in un punto giusto, dissero le parole, e furon marito e moglie: benché la poveretta se ne pentì poi, in capo a tre giorni.

Agnese diceva il vero, e riguardo alla possibilità, e riguardo al pericolo di non ci riuscire: ché, siccome non ricorrevano a un tale espediente, se non persone che avesser trovato ostacolo o rifiuto nella via ordinaria, così i parrochi mettevan gran cura a scansare quella cooperazione forzata; e, quando un d'essi venisse pure sorpreso da una di quelle coppie, accompagnata da testimoni, faceva di tutto per iscapolarsene, come Proteo dalle mani di coloro che volevano farlo vaticinare per forza.

- Se fosse vero, Lucia! - disse Renzo, guardandola con un'aria d'aspettazione supplichevole.

- Come! se fosse vero! - disse Agnese. - Anche voi credete ch'io dica fandonie. Io m'affanno per voi, e non sono creduta: bene bene; cavatevi d'impiccio come potete: io me ne lavo le mani.

- Ah no! non ci abbandonate, - disse Renzo. - Parlo così, perché la cosa mi par troppo bella. Sono nelle vostre mani; vi considero come se foste proprio mia madre.

Queste parole fecero svanire il piccolo sdegno d'Agnese, e dimenticare un proponimento che, per verità, non era stato serio.

- Ma perché dunque, mamma, - disse Lucia, con quel suo contegno sommesso, - perché questa cosa non è venuta in mente al padre Cristoforo?

- In mente? - rispose Agnese: - pensa se non gli sarà venuta in mente! Ma non ne avrà voluto parlare.

- Perché? - domandarono a un tratto i due giovani.

- Perché... perché, quando lo volete sapere, i religiosi dicono che veramente è cosa che non istà bene.

- Come può essere che non istia bene, e che sia ben fatta, quand'è fatta? - disse Renzo.

- Che volete ch'io vi dica? - rispose Agnese. - La legge l'hanno fatta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capir tutto. E poi quante cose... Ecco; è come lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene; ma, dato che gliel abbiate, né anche il papa non glielo può levare.

- Se è cosa che non istà bene, - disse Lucia, - non bisogna farla.

- Che! - disse Agnese, - ti vorrei forse dare un parere contro il timor di Dio? Se fosse contro la volontà de' tuoi parenti, per prendere un rompicollo... ma, contenta me, e per prender questo figliuolo; e chi fa nascer tutte le difficoltà è un birbone; e il signor curato...

- L'è chiara, che l'intenderebbe ognuno, - disse Renzo.

- Non bisogna parlarne al padre Cristoforo, prima di far la cosa, - proseguì Agnese: - ma, fatta che sia, e ben riuscita, che pensi tu che ti dirà il padre? "Ah figliuola! è una scappata grossa; me l'avete fatta". I religiosi devon parlar così. Ma credi pure che, in cuor suo, sarà contento anche lui.

Lucia, senza trovar che rispondere a quel ragionamento, non ne sembrava però capacitata: ma Renzo, tutto rincorato, disse: - quand'è così, la cosa è fatta.

- Piano, - disse Agnese. - E i testimoni? Trovar due che vogliano, e che intanto sappiano stare zitti! E poter cogliere il signor curato che, da due giorni, se ne sta rintanato in casa? E farlo star lì? ché, benché sia pesante di sua natura, vi so dir io che, al vedervi comparire in quella conformità, diventerà lesto come un gatto, e scapperà come il diavolo dall'acqua santa.

- L'ho trovato io il verso, l'ho trovato, - disse Renzo, battendo il pugno sulla tavola, e facendo balzellare le stoviglie apparecchiate per il desinare. E seguitò esponendo il suo pensiero, che Agnese approvò in tutto e per tutto.

- Son imbrogli, - disse Lucia: - non son cose lisce. Finora abbiamo operato sinceramente: tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiuterà: il padre Cristoforo l'ha detto. Sentiamo il suo parere.

- Lasciati guidare da chi ne sa più di te, - disse Agnese, con volto grave. - Che bisogno c'è di chieder pareri? Dio dice: aiutati, ch'io t'aiuto. Al padre racconteremo tutto, a cose fatte.

- Lucia, - disse Renzo, - volete voi mancarmi ora? Non avevamo noi fatto tutte le cose da buon cristiani? Non dovremmo esser già marito e moglie? Il curato non ci aveva fissato lui il giorno e l'ora? E di chi è la colpa, se dobbiamo ora aiutarci con un po' d'ingegno? No, non mi mancherete. Vado e torno con la risposta -. E, salutando Lucia, con un atto di preghiera, e Agnese, con un'aria d'intelligenza, partì in fretta.

Le tribolazioni aguzzano il cervello: e Renzo il quale, nel sentiero retto e piano di vita percorso da lui fin allora, non s'era mai trovato nell'occasione d'assottigliar molto il suo, ne aveva, in questo caso, immaginata una, da far onore a un giureconsulto. Andò addirittura, secondo che aveva disegnato, alla casetta d'un certo Tonio, ch'era lì poco distante; e lo trovò in cucina, che, con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l'orlo d'un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la moglie di Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non c'era quell'allegria che la vista del desinare suol pur dare a chi se l'è meritato con la fatica. La mole della polenta era in ragion dell'annata, e non del numero e della buona voglia de' commensali: e ognun d'essi, fissando, con uno sguardo bieco d'amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare alla porzione d'appetito che le doveva sopravvivere. Mentre Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, in un gran cerchio di vapori. Nondimeno le donne dissero cortesemente a Renzo : - volete restar servito? -, complimento che il contadino di Lombardia, e chi sa di quant'altri paesi! non lascia mai di fare a chi lo trovi a mangiare, quand'anche questo fosse un ricco epulone alzatosi allora da tavola, e lui fosse all'ultimo boccone.

- Vi ringrazio, - rispose Renzo: - venivo solamente per dire una parolina a Tonio; e, se vuoi, Tonio, per non disturbar le tue donne, possiamo andar a desinare all'osteria, e lì parleremo -. La proposta fu per Tonio tanto più gradita, quanto meno aspettata; e le donne, e anche i bimbi (giacché, su questa materia, principian presto a ragionare) non videro mal volentieri che si sottraesse alla polenta un concorrente, e il più formidabile. L'invitato non istette a domandar altro, e andò con Renzo.

Giunti all'osteria del villaggio; seduti, con tutta libertà, in una perfetta solitudine, giacché la miseria aveva divezzati tutti i frequentatori di quel luogo di delizie; fatto portare quel poco che si trovava; votato un boccale di vino; Renzo, con aria di mistero, disse a Tonio: - se tu vuoi farmi un piccolo servizio, io te ne voglio fare uno grande.

- Parla, parla; comandami pure, - rispose Tonio, mescendo.

- Oggi mi butterei nel fuoco per te.

- Tu hai un debito di venticinque lire col signor curato, per fitto del suo campo, che lavoravi, l'anno passato.

- Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi vieni fuori? M'hai fatto andar via il buon umore.

- Se ti parlo del debito, - disse Renzo, - è perché, se tu vuoi, io intendo di darti il mezzo di pagarlo.

- Dici davvero?

- Davvero. Eh? saresti contento?

- Contento? Per diana. se sarei contento! Se non foss'altro, per non veder più que' versacci, e que' cenni col capo, che mi fa il signor curato, ogni volta che c'incontriamo. E poi sempre: Tonio, ricordatevi: Tonio, quando ci vediamo, per quel negozio? A tal segno che quando, nel predicare, mi fissa quegli occhi addosso, io sto quasi in timore che abbia a dirmi, lì in pubblico: quelle venticinque lire! Che maledette siano le venticinque lire! E poi, m'avrebbe a restituir la collana d'oro di mia moglie, che la baratterei in tanta polenta. Ma...

- Ma, ma, se tu mi vuoi fare un servizietto, le venticinque lire son preparate.

- Di' su.

- Ma...! - disse Renzo, mettendo il dito alla bocca.

- Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci.

- Il signor curato va cavando fuori certe ragioni senza sugo, per tirare in lungo il mio matrimonio; e io in vece vorrei spicciarmi. Mi dicon di sicuro che, presentandosegli davanti i due sposi, con due testimoni, e dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è bell'e fatto. M'hai tu inteso?

- Tu vuoi ch'io venga per testimonio?

- Per l'appunto.

- E pagherai per me le venticinque lire?

- Così l'intendo.

- Birba chi manca.

- Ma bisogna trovare un altro testimonio.

- L'ho trovato. Quel sempliciotto di mio fratel Gervaso farà quello che gli dirò io. Tu gli pagherai da bere?

- E da mangiare, - rispose Renzo. - Lo condurremo qui a stare allegro con noi. Ma saprà fare?

- Gl'insegnerò io: tu sai bene ch'io ho avuta anche la sua parte di cervello.

- Domani...

Bene.

- Verso sera...

- Benone.

- Ma...! - disse Renzo, mettendo di nuovo il dito alla bocca.

- Poh...! - rispose Tonio, piegando il capo sulla spalla destra, e alzando la mano sinistra, con un viso che diceva: mi fai torto.

- Ma, se tua moglie ti domanda, come ti domanderà, senza dubbio...

- Di bugie, sono in debito io con mia moglie, e tanto tanto, che non so se arriverò mai a saldare il conto. Qualche pastocchia la troverò, da metterle il cuore in pace.

- Domattina, - disse Renzo, - discorreremo con più comodo, per intenderci bene su tutto.

Con questo, uscirono dall'osteria, Tonio avviandosi a casa, e studiando la fandonia che racconterebbe alle donne, e Renzo, a render conto de' concerti presi.

In questo tempo Agnese, s'era affaticata invano a persuader la figliuola. Questa andava opponendo a ogni ragione, ora l'una, ora l'altra parte del suo dilemma: o la cosa è cattiva, e non bisogna farla; o non è, e perché non dirla al padre Cristoforo?

Renzo arrivò tutto trionfante, fece il suo rapporto, e terminò con un ahn? interiezione che significa: sono o non sono un uomo io? si poteva trovar di meglio? vi sarebbe venuta in mente? e cento cose simili.

Lucia tentennava mollemente il capo; ma i due infervorati le badavan poco, come si suol fare con un fanciullo, al quale non si spera di far intendere tutta la ragione d'una cosa, e che s'indurrà poi, con le preghiere e con l'autorità, a ciò che si vuol da lui.

- Va bene, - disse Agnese: - va bene; ma... non avete pensato a tutto.

- Cosa ci manca? - rispose Renzo.

- E Perpetua? non avete pensato a Perpetua. Tonio e suo fratello, li lascerà entrare; ma voi! voi due! pensate! avrà ordine di tenervi lontani, più che un ragazzo da un pero che ha le frutte mature.

- Come faremo? - disse Renzo, un po' imbrogliato.

- Ecco: ci ho pensato io. Verrò io con voi; e ho un segreto per attirarla, e per incantarla di maniera che non s'accorga di voi altri, e possiate entrare. La chiamerò io, e le toccherò una corda... vedrete.

- Benedetta voi! - esclamò Renzo: - l'ho sempre detto che siete nostro aiuto in tutto.

- Ma tutto questo non serve a nulla, - disse Agnese, - se non si persuade costei, che si ostina a dire che è peccato.

Renzo mise in campo anche lui la sua eloquenza; ma Lucia non sl lasciava smovere.

- Io non so che rispondere a queste vostre ragioni, - diceva: - ma vedo che, per far questa cosa, come dite voi, bisogna andar avanti a furia di sotterfugi, di bugie, di finzioni. Ah Renzo! non abbiam cominciato così. Io voglio esser vostra moglie, - e non c'era verso che potesse proferir quella parola, e spiegar quell'intenzione, senza fare il viso rosso: - io voglio esser vostra moglie, ma per la strada diritta, col timor di Dio, all'altare. Lasciamo fare a Quello lassù. Non volete che sappia trovar Lui il bandolo d'aiutarci, meglio che non possiamo far noi, con tutte codeste furberie? E perché far misteri al padre Cristoforo?

La disputa durava tuttavia, e non pareva vicina a finire, quando un calpestìo affrettato di sandali, e un rumore di tonaca sbattuta, somigliante a quello che fanno in una vela allentata i soffi ripetuti del vento, annunziarono il padre Cristoforo. Si chetaron tutti; e Agnese ebbe appena tempo di susurrare all'orecchio di Lucia: - bada bene, ve', di non dirgli nulla.

Anonimo ha detto...

Capitolo VII

Il padre Cristoforo arrivava nell'attitudine d'un buon capitano che, perduta, senza sua colpa, una battaglia importante, afflitto ma non scoraggito, sopra pensiero ma non sbalordito, di corsa e non in fuga, si porta dove il bisogno lo chiede, a premunire i luoghi minacciati, a raccoglier le truppe, a dar nuovi ordini.

- La pace sia con voi, - disse, nell'entrare. - Non c'è nulla da sperare dall'uomo: tanto più bisogna confidare in Dio: e già ho qualche pegno della sua protezione.

Sebbene nessuno dei tre sperasse molto nel tentativo del padre Cristoforo, giacché il vedere un potente ritirarsi da una soverchieria, senza esserci costretto, e per mera condiscendenza a preghiere disarmate, era cosa piùttosto inaudita che rara; nulladimeno la trista certezza fu un colpo per tutti. Le donne abbassarono il capo; ma nell'animo di Renzo, l'ira prevalse all'abbattimento. Quell'annunzio lo trovava già amareggiato da tante sorprese dolorose, da tanti tentativi andati a vòto, da tante speranze deluse, e, per di più, esacerbato, in quel momento, dalle ripulse di Lucia.

- Vorrei sapere, - gridò, digrignando i denti, e alzando la voce, quanto non aveva mai fatto prima d'allora, alla presenza del padre Cristoforo; - vorrei sapere che ragioni ha dette quel cane, per sostenere... per sostenere che la mia sposa non dev'essere la mia sposa.

- Povero Renzo! - rispose il frate, con una voce grave e pietosa, e con uno sguardo che comandava amorevolmente la pacatezza : - se il potente che vuol commettere l'ingiustizia fosse sempre obbligato a dir le sue ragioni, le cose non anderebbero come vanno.

- Ha detto dunque quel cane, che non vuole, perché non vuole?

Non ha detto nemmen questo, povero Renzo! Sarebbe ancora un vantaggio se, per commetter l'iniquità, dovessero confessarla apertamente.

- Ma qualcosa ha dovuto dire: cos'ha detto quel tizzone d'inferno?

- Le sue parole, io l'ho sentite, e non te le saprei ripetere. Le parole dell'iniquo che è forte, penetrano e sfuggono. Può adirarsi che tu mostri sospetto di lui, e, nello stesso tempo, farti sentire che quello di che tu sospetti è certo: può insultare e chiamarsi offeso, schernire e chieder ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile. Non chieder più in là. Colui non ha proferito il nome di questa innocente, né il tuo; non ha figurato nemmen di conoscervi, non ha detto di pretender nulla; ma... ma pur troppo ho dovuto intendere ch'è irremovibile. Nondimeno, confidenza in Dio! Voi, poverette, non vi perdete d'animo; e tu, Renzo... oh! credi pure, ch'io so mettermi ne' tuoi panni, ch'io sento quello che passa nel tuo cuore. Ma, pazienza! È una magra parola, una parola amara, per chi non crede; ma tu...! non vorrai tu concedere a Dio un giorno, due giorni, il tempo che vorrà prendere, per far trionfare la giustizia? Il tempo è suo; e ce n'ha promesso tanto! Lascia fare a Lui, Renzo; e sappi... sappiate tutti ch'io ho già in mano un filo, per aiutarvi. Per ora, non posso dirvi di più. Domani io non verrò quassù; devo stare al convento tutto il giorno, per voi. Tu, Renzo, procura di venirci: o se, per caso impensato, tu non potessi, mandate un uomo fidato, un garzoncello di giudizio, per mezzo del quale io possa farvi sapere quello che occorrerà. Si fa buio; bisogna ch'io corra al convento. Fede, coraggio; e addio.

Detto questo, uscì in fretta, e se n'andò, correndo, e quasi saltelloni, giù per quella viottola storta e sassosa, per non arrivar tardi al convento, a rischio di buscarsi una buona sgridata, o quel che gli sarebbe pesato ancor più, una penitenza, che gl'impedisse, il giorno dopo, di trovarsi pronto e spedito a ciò che potesse richiedere il bisogno de' suoi protetti.

- Avete sentito cos'ha detto d'un non so che... d'un filo che ha, per aiutarci? - disse Lucia. - Convien fidarsi a lui; è un uomo che, quando promette dieci...

- Se non c'è altro...! - interruppe Agnese. - Avrebbe dovuto parlar più chiaro, o chiamar me da una parte, e dirmi cosa sia questo...

- Chiacchiere! la finirò io: io la finirò! - interruppe Renzo, questa volta, andando in su e in giù per la stanza, e con una voce, con un viso, da non lasciar dubbio sul senso di quelle parole.

- Oh Renzo! - esclamò Lucia.

- Cosa volete dire? - esclamò Agnese.

- Che bisogno c'è di dire? La finirò io. Abbia pur cento, mille diavoli nell'anima, finalmente è di carne e ossa anche lui...

- No, no, per amor del cielo...! - cominciò Lucia; ma il pianto le troncò la voce.

- Non son discorsi da farsi, neppur per burla, - disse Agnese.

- Per burla? - gridò Renzo, fermandosi ritto in faccia ad Agnese seduta, e piantandole in faccia due occhi stralunati. - Per burla! vedrete se sarà burla.

- Oh Renzo! - disse Lucia, a stento, tra i singhiozzi: - non v'ho mai visto così.

- Non dite queste cose, per amor del cielo, - riprese ancora in fretta Agnese, abbassando la voce. - Non vi ricordate quante braccia ha al suo comando colui? E quand'anche... Dio liberi!... contro i poveri c'è sempre giustizia.

- La farò io, la giustizia, io! È ormai tempo. La cosa non è facile: lo so anch'io. Si guarda bene, il cane assassino: sa come sta; ma non importa. Risoluzione e pazienza... e il momento arriva. Sì, la farò io, la giustizia: lo libererò io, il paese: quanta gente mi benedirà...! e poi in tre salti...!

L'orrore che Lucia sentì di queste più chiare parole, le sospese il pianto, e le diede forza di parlare. Levando dalle palme il viso lagrimoso, disse a Renzo, con voce accorata, ma risoluta: - non v'importa più dunque d'avermi per moglie. Io m'era promessa a un giovine che aveva il timor di Dio; ma un uomo che avesse... Fosse al sicuro d'ogni giustizia e d'ogni vendetta, foss'anche il figlio del re...

E bene! - gridò Renzo, con un viso più che mai stravolto: - io non v'avrò; ma non v'avrà né anche lui. Io qui senza di voi, e lui a casa del...

- Ah no! per carità, non dite così, non fate quegli occhi: no, non posso vedervi così, - esclamò Lucia, piangendo, supplicando, con le mani giunte; mentre Agnese chiamava e richiamava il giovine per nome, e gli palpava le spalle, le braccia, le mani, per acquietarlo. Stette egli immobile e pensieroso, qualche tempo, a contemplar quella faccia supplichevole di Lucia; poi, tutt'a un tratto, la guardò torvo, diede addietro, tese il braccio e l'indice verso di essa, e gridò: - questa! sì questa egli vuole. Ha da morire!

- E io che male v'ho fatto, perché mi facciate morire? - disse Lucia, buttandosegli inginocchioni davanti.

- Voi! - rispose, con una voce ch'esprimeva un'ira ben diversa, ma un'ira tuttavia: - voi! Che bene mi volete voi? Che prova m'avete data? Non v'ho io pregata, e pregata, e pregata? E voi: no! no!

- Sì sì, - rispose precipitosamente Lucia: - verrò dal curato, domani, ora, se volete; verrò. Tornate quello di prima; verrò.

- Me lo promettete? - disse Renzo, con una voce e con un viso divenuto, tutt'a un tratto, più umano.

- Ve lo prometto.

- Me l'avete promesso.

- Signore, vi ringrazio! - esclamò Agnese, doppiamente contenta.

In mezzo a quella sua gran collera, aveva Renzo pensato di che profitto poteva esser per lui lo spavento di Lucia? E non aveva adoperato un po' d'artifizio a farlo crescere, per farlo fruttare? Il nostro autore protesta di non ne saper nulla; e io credo che nemmen Renzo non lo sapesse bene. Il fatto sta ch'era realmente infuriato contro don Rodrigo, e che bramava ardentemente il consenso di Lucia; e quando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor d'un uomo, nessuno, neppure il paziente, può sempre distinguer chiaramente una voce dall'altra, e dir con sicurezza qual sia quella che predomini.

- Ve l'ho promesso, - rispose Lucia, con un tono di rimprovero timido e affettuoso: - ma anche voi avevate promesso di non fare scandoli, di rimettervene al padre...

- Oh via! per amor di chi vado in furia? Volete tornare indietro, ora? e farmi fare uno sproposito?

- No no, - disse Lucia, cominciando a rispaventarsi. - Ho promesso, e non mi ritiro. Ma vedete voi come mi avete fatto promettere. Dio non voglia...

- Perché volete far de' cattivi augùri, Lucia? Dio sa che non facciam male a nessuno.

- Promettetemi almeno che questa sarà l'ultima.

- Ve lo prometto, da povero figliuolo.

- Ma, questa volta, mantenete poi, - disse Agnese.

Qui l'autore confessa di non sapere un'altra cosa: se Lucia fosse, in tutto e per tutto, malcontenta d'essere stata spinta ad acconsentire. Noi lasciamo, come lui, la cosa in dubbio.

Renzo avrebbe voluto prolungare il discorso, e fissare, a parte a parte, quello che si doveva fare il giorno dopo; ma era già notte, e le donne gliel'augurarono buona; non parendo loro cosa conveniente che, a quell'ora, si trattenesse più a lungo.

La notte però fu a tutt'e tre così buona come può essere quella che succede a un giorno pieno d'agitazione e di guai, e che ne precede uno destinato a un'impresa importante, e d'esito incerto. Renzo si lasciò veder di buon'ora, e concertò con le donne, o piuttosto con Agnese, la grand'operazione della sera, proponendo e sciogliendo a vicenda difficoltà, antivedendo contrattempi, e ricominciando, ora l'uno ora l'altra, a descriver la faccenda, come si racconterebbe una cosa fatta. Lucia ascoltava; e, senza approvar con parole ciò che non poteva approvare in cuor suo, prometteva di far meglio che saprebbe.

- Anderete voi giù al convento, per parlare al padre Cristoforo, come v'ha detto ier sera? - domandò Agnese a Renzo.

- Le zucche! - rispose questo: - sapete che diavoli d'occhi ha il padre: mi leggerebbe in viso, come sur un libro, che c'è qualcosa per aria; e se cominciasse a farmi dell'interrogazioni, non potrei uscirne a bene. E poi, io devo star qui, per accudire all'affare. Sarà meglio che mandiate voi qualcheduno.

- Manderò Menico.

- Va bene, - rispose Renzo; e partì, per accudire all'affare, come aveva detto.

Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, ch'era un ragazzetto di circa dodici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e di cognati, veniva a essere un po' suo nipote. Lo chiese ai parenti, come in prestito, per tutto quel giorno, - per un certo servizio, - diceva. Avutolo, lo condusse nella sua cucina, gli diede da colazione, e gli disse che andasse a Pescarenico, e si facesse vedere al padre Cristoforo, il quale lo rimanderebbe poi, con una risposta, quando sarebbe tempo. - Il padre Cristoforo, quel bel vecchio, tu sai, con la barba bianca, quello che chiamano il santo...

- Ho capito, - disse Menico: - quello che ci accarezza sempre, noi altri ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche santino.

- Appunto, Menico. E se ti dirà che tu aspetti qualche poco, lì vicino al convento, non ti sviare: bada di non andar, con de' compagni, al lago, a veder pescare, né a divertirti con le reti attaccate al muro ad asciugare, né a far quell'altro tuo giochetto solito...

Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a rimbalzello; e si sa che tutti, grandi e piccoli, facciam volentieri le cose alle quali abbiamo abilità: non dico quelle sole.

- Poh! zia; non son poi un ragazzo.

- Bene, abbi giudizio; e, quando tornerai con la risposta... guarda; queste due belle parpagliole nuove son per te.

- Datemele ora, ch'è lo stesso.

- No, no, tu le giocheresti. Va, e portati bene; che n'avrai anche di più.

Nel rimanente di quella lunga mattinata, si videro certe novità che misero non poco in sospetto l'animo già conturbato delle donne. Un mendico, né rifinito né cencioso come i suoi pari, e con un non so che d'oscuro e di sinistro nel sembiante, entrò a chieder la carità, dando in qua e in là cert'occhiate da spione. Gli fu dato un pezzo di pane, che ricevette e ripose, con un'indifferenza mal dissimulata. Si trattenne poi, con una certa sfacciataggine, e, nello stesso tempo, con esitazione, facendo molte domande, alle quali Agnese s'affrettò di risponder sempre il contrario di quello che era. Movendosi, come per andar via, finse di sbagliar l'uscio, entrò in quello che metteva alla scala, e lì diede un'altra occhiata in fretta, come poté. Gridatogli dietro: - ehi ehi! dove andate galantuomo? di qua! di qua! - tornò indietro, e uscì dalla parte che gli veniva indicata, scusandosi, con una sommissione, con un'umiltà affettata, che stentava a collocarsi nei lineamenti duri di quella faccia. Dopo costui, continuarono a farsi vedere, di tempo in tempo, altre strane figure. Che razza d'uomini fossero, non si sarebbe potuto dir facilmente; ma non si poteva creder neppure che fossero quegli onesti viandanti che volevan parere. Uno entrava col pretesto di farsi insegnar la strada; altri, passando davanti all'uscio, rallentavano il passo, e guardavan sott'occhio nella stanza, a traverso il cortile, come chi vuol vedere senza dar sospetto. Finalmente, verso il mezzogiorno, quella fastidiosa processione finì. Agnese s'alzava ogni tanto, attraversava il cortile, s'affacciava all'uscio di strada, guardava a destra e a sinistra, e tornava dicendo: - nessuno - : parola che proferiva con piacere, e che Lucia con piacere sentiva, senza che né l'una né l'altra ne sapessero ben chiaramente il perché. Ma ne rimase a tutt'e due una non so quale inquietudine, che levò loro, e alla figliuola principalmente, una gran parte del coraggio che avevan messo in serbo per la sera.

Convien però che il lettore sappia qualcosa di più preciso, intorno a que' ronzatori misteriosi: e, per informarlo di tutto, dobbiam tornare un passo indietro, e ritrovar don Rodrigo, che abbiam lasciato ieri, solo in una sala del suo palazzotto, al partir del padre Cristoforo.

Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi e indietro, a passi lunghi, quella sala, dalle pareti della quale pendevano ritratti di famiglia, di varie generazioni. Quando si trovava col viso a una parete, e voltava, si vedeva in faccia un suo antenato guerriero, terrore de' nemici e de' suoi soldati, torvo nella guardatura, co' capelli corti e ritti, co' baffi tirati e a punta, che sporgevan dalle guance, col mento obliquo: ritto in piedi l'eroe, con le gambiere, co' cosciali, con la corazza, co' bracciali, co' guanti, tutto di ferro; con la destra sul fianco, e la sinistra sul pomo della spada. Don Rodrigo lo guardava; e quando gli era arrivato sotto, e voltava, ecco in faccia un altro antenato, magistrato, terrore de' litiganti e degli avvocati, a sedere sur una gran seggiola coperta di velluto rosso, ravvolto in un'ampia toga nera; tutto nero, fuorché un collare bianco, con due larghe facciole, e una fodera di zibellino arrovesciata (era il distintivo de' senatori, e non lo portavan che l'inverno, ragion per cui non si troverà mai un ritratto di senatore vestito d'estate); macilento, con le ciglia aggrottate: teneva in mano una supplica, e pareva che dicesse: vedremo. Di qua una matrona, terrore delle sue cameriere; di là un abate, terrore de' suoi monaci: tutta gente in somma che aveva fatto terrore, e lo spirava ancora dalle tele. Alla presenza di tali memorie, don Rodrigo tanto più s'arrovellava, si vergognava, non poteva darsi pace, che un frate avesse osato venirgli addosso, con la prosopopea di Nathan. Formava un disegno di vendetta, l'abbandonava, pensava come soddisfare insieme alla passione, e a ciò che chiamava onore; e talvolta (vedete un poco!) sentendosi fischiare ancora agli orecchi quell'esordio di profezia, si sentiva venir, come si dice, i bordoni, e stava quasi per deporre il pensiero delle due soddisfazioni. Finalmente, per far qualche cosa, chiamò un servitore, e gli ordinò che lo scusasse con la compagnia, dicendo ch'era trattenuto da un affare urgente. Quando quello tornò a riferire che que' signori eran partiti, lasciando i loro rispetti: - e il conte Attilio? - domandò, sempre camminando, don Rodrigo.

- È uscito con que' signori, illustrissimo.

- Bene: sei persone di seguito, per la passeggiata: subito. La spada, la cappa, il cappello: subito.

Il servitore partì, rispondendo con un inchino; e, poco dopo, tornò, portando la ricca spada, che il padrone si cinse; la cappa, che si buttò sulle spalle; il cappello a gran penne, che mise e inchiodò, con una manata, fieramente sul capo: segno di marina torbida. Si mosse, e, alla porta, trovò i sei ribaldi tutti armati, i quali, fatto ala, e inchinatolo, gli andaron dietro. Più burbero, più superbioso, più accigliato del solito, uscì, e andò passeggiando verso Lecco. I contadini, gli artigiani, al vederlo venire, si ritiravan rasente al muro, e di lì facevano scappellate e inchini profondi, ai quali non rispondeva. Come inferiori, l'inchinavano anche quelli che da questi eran detti signori; ché, in que' contorni, non ce n'era uno che potesse, a mille miglia, competer con lui, di nome, di ricchezze, d'aderenze e della voglia di servirsi di tutto ciò, per istare al di sopra degli altri. E a questi corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non avvenne, ma quando avveniva che s'incontrasse col signor castellano spagnolo, l'inchino allora era ugualmente profondo dalle due parti; la cosa era come tra due potentati, i quali non abbiano nulla da spartire tra loro; ma, per convenienza, fanno onore al grado l'uno dell'altro. Per passare un poco la mattana, e per contrapporre all'immagine del frate che gli assediava la fantasia, immagini in tutto diverse, don Rodrigo entrò, quel giorno, in una casa, dove andava, per il solito, molta gente, e dove fu ricevuto con quella cordialità affaccendata e rispettosa, ch'è riserbata agli uomini che si fanno molto amare o molto temere; e, a notte già fatta, tornò al suo palazzotto. Il conte Attilio era anche lui tornato in quel momento; e fu messa in tavola la cena, durante la quale, don Rodrigo fu sempre sopra pensiero, e parlò poco.

- Cugino, quando pagate questa scommessa? - disse, con un fare di malizia e di scherno, il conte Attilio, appena sparecchiato, e andati via i servitori.

- San Martino non è ancor passato.

- Tant'è che la paghiate subito; perché passeranno tutti i santi del lunario, prima che...

- Questo è quel che si vedrà.

- Cugino, voi volete fare il politico; ma io ho capito tutto, e son tanto certo d'aver vinta la scommessa, che son pronto a farne un'altra.

- Sentiamo.

- Che il padre... il padre... che so io? quel frate in somma v'ha convertito.

- Eccone un'altra delle vostre.

- Convertito, cugino; convertito, vi dico. Io per me, ne godo. Sapete che sarà un bello spettacolo vedervi tutto compunto, e con gli occhi bassi! E che gloria per quel padre! Come sarà tornato a casa gonfio e pettoruto! Non son pesci che si piglino tutti i giorni, né con tutte le reti. Siate certo che vi porterà per esempio; e, quando anderà a far qualche missione un po' lontano, parlerà de' fatti vostri. Mi par di sentirlo -. E qui, parlando col naso, accompagnando le parole con gesti caricati, continuò, in tono di predica: - in una parte di questo mondo, che, per degni rispetti, non nomino, viveva, uditori carissimi, e vive tuttavia, un cavaliere scapestrato, più amico delle femmine, che degli uomini dabbene, il quale, avvezzo a far d'ogni erba un fascio, aveva messo gli occhi...

- Basta, basta, - interruppe don Rodrigo, mezzo sogghignando, e mezzo annoiato. - Se volete raddoppiar la scommessa, son pronto anch'io.

- Diavolo! che aveste voi convertito il padre!

- Non mi parlate di colui: e in quanto alla scommessa, san Martino deciderà -. La curiosità del conte era stuzzicata; non gli risparmiò interrogazioni, ma don Rodrigo le seppe eluder tutte, rimettendosi sempre al giorno della decisione, e non volendo comunicare alla parte avversa disegni che non erano né incamminati, né assolutamente fissati.

La mattina seguente, don Rodrigo si destò don Rodrigo. L'apprensione che quel verrà un giorno gli aveva messa in corpo, era svanita del tutto, co' sogni della notte; e gli rimaneva la rabbia sola, esacerbata anche dalla vergogna di quella debolezza passeggiera. L'immagini più recenti della passeggiata trionfale, degl'inchini, dell'accoglienze, e il canzonare del cugino, avevano contribuito non poco a rendergli l'animo antico. Appena alzato, fece chiamare il Griso. "Cose grosse", disse tra sé il servitore a cui fu dato l'ordine; perché l'uomo che aveva quel soprannome, non era niente meno che il capo de' bravi, quello a cui s'imponevano le imprese più rischiose e più inique, il fidatissimo del padrone, l'uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse. Dopo aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, era andato ad implorar la protezione di don Rodrigo; e questo, vestendolo della sua livrea, l'aveva messo al coperto da ogni ricerca della giustizia. Cosi, impegnandosi a ogni delitto che gli venisse comandato, colui si era assicurata l'impunità del primo. Per don Rodrigo, l'acquisto non era stato di poca importanza; perché il Griso, oltre all'essere, senza paragone, il più valente della famiglia, era anche una prova di ciò che il suo padrone aveva potuto attentar felicemente contro le leggi; di modo che la sua potenza ne veniva ingrandita, nel fatto e nell'opinione.

- Griso! - disse don Rodrigo: - in questa congiuntura, si vedrà quel che tu vali. Prima di domani, quella Lucia deve trovarsi in questo palazzo.

- Non si dirà mai che il Griso si sia ritirato da un comando dell'illustrissimo signor padrone.

- Piglia quanti uomini ti possono bisognare, ordina e disponi, come ti par meglio; purché la cosa riesca a buon fine. Ma bada sopra tutto, che non le sia fatto male.

- Signore, un po' di spavento, perché la non faccia troppo strepito... non si potrà far di meno.

- Spavento... capisco... è inevitabile. Ma non le si torca un capello; e sopra tutto, le si porti rispetto in ogni maniera. Hai inteso?

- Signore, non si può levare un fiore dalla pianta, e portarlo a vossignoria, senza toccarlo. Ma non si farà che il puro necessario.

- Sotto la tua sicurtà. E... come farai?

- Ci stavo pensando, signore. Siam fortunati che la casa è in fondo al paese. Abbiam bisogno d'un luogo per andarci a postare. e appunto c'è, poco distante di là, quel casolare disabitato e solo, in mezzo ai campi, quella casa... vossignoria non saprà niente di queste cose... una casa che bruciò, pochi anni sono, e non hanno avuto danari da riattarla, e l'hanno abbandonata, e ora ci vanno le streghe: ma non è sabato, e me ne rido. Questi villani, che son pieni d'ubbie, non ci bazzicherebbero, in nessuna notte della settimana, per tutto l'oro del mondo: sicché possiamo andare a fermarci là, con sicurezza che nessuno verrà a guastare i fatti nostri.

- Va bene; e poi?

Qui, il Griso a proporre, don Rodrigo a discutere, finché d'accordo ebbero concertata la maniera di condurre a fine l'impresa, senza che rimanesse traccia degli autori, la maniera anche di rivolgere, con falsi indizi, i sospetti altrove, d'impor silenzio alla povera Agnese, d'incutere a Renzo tale spavento, da fargli passare il dolore, e il pensiero di ricorrere alla giustizia, e anche la volontà di lagnarsi; e tutte l'altre bricconerie necessarie alla riuscita della bricconeria principale. Noi tralasciamo di riferir que' concerti, perché, come il lettore vedrà, non son necessari all'intelligenza della storia; e siam contenti anche noi di non doverlo trattener più lungamente a sentir parlamentare que' due fastidiosi ribaldi. Basta che, mentre il Griso se n'andava, per metter mano all'esecuzione, don Rodrigo lo richiamò, e gli disse: - senti: se per caso, quel tanghero temerario vi desse nell'unghie questa sera, non sarà male che gli sia dato anticipatamente un buon ricordo sulle spalle. Così, l'ordine che gli verrà intimato domani di stare zitto, farà più sicuramente l'effetto. Ma non l'andate a cercare, per non guastare quello che più importa: tu m'hai inteso.

- Lasci fare a me, - rispose il Griso, inchinandosi, con un atto d'ossequio e di millanteria; e se n'andò. La mattina fu spesa in giri, per riconoscere il paese. Quel falso pezzente che s'era inoltrato a quel modo nella povera casetta, non era altro che il Griso, il quale veniva per levarne a occhio la pianta: i falsi viandanti eran suoi ribaldi, ai quali, per operare sotto i suoi ordini, bastava una cognizione più superficiale del luogo. E, fatta la scoperta, non s'eran più lasciati vedere, per non dar troppo sospetto.

Tornati che furon tutti al palazzotto, il Griso rese conto, e fissò definitivamente il disegno dell'impresa; assegnò le parti, diede istruzioni. Tutto ciò non si poté fare, senza che quel vecchio servitore, il quale stava a occhi aperti, e a orecchi tesi, s'accorgesse che qualche gran cosa si macchinava. A forza di stare attento e di domandare; accattando una mezza notizia di qua, una mezza di là, commentando tra sé una parola oscura, interpretando un andare misterioso, tanto fece, che venne in chiaro di ciò che si doveva eseguir quella notte. Ma quando ci fu riuscito, essa era già poco lontana, e già una piccola vanguardia di bravi era andata a imboscarsi in quel casolare diroccato. Il povero vecchio, quantunque sentisse bene a che rischioso giuoco giocava, e avesse anche paura di portare il soccorso di Pisa, pure non volle mancare: uscì, con la scusa di prendere un po' d'aria, e s'incamminò in fretta in fretta al convento, per dare al padre Cristoforo l'avviso promesso. Poco dopo, si mossero gli altri bravi, e discesero spicciolati, per non parere una compagnia: il Griso venne dopo; e non rimase indietro che una bussola, la quale doveva esser portata al casolare, a sera inoltrata; come fu fatto. Radunati che furono in quel luogo, il Griso spedì tre di coloro all'osteria del paesetto; uno che si mettesse sull'uscio, a osservar ciò che accadesse nella strada, e a veder quando tutti gli abitanti fossero ritirati: gli altri due che stessero dentro a giocare e a bere, come dilettanti; e attendessero intanto a spiare, se qualche cosa da spiare ci fosse. Egli, col grosso della truppa, rimase nell'agguato ad aspettare.

Il povero vecchio trottava ancora; i tre esploratori arrivavano al loro posto; il sole cadeva; quando Renzo entrò dalle donne, e disse: - Tonio e Gervaso m'aspettan fuori: vo con loro all'osteria, a mangiare un boccone; e, quando sonerà l'ave maria, verremo a prendervi. Su, coraggio, Lucia! tutto dipende da un momento -. Lucia sospirò, e ripeté: - coraggio, - con una voce che smentiva la parola.

Quando Renzo e i due compagni giunsero all'osteria, vi trovaron quel tale già piantato in sentinella, che ingombrava mezzo il vano della porta, appoggiata con la schiena a uno stipite, con le braccia incrociate sul petto; e guardava e riguardava, a destra e a sinistra, facendo lampeggiare ora il bianco, ora il nero di due occhi grifagni. Un berretto piatto di velluto chermisi, messo storto, gli copriva la metà del ciuffo, che, dividendosi sur una fronte fosca, girava, da una parte e dall'altra, sotto gli orecchi, e terminava in trecce, fermate con un pettine sulla nuca. Teneva sospeso in una mano un grosso randello; arme propriamente, non ne portava in vista; ma, solo a guardargli in viso, anche un fanciullo avrebbe pensato che doveva averne sotto quante ce ne poteva stare. Quando Renzo, ch'era innanzi agli altri, fu lì per entrare, colui, senza scomodarsi, lo guardò fisso fisso; ma il giovine, intento a schivare ogni questione, come suole ognuno che abbia un'impresa scabrosa alle mani, non fece vista d'accorgersene, non disse neppure: fatevi in là; e, rasentando l'altro stipite, passò per isbieco, col fianco innanzi, per l'apertura lasciata da quella cariatide. I due compagni dovettero far la stessa evoluzione, se vollero entrare. Entrati, videro gli altri, de' quali avevan già sentita la voce, cioè que' due bravacci, che seduti a un canto della tavola, giocavano alla mora, gridando tutt'e due insieme (lì, è il giuoco che lo richiede), e mescendosi or l'uno or l'altro da bere, con un gran fiasco ch'era tra loro. Questi pure guardaron fisso la nuova compagnia; e un de' due specialmente, tenendo una mano in aria, con tre ditacci tesi e allargati, e avendo la bocca ancora aperta, per un gran "sei" che n'era scoppiato fuori in quel momento, squadrò Renzo da capo a piedi; poi diede d'occhio al compagno, poi a quel dell'uscio, che rispose con un cenno del capo. Renzo insospettito e incerto guardava ai suoi due convitati, come se volesse cercare ne' loro aspetti un'interpretazione di tutti que' segni: ma i loro aspetti non indicavano altro che un buon appetito. L'oste guardava in viso a lui, come per aspettar gli ordini: egli lo fece venir con sé in una stanza vicina, e ordinò la cena.

- Chi sono que' forestieri? - gli domandò poi a voce bassa, quando quello tornò, con una tovaglia grossolana sotto il braccio, e un fiasco in mano.

- Non li conosco, - rispose l'oste, spiegando la tovaglia.

- Come? né anche uno?

- Sapete bene, - rispose ancora colui, stirando, con tutt'e due le mani, la tovaglia sulla tavola, - che la prima regola del nostro mestiere, è di non domandare i fatti degli altri: tanto che, fin le nostre donne non son curiose. Si starebbe freschi, con tanta gente che va e viene: è sempre un porto di mare: quando le annate son ragionevoli, voglio dire; ma stiamo allegri, che tornerà il buon tempo. A noi basta che gli avventori siano galantuomini: chi siano poi, o chi non siano, non fa niente. E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate.

- Come potete sapere...? - ripigliava Renzo; ma l'oste, già avviato alla cucina, seguitò la sua strada. E lì, mentre prendeva il tegame delle polpette summentovate, gli s'accostò pian piano quel bravaccio che aveva squadrato il nostro giovine, e gli disse sottovoce: - Chi sono que' galantuomini?

- Buona gente qui del paese, - rispose l'oste, scodellando le polpette nel piatto.

- Va bene; ma come si chiamano? chi sono? - insistette colui, con voce alquanto sgarbata.

- Uno si chiama Renzo, - rispose l'oste, pur sottovoce: - un buon giovine, assestato; filatore di seta, che sa bene il suo mestiere. L'altro è un contadino che ha nome Tonio: buon camerata, allegro: peccato che n'abbia pochi; che gli spenderebbe tutti qui. L'altro è un sempliciotto, che mangia però volentieri, quando gliene danno. Con permesso.

E, con uno sgambetto, uscì tra il fornello e l'interrogante; e ando a portare il piatto a chi si doveva. - Come potete sapere, - riattaccò Renzo, quando lo vide ricomparire, - che siano galantuomini, se non li conoscete?

- Le azioni, caro mio: l'uomo si conosce all'azioni. Quelli che bevono il vino senza criticarlo, che pagano il conto senza tirare, che non metton su lite con gli altri avventori, e se hanno una coltellata da consegnare a uno, lo vanno ad aspettar fuori, e lontano dall'osteria, tanto che il povero oste non ne vada di mezzo, quelli sono i galantuomini. Però, se si può conoscer la gente bene, come ci conosciamo tra noi quattro, è meglio. E che diavolo vi vien voglia di saper tante cose, quando siete sposo, e dovete aver tutt'altro in testa? e con davanti quelle polpette, che farebbero resuscitare un morto? - Così dicendo, se ne tornò in cucina.

Il nostro autore, osservando al diverso modo che teneva costui nel soddisfare alle domande, dice ch'era un uomo così fatto, che, in tutti i suoi discorsi, faceva professione d'esser molto amico de' galantuomini in generale; ma, in atto pratico, usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni. Che carattere singolare! eh?

La cena non fu molto allegra. I due convitati avrebbero voluto godersela con tutto loro comodo; ma l'invitante, preoccupato di ciò che il lettore sa, e infastidito, e anche un po' inquieto del contegno strano di quegli sconosciuti, non vedeva l'ora d'andarsene. Si parlava sottovoce, per causa loro; ed eran parole tronche e svogliate.

- Che bella cosa, - scappò fuori di punto in bianco Gervaso, - che Renzo voglia prender moglie, e abbia bisogno...! - Renzo gli fece un viso brusco. - Vuoi stare zitto, bestia? - gli disse Tonio, accompagnando il titolo con una gomitata. La conversazione fu sempre più fredda, fino alla fine. Renzo, stando indietro nel mangiare, come nel bere, attese a mescere ai due testimoni, con discrezione, in maniera di dar loro un po' di brio, senza farli uscir di cervello. Sparecchiato, pagato il conto da colui che aveva fatto men guasto, dovettero tutti e tre passar novamente davanti a quelle facce, le quali tutte si voltarono a Renzo, come quand'era entrato. Questo, fatti ch'ebbe pochi passi fuori dell'osteria, si voltò indietro, e vide che i due che aveva lasciati seduti in cucina, lo seguitavano: si fermò allora, co' suoi compagni, come se dicesse: vediamo cosa voglion da me costoro. Ma i due, quando s'accorsero d'essere osservati, si fermarono anch'essi, si parlaron sottovoce, e tornarono indietro. Se Renzo fosse stato tanto vicino da sentir le loro parole, gli sarebbero parse molto strane. - Sarebbe però un bell'onore, senza contar la mancia, - diceva uno de' malandrini, - se, tornando al palazzo, potessimo raccontare d'avergli spianate le costole in fretta in fretta, e così da noi, senza che il signor Griso fosse qui a regolare.

- E guastare il negozio principale! - rispondeva l'altro. - Ecco: s'è avvisto di qualche cosa; si ferma a guardarci. Ih! se fosse più tardi! Torniamo indietro, per non dar sospetto. Vedi che vien gente da tutte le parti: lasciamoli andar tutti a pollaio.

C'era in fatti quel brulichìo, quel ronzìo che si sente in un villaggio, sulla sera, e che, dopo pochi momenti, dà luogo alla quiete solenne della notte. Le donne venivan dal campo, portandosi in collo i bambini, e tenendo per la mano i ragazzi più grandini, ai quali facevan dire le divozioni della sera; venivan gli uomini, con le vanghe, e con le zappe sulle spalle. All'aprirsi degli usci, si vedevan luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere cene: si sentiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della raccolta, e sulla miseria dell'annata; e più delle parole, si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno. Quando Renzo vide che i due indiscreti s'eran ritirati, continuò la sua strada nelle tenebre crescenti, dando sottovoce ora un ricordo, ora un altro, ora all'uno, ora all'altro fratello. Arrivarono alla casetta di Lucia, ch'era già notte.

Tra il primo pensiero d'una impresa terribile, e l'esecuzione di essa (ha detto un barbaro che non era privo d'ingegno), l'intervallo è un sogno, pieno di fantasmi e di paure. Lucia era, da molte ore, nell'angosce d'un tal sogno: e Agnese, Agnese medesima, l'autrice del consiglio, stava sopra pensiero, e trovava a stento parole per rincorare la figlia. Ma, al momento di destarsi, al momento cioè di dar principio all'opera, l'animo si trova tutto trasformato. Al terrore e al coraggio che vi contrastavano, succede un altro terrore e un altro coraggio: l'impresa s'affaccia alla mente, come una nuova apparizione: ciò che prima spaventava di più, sembra talvolta divenuto agevole tutt'a un tratto: talvolta comparisce grande l'ostacolo a cui s'era appena badato; l'immaginazione dà indietro sgomentata; le membra par che ricusino d'ubbidire; e il cuore manca alle promesse che aveva fatte con più sicurezza. Al picchiare sommesso di Renzo, Lucia fu assalita da tanto terrore, che risolvette, in quel momento, di soffrire ogni cosa, di star sempre divisa da lui, piùttosto ch'eseguire quella risoluzione; ma quando si fu fatto vedere, ed ebbe detto: - son qui, andiamo -; quando tutti si mostraron pronti ad avviarsi, senza esitazione, come a cosa stabilita, irrevocabile; Lucia non ebbe tempo né forza di far difficoltà, e, come strascinata, prese tremando un braccio della madre, un braccio del promesso sposo, e si mosse con la brigata avventuriera.

Zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, usciron dalla casetta, e preser la strada fuori del paese. La più corta sarebbe stata d'attraversarlo: che s'andava diritto alla casa di don Abbondio; ma scelsero quella, per non esser visti. Per viottole, tra gli orti e i campi, arrivaron vicino a quella casa, e lì si divisero. I due promessi rimaser nascosti dietro l'angolo di essa; Agnese con loro, ma un po' più innanzi, per accorrere in tempo a fermar Perpetua, e a impadronirsene; Tonio, con lo scempiato di Gervaso, che non sapeva far nulla da sé, e senza il quale non si poteva far nulla, s'affacciaron bravamente alla porta, e picchiarono.

- Chi è, a quest'ora? - gridò una voce dalla finestra, che s'aprì in quel momento: era la voce di Perpetua. - Ammalati non ce n'è, ch'io sappia. È forse accaduta qualche disgrazia?

- Son io, - rispose Tonio, - con mio fratello, che abbiam bisogno di parlare al signor curato.

- È ora da cristiani questa? - disse bruscamente Perpetua. - Che discrezione? Tornate domani.

- Sentite: tornerò o non tornerò: ho riscosso non so che danari, e venivo a saldar quel debituccio che sapete: aveva qui venticinque belle berlinghe nuove; ma se non si può, pazienza: questi, so come spenderli, e tornerò quando n'abbia messi insieme degli altri.

- Aspettate, aspettate: vo e torno. Ma perché venire a quest'ora?

- Gli ho ricevuti, anch'io, poco fa; e ho pensato, come vi dico, che, se li tengo a dormir con me, non so di che parere sarò domattina. Però, se l'ora non vi piace, non so che dire: per me, son qui; e se non mi volete, me ne vo.

- No, no, aspettate un momento: torno con la risposta. Così dicendo, richiuse la finestra. A questo punto, Agnese si staccò dai promessi, e, detto sottovoce a Lucia: - coraggio; è un momento; è come farsi cavar un dente, - si riunì ai due fratelli, davanti all'uscio; e si mise a ciarlare con Tonio, in maniera che Perpetua, venendo ad aprire, dovesse credere che si fosse abbattuta lì a caso, e che Tonio l'avesse trattenuta un momento.

Anonimo ha detto...

Capitolo X

Vi son de' momenti in cui l'animo, particolarmente de' giovani, è disposto in maniera che ogni poco d'istanza basta a ottenerne ogni cosa che abbia un'apparenza di bene e di sacrifizio: come un fiore appena sbocciato, s'abbandona mollemente sul suo fragile stelo, pronto a concedere le sue fragranze alla prim'aria che gli aliti punto d'intorno. Questi momenti, che si dovrebbero dagli altri ammirare con timido rispetto, son quelli appunto che l'astuzia interessata spia attentamente, e coglie di volo, per legare una volontà che non si guarda.

Al legger quella lettera, il principe *** vide subito lo spiraglio aperto alle sue antiche e costanti mire. Mandò a dire a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose a batter il ferro, mentre era caldo. Gertrude comparve, e, senza alzar gli occhi in viso al padre, gli si buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe appena fiato di dire: - perdono! - Egli le fece cenno che s'alzasse; ma, con una voce poco atta a rincorare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo né chiederlo; ch'era cosa troppo agevole e troppo naturale a chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione; che in somma bisognava meritarlo. Gertrude domando, sommessamente e tremando, che cosa dovesse fare. Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sull'animo della poveretta, come lo scorrere d'una mano ruvida sur una ferita. Continuò dicendo che, quand'anche... caso mai... che avesse avuto prima qualche intenzione di collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un ostacolo insuperabile; giacché a un cavalier d'onore, com'era lui, non sarebbe mai bastato l'animo di regalare a un galantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di sé. La misera ascoltatrice era annichilata: allora il principe, raddolcendo a grado a grado la voce e le parole, proseguì dicendo che però a ogni fallo c'era rimedio e misericordia; che il suo era di quelli per i quali il rimedio è più chiaramente indicato: ch'essa doveva vedere, in questo tristo accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo piena di pericoli per lei...

- Ah sì! - esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.

- Ah! lo capite anche voi, - riprese incontanente il principe. - Ebbene, non si parli più del passato: tutto è cancellato. Avete preso il solo partito onorevole, conveniente, che vi rimanesse; ma perché l'avete preso di buona voglia, e con buona maniera, tocca a me a farvelo riuscir gradito in tutto e per tutto: tocca a me a farne tornare tutto il vantaggio e tutto il merito sopra di voi. Ne prendo io la cura -. Così dicendo, scosse un campanello che stava sul tavolino, e al servitore che entrò, disse: - la principessa e il principino subito -. E seguitò poi con Gertrude: - voglio metterli subito a parte della mia consolazione; voglio che tutti comincin subito a trattarvi come si conviene. Avete sperimentato in parte il padre severo; ma da qui innanzi proverete tutto il padre amoroso.

A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita. Ora ripensava come mai quel sì che le era scappato, avesse potuto significar tanto, ora cercava se ci fosse maniera di riprenderlo, di ristringerne il senso; ma la persuasione del principe pareva così intera, la sua gioia così gelosa, la benignità così condizionata, che Gertrude non osò proferire una parola che potesse turbarle menomamente.

Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e vedendo lì Gertrude, la guardarono in viso, incerti e maravigliati. Ma il principe, con un contegno lieto e amorevole, che ne prescriveva loro un somigliante, - ecco, - disse, - la pecora smarrita: e sia questa l'ultima parola che richiami triste memorie. Ecco la consolazione della famiglia. Gertrude non ha più bisogno di consigli; ciò che noi desideravamo per suo bene, l'ha voluto lei spontaneamente. È risoluta, m'ha fatto intendere che è risoluta... - A questo passo, alzò essa verso il padre uno sguardo tra atterrito e supplichevole, come per chiedergli che sospendesse, ma egli proseguì francamente: - che è risoluta di prendere il velo.

- Brava! bene! - esclamarono, a una voce, la madre e il figlio, e l'uno dopo l'altra abbracciaron Gertrude; la quale ricevette queste accoglienze con lacrime, che furono interpretate per lacrime di consolazione. Allora il principe si diffuse a spiegar ciò che farebbe per render lieta e splendida la sorte della figlia. Parlò delle distinzioni di cui goderebbe nel monastero e nel paese; che, là sarebbe come una principessa, come la rappresentante della famiglia; che, appena l'età l'avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima dignità; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome. La principessa e il principino rinnovavano, ogni momento, le congratulazioni e gli applausi: Gertrude era come dominata da un sogno.

- Converrà poi fissare il giorno, per andare a Monza, a far la richiesta alla badessa, - disse il principe. - Come sarà contenta! Vi so dire che tutto il monastero saprà valutar l'onore che Gertrude gli fa. Anzi... perché non ci andiamo oggi? Gertrude prenderà volentieri un po' d'aria.

- Andiamo pure, - disse la principessa.

- Vo a dar gli ordini, - disse il principino.

- Ma... - proferì sommessamente Gertrude.

- Piano, piano, - riprese il principe: - lasciam decidere a lei: forse oggi non si sente abbastanza disposta, e le piacerebbe più aspettar fino a domani. Dite: volete che andiamo oggi o domani?

- Domani, - rispose, con voce fiacca, Gertrude, alla quale pareva ancora di far qualche cosa, prendendo un po' di tempo.

- Domani, - disse solennemente il principe: - ha stabilito che si vada domani. Intanto io vo dal vicario delle monache, a fissare un giorno per l'esame -. Detto fatto, il principe uscì, e andò veramente (che non fu piccola degnazione) dal detto vicario; e concertarono che verrebbe di lì a due giorni.

In tutto il resto di quella giornata, Gertrude non ebbe un minuto di bene. Avrebbe desiderato riposar l'animo da tante commozioni, lasciar, per dir così, chiarire i suoi pensieri, render conto a se stessa di ciò che aveva fatto, di ciò che le rimaneva da fare, sapere ciò che volesse, rallentare un momento quella macchina che, appena avviata, andava così precipitosamente; ma non ci fu verso. L'occupazioni si succedevano senza interruzione, s'incastravano l'una con l'altra. Subito dopo partito il principe, fu condotta nel gabinetto della principessa, per essere, sotto la sua direzione, pettinata e rivestita dalla sua propria cameriera. Non era ancor terminato di dar l'ultima mano, che furon avvertite ch'era in tavola. Gertrude passò in mezzo agl'inchini della servitù, che accennava di congratularsi per la guarigione, e trovò alcuni parenti più prossimi, ch'erano stati invitati in fretta, per farle onore, e per rallegrarsi con lei de' due felici avvenimenti, la ricuperata salute, e la spiegata vocazione.

La sposina (così si chiamavan le giovani monacande, e Gertrude, al suo apparire, fu da tutti salutata con quel nome), la sposina ebbe da dire e da fare a rispondere a' complimenti che le fioccavan da tutte le parti. Sentiva bene che ognuna delle sue risposte era come un'accettazione e una conferma; ma come rispondere diversamente? Poco dopo alzati da tavola, venne l'ora della trottata. Gertrude entrò in carrozza con la madre, e con due zii ch'erano stati al pranzo. Dopo un solito giro, si riuscì alla strada Marina, che allora attraversava lo spazio occupato ora dal giardin pubblico, ed era il luogo dove i signori venivano in carrozza a ricrearsi delle fatiche della giornata. Gli zii parlarono anche a Gertrude, come portava la convenienza in quel giorno: e uno di loro, il qual pareva che, più dell'altro, conoscesse ogni persona, ogni carrozza, ogni livrea, e aveva ogni momento qualcosa da dire del signor tale e della signora tal altra, si voltò a lei tutt'a un tratto, e le disse: - ah furbetta! voi date un calcio a tutte queste corbellerie; siete una dirittona voi; piantate negl'impicci noi poveri mondani, vi ritirate a fare una vita beata, e andate in paradiso in carrozza.

Sul tardi, si tornò a casa; e i servitori, scendendo in fretta con le torce, avvertirono che molte visite stavano aspettando. La voce era corsa; e i parenti e gli amici venivano a fare il loro dovere. S'entrò nella sala della conversazione. La sposina ne fu l'idolo, il trastullo, la vittima. Ognuno la voleva per sé: chi si faceva prometter dolci, chi prometteva visite, chi parlava della madre tale sua parente, chi della madre tal altra sua conoscente, chi lodava il cielo di Monza, chi discorreva, con gran sapore, della gran figura ch'essa avrebbe fatta là. Altri, che non avevan potuto ancora avvicinarsi a Gertrude così assediata, stavano spiando l'occasione di farsi innanzi, e sentivano un certo rimorso, fin che non avessero fatto il loro dovere. A poco a poco, la compagnia s'andò dileguando; tutti se n'andarono senza rimorso, e Gertrude rimase sola co' genitori e il fratello.

- Finalmente, - disse il principe, - ho avuto la consolazione di veder mia figlia trattata da par sua. Bisogna però confessare che anche lei s'è portata benone, e ha fatto vedere che non sarà impicciata a far la prima figura, e a sostenere il decoro della famiglia.

Si cenò in fretta, per ritirarsi subito, ed esser pronti presto la mattina seguente.

Gertrude contristata, indispettita e, nello stesso tempo, un po' gonfiata da tutti que' complimenti, si rammentò in quel punto ciò che aveva patito dalla sua carceriera; e, vedendo il padre così disposto a compiacerla in tutto, fuor che in una cosa, volle approfittare dell'auge in cui si trovava, per acquietare almeno una delle passioni che la tormentavano. Mostrò quindi una gran ripugnanza a trovarsi con colei, lagnandosi fortemente delle sue maniere.

- Come! - disse il principe: - v'ha mancato di rispetto colei! Domani, domani, le laverò il capo come va. Lasciate fare a me, che le farò conoscere chi è lei, e chi siete voi. E a ogni modo, una figlia della quale io son contento, non deve vedersi intorno una persona che le dispiaccia -. Così detto, fece chiamare un'altra donna, e le ordinò di servir Gertrude; la quale intanto, masticando e assaporando la soddisfazione che aveva ricevuta, si stupiva di trovarci così poco sugo, in paragone del desiderio che n'aveva avuto. Ciò che, anche suo malgrado, s'impossessava di tutto il suo animo, era il sentimento de' gran progressi che aveva fatti, in quella giornata, sulla strada del chiostro, il pensiero che a ritirarsene ora ci vorrebbe molta più forza e risolutezza di quella che sarebbe bastata pochi giorni prima, e che pure non s'era sentita d'avere.

La donna che andò ad accompagnarla in camera, era una vecchia di casa, stata già governante del principino, che aveva ricevuto appena uscito dalle fasce, e tirato su fino all'adolescenza, e nel quale aveva riposte tutte le sue compiacenze, le sue speranze, la sua gloria. Era essa contenta della decisione fatta in quel giorno, come d'una sua propria fortuna; e Gertrude, per ultimo divertimento, dovette succiarsi le congratulazioni, le lodi, i consigli della vecchia, e sentir parlare di certe sue zie e prozie, le quali s'eran trovate ben contente d'esser monache, perché, essendo di quella casa, avevan sempre goduto i primi onori, avevan sempre saputo tenere uno zampino di fuori, e, dal loro parlatorio, avevano ottenuto cose che le più gran dame, nelle loro sale, non c'eran potute arrivare. Le parlò delle visite che avrebbe ricevute: un giorno poi, verrebbe il signor principino con la sua sposa, la quale doveva esser certamente una gran signorona; e allora, non solo il monastero, ma tutto il paese sarebbe in moto. La vecchia aveva parlato mentre spogliava Gertrude, quando Gertrude era a letto; parlava ancora, che Gertrude dormiva. La giovinezza e la fatica erano state più forti de' pensieri. Il sonno fu affannoso, torbido, pieno di sogni penosi, ma non fu rotto che dalla voce strillante della vecchia, che venne a svegliarla, perché si preparasse per la gita di Monza.

- Andiamo, andiamo, signora sposina: è giorno fatto; e prima che sia vestita e pettinata, ci vorrà un'ora almeno. La signora principessa si sta vestendo; e l'hanno svegliata quattr'ore prima del solito. Il signor principino è già sceso alle scuderie, poi è tornato su, ed è all'ordine per partire quando si sia. Vispo come una lepre, quel diavoletto: ma! è stato così fin da bambino; e io posso dirlo, che l'ho portato in collo. Ma quand'è pronto, non bisogna farlo aspettare, perché, sebbene sia della miglior pasta del mondo, allora s'impazientisce e strepita. Poveretto! bisogna compatirlo: è il suo naturale; e poi questa volta avrebbe anche un po' di ragione, perché s'incomoda per lei. Guai chi lo tocca in que' momenti! non ha riguardo per nessuno, fuorché per il signor principe. Ma finalmente non ha sopra di sé che il signor principe, e un giorno, il signor principe sarà lui; più tardi che sia possibile, però. Lesta, lesta, signorina! Perché mi guarda così incantata? A quest'ora dovrebbe esser fuor della cuccia.

All'immagine del principino impaziente, tutti gli altri pensieri che s'erano affollati alla mente risvegliata di Gertrude, si levaron subito, come uno stormo di passere all'apparir del nibbio. Ubbidì, si vestì in fretta, si lasciò pettinare, e comparve nella sala, dove i genitori e il fratello eran radunati. Fu fatta sedere sur una sedia a braccioli, e le fu portata una chicchera di cioccolata: il che, a que' tempi, era quel che già presso i Romani il dare la veste virile.

Quando vennero a avvertir ch'era attaccato, il principe tirò la figlia in disparte, e le disse: - orsù, Gertrude, ieri vi siete fatta onore: oggi dovete superar voi medesima. Si tratta di fare una comparsa solenne nel monastero e nel paese dove siete destinata a far la prima figura. V'aspettano... - È inutile dire che il principe aveva spedito un avviso alla badessa, il giorno avanti. - V'aspettano, e tutti gli occhi saranno sopra di voi. Dignità e disinvoltura. La badessa vi domanderà cosa volete: è una formalità. Potete rispondere che chiedete d'essere ammessa a vestir l'abito in quel monastero, dove siete stata educata così amorevolmente, dove avete ricevute tante finezze: che è la pura verità. Dite quelle poche parole, con un fare sciolto: che non s'avesse a dire che v'hanno imboccata, e che non sapete parlare da voi. Quelle buone madri non sanno nulla dell'accaduto: è un segreto che deve restar sepolto nella famiglia; e perciò non fate una faccia contrita e dubbiosa, che potesse dar qualche sospetto. Fate vedere di che sangue uscite: manierosa, modesta; ma ricordatevi che, in quel luogo, fuor della famiglia, non ci sarà nessuno sopra di voi.

Senza aspettar risposta, il principe si mosse; Gertrude, la principessa e il principino lo seguirono; scesero tutti le scale, e montarono in carrozza. Gl'impicci e le noie del mondo, e la vita beata del chiostro, principalmente per le giovani di sangue nobilissimo, furono il tema della conversazione, durante il tragitto. Sul finir della strada, il principe rinnovò l'istruzioni alla figlia, e le ripeté più volte la formola della risposta. All'entrare in Monza, Gertrude si sentì stringere il cuore; ma la sua attenzione fu attirata per un istante da non so quali signori che, fatta fermar la carrozza, recitarono non so qual complimento. Ripreso il cammino, s'andò quasi di passo al monastero, tra gli sguardi de' curiosi, che accorrevano da tutte le parti sulla strada. Al fermarsi della carrozza, davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il cuore si strinse ancor più a Gertrude. Si smontò tra due ale di popolo, che i servitori facevano stare indietro. Tutti quegli occhi addosso alla poveretta l'obbligavano a studiar continuamente il suo contegno: ma più di tutti quelli insieme, la tenevano in suggezione i due del padre, a' quali essa, quantunque ne avesse così gran paura, non poteva lasciar di rivolgere i suoi, ogni momento. E quegli occhi governavano le sue mosse e il suo volto, come per mezzo di redini invisibili. Attraversato il primo cortile, s'entrò in un altro, e lì si vide la porta del chiostro interno, spalancata e tutta occupata da monache. Nella prima fila, la badessa circondata da anziane; dietro, altre monache alla rinfusa, alcune in punta di piedi; in ultimo le converse ritte sopra panchetti. Si vedevan pure qua e là luccicare a mezz'aria alcuni occhietti, spuntar qualche visino tra le tonache: eran le più destre, e le più coraggiose tra l'educande, che, ficcandosi e penetrando tra monaca e monaca, eran riuscite a farsi un po' di pertugio, per vedere anch'esse qualche cosa. Da quella calca uscivano acclamazioni; si vedevan molte braccia dimenarsi, in segno d'accoglienza e di gioia. Giunsero alla porta; Gertrude si trovò a viso a viso con la madre badessa. Dopo i primi complimenti, questa, con una maniera tra il giulivo e il solenne, le domandò cosa desiderasse in quel luogo, dove non c'era chi le potesse negar nulla.

- Son qui..., - cominciò Gertrude; ma, al punto di proferir le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo destino, esitò un momento, e rimase con gli occhi fissi sulla folla che le stava davanti. Vide, in quel momento, una di quelle sue note compagne, che la guardava con un'aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che dicesse: ah! la c'è cascata la brava. Quella vista, risvegliando più vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti, le restituì anche un po' di quel poco antico coraggio: e già stava cercando una risposta qualunque, diversa da quella che le era stata dettata; quando, alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi per esperimentar le sue forze, scorse su quella un'inquietudine così cupa, un'impazienza così minaccevole, che, risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì: - son qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abito religioso, in questo monastero, dove sono stata allevata così amorevolmente -. La badessa rispose subito, che le dispiaceva molto, in una tale occasione, che le regole non le permettessero di dare immediatamente una risposta, la quale doveva venire dai voti comuni delle suore, e alla quale doveva precedere la licenza de' superiori. Che però Gertrude, conoscendo i sentimenti che s'avevan per lei in quel luogo, poteva preveder con certezza qual sarebbe questa risposta; e che intanto nessuna regola proibiva alla badessa e alle suore di manifestare la consolazione che sentivano di quella richiesta. S'alzò allora un frastono confuso di congratulazioni e d'acclamazioni. Vennero subito gran guantiere colme di dolci, che furon presentati, prima alla sposina, e dopo ai parenti. Mentre alcune monache facevano a rubarsela, e altre complimentavan la madre, altre il principino, la badessa fece pregare il principe che volesse venire alla grata del parlatorio, dove l'attendeva. Era accompagnata da due anziane; e quando lo vide comparire, - signor principe, - disse: - per ubbidire alle regole... per adempire una formalità indispensabile, sebbene in questo caso... pure devo dirle... che, ogni volta che una figlia chiede d'essere ammessa a vestir l'abito,... la superiora, quale io sono indegnamente,... è obbligata d'avvertire i genitori... che se, per caso... forzassero la volontà della figlia, incorrerebbero nella scomunica. Mi scuserà...

- Benissimo, benissimo, reverenda madre. Lodo la sua esattezza: è troppo giusto... Ma lei non può dubitare... - Oh! pensi, signor principe,... ho parlato per obbligo preciso,... del resto...

- Certo, certo, madre badessa.

Barattate queste poche parole, i due interlocutori s'inchinarono vicendevolmente, e si separarono, come se a tutt'e due pesasse di rimaner lì testa testa; e andarono a riunirsi ciascuno alla sua compagnia, l'uno fuori, l'altra dentro la soglia claustrale. Dato luogo a un po' d'altre ciarle, - Oh via, - disse il principe: - Gertrude potrà presto godersi a suo bell'agio la compagnia di queste madri. Per ora le abbiamo incomodate abbastanza -. Così detto, fece un inchino; la famiglia si mosse con lui; si rinnovarono i complimenti, e si partì.

Gertrude, nel tornare, non aveva troppa voglia di discorrere. Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della sua dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro sé stessa, faceva tristamente il conto dell'occasioni, che le rimanevano ancora di dir di no; e prometteva debolmente e confusamente a sé stessa che, in questa, o in quella, o in quell'altra, sarebbe più destra e più forte. Con tutti questi pensieri, non le era però cessato affatto il terrore di quel cipiglio del padre; talché, quando, con un'occhiata datagli alla sfuggita, poté chiarirsi che sul volto di lui non c'era più alcun vestigio di collera, quando anzi vide che si mostrava soddisfattissimo di lei, le parve una bella cosa, e fu, per un istante, tutta contenta.

Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desinare, poi alcune visite, poi la trottata, poi la conversazione, poi la cena. Sulla fine di questa, il principe mise in campo un altro affare, la scelta della madrina. Così si chiamava una dama, la quale, pregata da' genitori, diventava custode e scorta della giovane monacanda, nel tempo tra la richiesta e l'entratura nel monastero; tempo che veniva speso in visitar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni, le ville, i santuari: tutte le cose in somma più notabili della città e de' contorni; affinché le giovani, prima di proferire un voto irrevocabile, vedessero bene a cosa davano un calcio. - Bisognerà pensare a una madrina, - disse il principe: - perché domani verrà il vicario delle monache, per la formalità dell'esame, e subito dopo, Gertrude verrà proposta in capitolo, per esser accettata dalle madri -. Nel dir questo, s'era voltato verso la principessa; e questa, credendo che fosse un invito a proporre, cominciava: - ci sarebbe... - Ma il principe interruppe: - No, no, signora principessa: la madrina deve prima di tutto piacere alla sposina; e benché l'uso universale dia la scelta ai parenti, pure Gertrude ha tanto giudizio, tanta assennatezza, che merita bene che si faccia un'eccezione per lei -. E qui, voltandosi a Gertrude, in atto di chi annunzia una grazia singolare, continuò: - ognuna delle dame che si son trovate questa sera alla conversazione, ha quel che si richiede per esser madrina d'una figlia della nostra casa; non ce n'è nessuna, crederei, che non sia per tenersi onorata della preferenza: scegliete voi.

Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare un nuovo consenso; ma la proposta veniva fatta con tanto apparato, che il rifiuto, per quanto fosse umile, poteva parer disprezzo, o almeno capriccio e leziosaggine. Fece dunque anche quel passo; e nominò la dama che, in quella sera, le era andata più a genio; quella cioè che le aveva fatto più carezze, che l'aveva più lodata, che l'aveva trattata con quelle maniere famigliari, affettuose e premurose, che, ne' primi momenti d'una conoscenza, contraffanno una antica amicizia. - Ottima scelta, - disse il principe, che desiderava e aspettava appunto quella. Fosse arte o caso, era avvenuto come quando il giocator di bussolotti facendovi scorrere davanti agli occhi le carte d'un mazzo, vi dice che ne pensiate una, e lui poi ve la indovinerà; ma le ha fatte scorrere in maniera che ne vediate una sola. Quella dama era stata tanto intorno a Gertrude tutta la sera, l'aveva tanto occupata di sé, che a questa sarebbe bisognato uno sforzo di fantasia per pensarne un'altra. Tante premure poi non eran senza motivo: la dama aveva, da molto tempo, messo gli occhi addosso al principino, per farlo suo genero: quindi riguardava le cose di quella casa come sue proprie; ed era ben naturale che s'interessasse per quella cara Gertrude, niente meno de' suoi parenti più prossimi.

Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero dell'esaminatore che doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse cogliere quella occasione così decisiva, per tornare indietro, e in qual maniera, il principe la fece chiamare. - Orsù, figliuola, - le disse: - finora vi siete portata egregiamente: oggi si tratta di coronar l'opera. Tutto quel che s'è fatto finora, s'è fatto di vostro consenso. Se in questo tempo vi fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio, grilli di gioventù, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le cose, non è più tempo di far ragazzate. Quell'uomo dabbene che deve venire stamattina, vi farà cento domande sulla vostra vocazione: e se vi fate monaca di vostra volontà, e il perché e il per come, e che so io? Se voi titubate nel rispondere, vi terrà sulla corda chi sa quanto. Sarebbe un'uggia, un tormento per voi; ma ne potrebbe anche venire un altro guaio più serio. Dopo tutte le dimostrazioni pubbliche che si son fatte, ogni più piccola esitazione che si vedesse in voi, metterebbe a repentaglio il mio onore, potrebbe far credere ch'io avessi presa una vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che avessi precipitato la cosa, che avessi... che so io? In questo caso, mi troverei nella necessità di scegliere tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formi un tristo concetto della mia condotta: partito che non può stare assolutamente con ciò che devo a me stesso. O svelare il vero motivo della vostra risoluzione e... - Ma qui, vedendo che Gertrude era diventata scarlatta, che le si gonfiavan gli occhi, e il viso si contraeva, come le foglie d'un fiore, nell'afa che precede la burrasca, troncò quel discorso, e, con aria serena, riprese: - via, via, tutto dipende da voi, dal vostro buon giudizio. So che n'avete molto, e non siete ragazza da guastar sulla fine una cosa fatta bene; ma io doveva preveder tutti i casi. Non se ne parli più; e restiam d'accordo che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far nascer dubbi nella testa di quell'uomo dabbene. Così anche voi ne sarete fuori più presto -. E qui, dopo aver suggerita qualche risposta all'interrogazioni più probabili, entrò nel solito discorso delle dolcezze e de' godimenti ch'eran preparati a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quello, fin che venne un servitore ad annunziare il vicario. Il principe rinnovò in fretta gli avvertimenti più importanti, e lasciò la figlia sola con lui, com'era prescritto.

L'uomo dabbene veniva con un po' d'opinione già fatta che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro: perché così gli aveva detto il principe, quando era stato a invitarlo. È vero che il buon prete, il quale sapeva che la diffidenza era una delle virtù più necessarie nel suo ufizio, aveva per massima d'andar adagio nel credere a simili proteste, e di stare in guardia contro le preoccupazioni; ma ben di rado avviene che le parole affermative e sicure d'una persona autorevole, in qualsivoglia genere, non tingano del loro colore la mente di chi le ascolta.

Dopo i primi complimenti, - signorina, - le disse, - io vengo a far la parte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò che, nella sua supplica lei ha dato per certo; vengo a metterle davanti agli occhi le difficoltà, e ad accertarmi se le ha ben considerate. Si contenti ch'io le faccia qualche interrogazione.

- Dica pure, - rispose Gertrude.

Il buon prete cominciò allora a interrogarla, nella forma prescritta dalle regole. - Sente lei in cuor suo una libera, spontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono state adoperate minacce, o lusinghe? Non s'è fatto uso di nessuna autorità, per indurla a questo? Parli senza riguardi, e con sincerità, a un uomo il cui dovere è di conoscere la sua vera volontà, per impedire che non le venga usata violenza in nessun modo.

La vera risposta a una tale domanda s'affacciò subito alla mente di Gertrude, con un'evidenza terribile. Per dare quella risposta, bisognava venire a una spiegazione, dire di che era stata minacciata, raccontare una storia... L'infelice rifuggì spaventata da questa idea; cercò in fretta un'altra risposta; ne trovò una sola che potesse liberarla presto e sicuramente da quel supplizio, la più contraria al vero. - Mi fo monaca, - disse, nascondendo il suo turbamento, - mi fo monaca, di mio genio, liberamente.

- Da quanto tempo le è nato codesto pensiero? - domandò ancora il buon prete.

- L'ho sempre avuto, - rispose Gertrude, divenuta, dopo quel primo passo, più franca a mentire contro se stessa.

- Ma quale è il motivo principale che la induce a farsi monaca?

Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse; e Gertrude si fece una gran forza per non lasciar trasparire sul viso l'effetto che quelle parole le producevano nell'animo. - Il motivo, - disse, - è di servire a Dio, e di fuggire i pericoli del mondo.

- Non sarebbe mai qualche disgusto? qualche... mi scusi... capriccio? Alle volte, una cagione momentanea può fare un'impressione che par che deva durar sempre; e quando poi la cagione cessa, e l'animo si muta, allora...

- No, no, - rispose precipitosamente Gertrude: - la cagione è quella che le ho detto.

Il vicario, più per adempire interamente il suo obbligo, che per la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette con le domande; ma Gertrude era determinata d'ingannarlo. Oltre il ribrezzo che le cagionava il pensiero di render consapevole della sua debolezza quel grave e dabben prete, che pareva così lontano dal sospettar tal cosa di lei; la poveretta pensava poi anche ch'egli poteva bene impedire che si facesse monaca; ma lì finiva la sua autorità sopra di lei, e la sua protezione. Partito che fosse, essa rimarrebbe sola col principe. E qualunque cosa avesse poi a patire in quella casa, il buon prete non n'avrebbe saputo nulla, o sapendolo, con tutta la sua buona intenzione, non avrebbe potuto far altro che aver compassione di lei, quella compassione tranquilla e misurata, che, in generale, s'accorda, come per cortesia, a chi abbia dato cagione o pretesto al male che gli fanno. L'esaminatore fu prima stanco d'interrogare, che la sventurata di mentire: e, sentendo quelle risposte sempre conformi, e non avendo alcun motivo di dubitare della loro schiettezza, mutò finalmente linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in certo modo, scusa d'aver tardato tanto a far questo suo dovere; aggiunse ciò che credeva più atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò.

Attraversando le sale per uscire, s'abbatté nel principe, il quale pareva che passasse di là a caso; e con lui pure si congratulò delle buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola. Il principe era stato fino allora in una sospensione molto penosa: a quella notizia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi di corsa da Gertrude, la ricolmò di lodi, di carezze e di promesse, con un giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sincera: così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano.

Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli e di divertimenti. E neppure descriveremo, in particolare e per ordine, i sentimenti dell'animo suo in tutto quel tempo: sarebbe una storia di dolori e di fluttuazioni, troppo monotona, e troppo somigliante alle cose già dette. L'amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti, quello svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là all'aria aperta, le rendevan più odiosa l'idea del luogo dove alla fine si smonterebbe per l'ultima volta, per sempre. Più pungenti ancora eran l'impressioni che riceveva nelle conversazioni e nelle feste. La vista delle spose alle quali si dava questo titolo nel senso più ovvio e più usitato, le cagionava un'invidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l'aspetto di qualche altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi dare quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d'ogni felicità. Talvolta la pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichìo e il fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza, un ardor tale di viver lieto, che prometteva a se stessa di disdirsi, di soffrir tutto, piuttosto che tornare all'ombra fredda e morta del chiostro. Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano alla considerazione più riposata delle difficoltà, al solo fissar gli occhi in viso al principe. Talvolta anche, il pensiero di dover abbandonare per sempre que' godimenti, gliene rendeva arnaro e penoso quel piccol saggio; come l'infermo assetato guarda con rabbia, e quasi rispinge con dispetto il cucchiaio d'acqua che il medico gli concede a fatica. Intanto il vicario delle monache ebbe rilasciata l'attestazione necessaria, e venne la licenza di tenere il capitolo per l'accettazione di Gertrude. Il capitolo si tenne; concorsero, com'era da aspettarsi, i due terzi de' voti segreti ch'eran richiesti da' regolamenti; e Gertrude fu accettata. Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora d'entrar più presto che fosse possibile, nel monastero. Non c'era sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre.

È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c'è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c'è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessita virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch'è stato intrapreso per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada così fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l'uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta. Ma l'infelice si dibatteva in vece sotto il giogo, e così ne sentiva più forte il peso e le scosse. Un rammarico incessante della libertà perduta, l'abborrimento dello stato presente, un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero mai soddisfatti, tali erano le principali occupazioni dell'animo suo. Rimasticava quell'amaro passato, ricomponeva nella memoria tutte le circostanze per le quali si trovava lì; e disfaceva mille volte inutilmente col pensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accusava sé di dappocaggine, altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva. Idolatrava insieme e piangeva la sua bellezza, deplorava una gioventù destinata a struggersi in un lento martirio, e invidiava, in certi momenti, qualunque donna, in qualunque condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente godersi nel mondo que' doni.

La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a tirarla là dentro, le era odiosa. Si ricordava l'arti e i raggiri che avevan messi in opera, e le pagava con tante sgarbatezze, con tanti dispetti, e anche con aperti rinfacciamenti. A quelle conveniva le più volte mandar giù e tacere: perché il principe aveva ben voluto tiranneggiar la figlia quanto era necessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto l'intento, non avrebbe così facilmente sofferto che altri pretendesse d'aver ragione contro il suo sangue: e ogni po' di rumore che avesser fatto, poteva esser cagione di far loro perdere quella gran protezione, o cambiar per avventura il protettore in nemico. Pare che Gertrude avrebbe dovuto sentire una certa propensione per l'altre suore, che non avevano avuto parte in quegl'intrighi, e che, senza averla desiderata per compagna, l'amavano come tale; e pie, occupate e ilari, le mostravano col loro esempio come anche là dentro si potesse non solo vivere, ma starci bene. Ma queste pure le erano odiose, per un altro verso. La loro aria di pietà e di contentezza le riusciva come un rimprovero della sua inquietudine, e della sua condotta bisbetica; e non lasciava sfuggire occasione di deriderle dietro le spalle, come pinzochere, o di morderle come ipocrite. Forse sarebbe stata meno avversa ad esse, se avesse saputo o indovinato che le poche palle nere, trovate nel bossolo che decise della sua accettazione, c'erano appunto state messe da quelle.

Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel comandare, nell'esser corteggiata in monastero, nel ricever visite di complimento da persone di fuori, nello spuntar qualche impegno, nello spendere la sua protezione, nel sentirsi chiamar la signora; ma quali consolazioni! Il cuore, trovandosene così poco appagato, avrebbe voluto di quando in quando aggiungervi, e goder con esse le consolazioni della religione; ma queste non vengono se non a chi trascura quell'altre: come il naufrago, se vuole afferrar la tavola che può condurlo in salvo sulla riva, deve pure allargare il pugno, e abbandonar l'alghe, che aveva prese, per una rabbia d'istinto.

Poco dopo la professione, Gertrude era stata fatta maestra dell'educande; ora pensate come dovevano stare quelle giovinette, sotto una tal disciplina. Le sue antiche confidenti eran tutte uscite; ma lei serbava vive tutte le passioni di quel tempo; e, in un modo o in un altro, l'allieve dovevan portarne il peso. Quando le veniva in mente che molte di loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale essa era esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio, un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bistrattava, faceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti un giorno. Chi avesse sentito, in que' momenti, con che sdegno magistrale le gridava, per ogni piccola scappatella, l'avrebbe creduta una donna d'una spiritualità salvatica e indiscreta. In altri momenti, lo stesso orrore per il chiostro, per la regola, per l'ubbidienza, scoppiava in accessi d'umore tutto opposto. Allora, non solo sopportava la svagatezza clamorosa delle sue allieve, ma l'eccitava; si mischiava ne' loro giochi, e li rendeva più sregolati; entrava a parte de' loro discorsi, e li spingeva più in là dell'intenzioni con le quali esse gli avevano incominciati. Se qualcheduna diceva una parola sul cicalìo della madre badessa, la maestra lo imitava lungamente, e ne faceva una scena di commedia; contraffaceva il volto d'una monaca, l'andatura d'un'altra: rideva allora sgangheratamente; ma eran risa che non la lasciavano più allegra di prima. Così era vissuta alcuni anni, non avendo comodo, né occasione di far di più; quando la sua disgrazia volle che un'occasione si presentasse.

Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa, c'era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de' tanti, che, in que' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.

In que' primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo, ma viva. Nel vòto uggioso dell'animo suo s'era venuta a infondere un'occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tormenti. Si videro, nello stesso tempo, di gran novità in tutta la sua condotta: divenne, tutt'a un tratto, più regolare, più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolìo, si mostrò anzi carezzevole e manierosa, dimodoché le suore si rallegravano a vicenda del cambiamento felice; lontane com'erano dall'immaginarne il vero motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta all'antiche magagne. Quell'apparenza però, quella, per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i soliti dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l'imprecazioni e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in un linguaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Però, ad ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone parole. Le suore sopportavano alla meglio tutti questi alt'e bassi, e gli attribuivano all'indole bisbetica e leggiera della signora.

Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva più, la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che lei sapeva qualche cosa, e, che, a tempo e luogo, avrebbe parlato. Da quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però molto tempo, che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a' suoi ufizi consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo; non c'è in nessun luogo. E chi sa quali congetture si sarebber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperto una buca nel muro dell'orto; la qual cosa fece pensare a tutte, che fosse sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in Monza e ne' contorni, e principalmente a Meda, di dov'era quella conversa; si scrisse in varie parti: non se n'ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino. Dopo molte maraviglie, perché nessuno l'avrebbe creduta capace di ciò, e dopo molti discorsi, si concluse che doveva essere andata lontano, lontano. E perché scappò detto a una suora: - s'è rifugiata in Olanda di sicuro, - si disse subito, e si ritenne per un pezzo, nel monastero e fuori, che si fosse rifugiata in Olanda. Non pare però che la signora fosse di questo parere. Non già che mostrasse di non credere, o combattesse l'opinion comune, con sue ragioni particolari: se ne aveva, certo, ragioni non furono mai così ben dissimulate; né c'era cosa da cui s'astenesse più volentieri che da rimestar quella storia, cosa di cui si curasse meno che di toccare il fondo di quel mistero. Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava. Quante volte al giorno l'immagine di quella donna veniva a cacciarsi d'improvviso nella sua mente, e si piantava lì, e non voleva moversi! Quante volte avrebbe desiderato di vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che averla sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno e notte, in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile! Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei, qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver sempre nell'intimo dell'orecchio mentale il susurro fantastico di quella stessa voce, e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con un'insistenza infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai!

Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia fu presentata alla signora, ed ebbe con lei quel colloquio al quale siam rimasti col racconto. La signora moltiplicava le domande intorno alla persecuzione di don Rodrigo, e entrava in certi particolari, con una intrepidezza, che riuscì e doveva riuscire più che nuova a Lucia, la quale non aveva mai pensato che la curiosità delle monache potesse esercitarsi intorno a simili argomenti. I giudizi poi che quella frammischiava all'interrogazioni, o che lasciava trasparire, non eran meno strani. Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto di quel signore, e domandava se era un mostro, da far tanta paura: pareva quasi che avrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia della giovine, se non avesse avuto per ragione la preferenza data a Renzo. E su questo pure s'avanzava a domande, che facevano stupire e arrossire l'interrogata. Avvedendosi poi d'aver troppo lasciata correr la lingua dietro agli svagamenti del cervello, cercò di correggere e d'interpretare in meglio quelle sue ciarle; ma non poté fare che a Lucia non ne rimanesse uno stupore dispiacevole, e come un confuso spavento. E appena poté trovarsi sola con la madre, se n'aprì con lei; ma Agnese, come più esperta, sciolse, con poche parole, tutti que' dubbi, e spiegò tutto il mistero. - Non te ne far maraviglia, - disse: - quando avrai conosciuto il mondo quanto me, vedrai che non son cose da farsene maraviglia. I signori, chi più, chi meno, chi per un verso, chi per un altro, han tutti un po' del matto. Convien lasciarli dire, principalmente quando s'ha bisogno di loro; far vista d'ascoltarli sul serio, come se dicessero delle cose giuste. Hai sentito come m'ha dato sulla voce, come se avessi detto qualche gran sproposito? Io non me ne son fatta caso punto. Son tutti così. E con tutto ciò, sia ringraziato il cielo, che pare che questa signora t'abbia preso a ben volere, e voglia proteggerci davvero. Del resto, se camperai, figliuola mia, e se t'accaderà ancora d'aver che fare con de' signori, ne sentirai, ne sentirai, ne sentirai.

Il desiderio d'obbligare il padre guardiano, la compiacenza di proteggere, il pensiero del buon concetto che poteva fruttare la protezione impiegata così santamente, una certa inclinazione per Lucia, e anche un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente, nel soccorrere e consolare oppressi, avevan realmente disposta la signora a prendersi a petto la sorte delle due povere fuggitive. A sua richiesta, e a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della fattoressa attiguo al chiostro, e trattate come se fossero addette al servizio del monastero. La madre e la figlia si rallegravano insieme d'aver trovato così presto un asilo sicuro e onorato. Avrebber anche avuto molto piacere di rimanervi ignorate da ogni persona; ma la cosa non era facile in un monastero: tanto più che c'era un uomo troppo premuroso d'aver notizie d'una di loro, e nell'animo del quale, alla passione e alla picca di prima s'era aggiunta anche la stizza d'essere stato prevenuto e deluso. E noi, lasciando le donne nel loro ricovero, torneremo al palazzotto di costui, nell'ora in cui stava attendendo l'esito della sua scellerata spedizione.
Capitolo XI

Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi, e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo. Egli camminava innanzi e indietro, al buio, per una stanzaccia disabitata dell'ultimo piano, che rispondeva sulla spianata. Ogni tanto si fermava, tendeva l'orecchio, guardava dalle fessure dell'imposte intarlate, pieno d'impazienza e non privo d'inquietudine, non solo per l'incertezza della riuscita, ma anche per le conseguenze possibili; perché era la più grossa e la più arrischiata a cui il brav'uomo avesse ancor messo mano. S'andava però rassicurando col pensiero delle precauzioni prese per distrugger gl'indizi, se non i sospetti. "In quanto ai sospetti", pensava, "me ne rido. Vorrei un po' sapere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se c'è o non c'è una ragazza. Venga, venga quel tanghero, che sarà ben ricevuto. Venga il frate, venga. La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia? Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, né un matto. E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno né anche un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura. Come rimarrà Attilio, domattina! Vedrà, vedrà s'io fo ciarle o fatti. E poi... se mai nascesse qualche imbroglio... che so io? qualche nemico che volesse cogliere quest'occasione,... anche Attilio saprà consigliarmi: c'è impegnato l'onore di tutto il parentado". Ma il pensiero sul quale si fermava di più, perché in esso trovava insieme un acquietamento de' dubbi, e un pascolo alla passion principale, era il pensiero delle lusinghe, delle promesse che adoprerebbe per abbonire Lucia. "Avrà tanta paura di trovarsi qui sola, in mezzo a costoro, a queste facce, che... il viso più umano qui son io, per bacco... che dovrà ricorrere a me, toccherà a lei a pregare; e se prega".

Mentre fa questi bei conti, sente un calpestìo, va alla finestra, apre un poco, fa capolino; son loro. "E la bussola? Diavolo! dov'è la bussola? Tre, cinque, otto: ci son tutti; c'è anche il Griso; la bussola non c'è: diavolo! diavolo! il Griso me ne renderà conto".

Entrati che furono, il Griso posò in un angolo d'una stanza terrena il suo bordone, posò il cappellaccio e il sanrocchino, e, come richiedeva la sua carica, che in quel momento nessuno gl'invidiava, salì a render quel conto a don Rodrigo. Questo l'aspettava in cima alla scala; e vistolo apparire con quella goffa e sguaiata presenza del birbone deluso, - ebbene, - gli disse, o gli gridò: - signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame?

- L'è dura, - rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino, - l'è dura di ricever de' rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle.

- Com'è andata? Sentiremo, sentiremo, - disse don Rodrigo, e s'avviò verso la sua camera, dove il Griso lo seguì, e fece subito la relazione di ciò che aveva disposto, fatto, veduto e non veduto, sentito, temuto, riparato; e la fece con quell'ordine e con quella confusione, con quella dubbiezza e con quello sbalordimento, che dovevano per forza regnare insieme nelle sue idee.

- Tu non hai torto, e ti sei portato bene, - disse don Rodrigo: - hai fatto quello che si poteva; ma... ma, che sotto questo tetto ci fosse una spia! Se c'è, se lo arrivo a scoprire, e lo scopriremo se c'è, te l'accomodo io; ti so dir io, Griso, che lo concio per il dì delle feste.

- Anche a me, signore, - disse il Griso, - è passato per la mente un tal sospetto: e se fosse vero, se si venisse a scoprire un birbone di questa sorte, il signor padrone lo deve metter nelle mie mani. Uno che si fosse preso il divertimento di farmi passare una notte come questa! toccherebbe a me a pagarlo. Però, da varie cose m'è parso di poter rilevare che ci dev'essere qualche altro intrigo, che per ora non si può capire. Domani, signore, domani se ne verrà in chiaro.

- Non siete stati riconosciuti almeno?

Il Griso rispose che sperava di no; e la conclusione del discorso fu che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno dopo, tre cose che colui avrebbe sapute ben pensare anche da sé. Spedire la mattina presto due uomini a fare al console quella tale intimazione, che fu poi fatta, come abbiam veduto; due altri al casolare a far la ronda, per tenerne lontano ogni ozioso che vi capitasse, e sottrarre a ogni sguardo la bussola fino alla notte prossima, in cui si manderebbe a prenderla; giacché per allora non conveniva fare altri movimenti da dar sospetto; andar poi lui, e mandare anche altri, de' più disinvolti e di buona testa, a mescolarsi con la gente, per scovar qualcosa intorno all'imbroglio di quella notte. Dati tali ordini, don Rodrigo se n'andò a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte lodi, dalle quali traspariva evidentemente l'intenzione di risarcirlo degl'improperi precipitati coi quali lo aveva accolto.

Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno. Povero Griso! In faccende tutto il giorno, in faccende mezza la notte, senza contare il pericolo di cader sotto l'unghie de' villani, o di buscarti una taglia per rapto di donna honesta, per giunta di quelle che hai già addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso gli uomini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o tardi anche in questo mondo. Va a dormire per ora: che un giorno avrai forse a somministrarcene un'altra prova, e più notabile di questa.

La mattina seguente, il Griso era fuori di nuovo in faccende, quando don Rodrigo s'alzò. Questo cercò subito del conte Attilio, il quale, vedendolo spuntare, fece un viso e un atto canzonatorio, e gli gridò: - san Martino!

- Non so cosa vi dire, - rispose don Rodrigo, arrivandogli accanto: - pagherò la scommessa; ma non è questo quel che più mi scotta. Non v'avevo detto nulla, perché, lo confesso, pensavo di farvi rimanere stamattina. Ma... basta, ora vi racconterò tutto.

- Ci ha messo uno zampino quel frate in quest'affare, - disse il cugino, dopo aver sentito tutto, con più serietà che non si sarebbe aspettato da un cervello così balzano. - Quel frate, - continuò, - con quel suo fare di gatta morta, e con quelle sue proposizioni sciocche, io l'ho per un dirittone, e per un impiccione. E voi non vi siete fidato di me, non m'avete mai detto chiaro cosa sia venuto qui a impastocchiarvi l'altro giorno -. Don Rodrigo riferì il dialogo. - E voi avete avuto tanta sofferenza? - esclamò il conte Attilio: - e l'avete lasciato andare com'era venuto?

- Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini d'Italia?

- Non so, - disse il conte Attilio, - se, in quel momento, mi sarei ricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini che quel temerario birbante; ma via, anche nelle regole della prudenza, manca la maniera di prendersi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si può impunemente dare un carico di bastonate a un membro. Basta; ha scansato la punizione che gli stava più bene; ma lo prendo io sotto la mia protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si parla co' pari nostri.

- Non mi fate peggio.

- Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da amico.

- Cosa pensate di fare?

- Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate. Ci penserò, e... il signor conte zio del Consiglio segreto è lui che mi deve fare il servizio. Caro signor conte zio! Quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Doman l'altro sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito.

Venne intanto la colazione, la quale non interruppe il discorso d'un affare di quell'importanza. Il conte Attilio ne parlava con disinvoltura; e, sebbene ci prendesse quella parte che richiedeva la sua amicizia per il cugino, e l'onore del nome comune, secondo le idee che aveva d'amicizia e d'onore, pure ogni tanto non poteva tenersi di non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita. Ma don Rodrigo, ch'era in causa propria, e che, credendo di far quietamente un gran colpo, gli era andato fallito con fracasso, era agitato da passioni più gravi, e distratto da pensieri più fastidiosi. - Di belle ciarle, - diceva, - faranno questi mascalzoni, in tutto il contorno. Ma che m'importa? In quanto alla giustizia, me ne rido: prove non ce n'è; quando ce ne fosse, me ne riderei ugualmente: a buon conto, ho fatto stamattina avvertire il console che guardi bene di non far deposizione dell'avvenuto. Non ne seguirebbe nulla; ma le ciarle, quando vanno in lungo, mi seccano. È anche troppo ch'io sia stato burlato così barbaramente.

- Avete fatto benissimo, - rispondeva il conte Attilio. - Codesto vostro podestà... gran caparbio, gran testa vota, gran seccatore d'un podestà... è poi un galantuomo, un uomo che sa il suo dovere; e appunto quando s'ha che fare con persone tali, bisogna aver più riguardo di non metterle in impicci. Se un mascalzone di console fa una deposizione, il podestà, per quanto sia ben intenzionato, bisogna pure che...

- Ma voi, - interruppe, con un po' di stizza, don Rodrigo, - voi guastate le mie faccende, con quel vostro contraddirgli in tutto, e dargli sulla voce, e canzonarlo anche, all'occorrenza. Che diavolo, che un podestà non possa esser bestia e ostinato, quando nel rimanente è un galantuomo!

- Sapete, cugino, - disse guardandolo, maravigliato, il conte Attilio, - sapete, che comincio a credere che abbiate un po' di paura? Mi prendete sul serio anche il podestà...

- Via via, non avete detto voi stesso che bisogna tenerlo di conto?

- L'ho detto: e quando si tratta d'un affare serio, vi farò vedere che non sono un ragazzo. Sapete cosa mi basta l'animo di far per voi? Son uomo da andare in persona a far visita al signor podestà. Ah! sarà contento dell'onore? E son uomo da lasciarlo parlare per mezz'ora del conte duca, e del nostro signor castellano spagnolo, e da dargli ragione in tutto, anche quando ne dirà di quelle così massicce. Butterò poi là qualche parolina sul conte zio del Consiglio segreto: e sapete che efletto fanno quelle paroline nell'orecchio del signor podestà. Alla fin de' conti, ha più bisogno lui della nostra protezione, che voi della sua condiscendenza. Farò di buono, e ci anderò, e ve lo lascerò meglio disposto che mai.

Dopo queste e altre simili parole, il conte Attilio uscì, per andare a caccia; e don Rodrigo stette aspettando con ansietà il ritorno del Griso. Venne costui finalmente, sull'ora del desinare, a far la sua relazione.

Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamoroso, la sparizione di tre persone da un paesello era un tal avvenimento, che le ricerche, e per premura e per curiosità, dovevano naturalmente esser molte e calde e insistenti; e dall'altra parte, gl'informati di qualche cosa eran troppi, per andar tutti d'accordo a tacer tutto. Perpetua non poteva farsi veder sull'uscio, che non fosse tempestata da quello e da quell'altro, perché dicesse chi era stato a far quella gran paura al suo padrone: e Perpetua, ripensando a tutte le circostanze del fatto, e raccapezzandosi finalmente ch'era stata infinocchiata da Agnese, sentiva tanta rabbia di quella perfidia, che aveva proprio bisogno d'un po' di sfogo. Non già che andasse lamentandosi col terzo e col quarto della maniera tenuta per infinocchiar lei: su questo non fiatava; ma il tiro fatto al suo povero padrone non lo poteva passare affatto sotto silenzio; e sopra tutto, che un tiro tale fosse stato concertato e tentato da quel giovine dabbene, da quella buona vedova, da quella madonnina infilzata. Don Abbondio poteva ben comandarle risolutamente, e pregarla cordialmente che stesse zitta; lei poteva bene ripetergli che non faceva bisogno di suggerirle una cosa tanto chiara e tanto naturale; certo è che un così gran segreto stava nel cuore della povera donna, come, in una botte vecchia e mal cerchiata, un vino molto giovine, che grilla e gorgoglia e ribolle, e, se non manda il tappo per aria, gli geme all'intorno, e vien fuori in ischiuma, e trapela tra doga e doga, e gocciola di qua e di là, tanto che uno può assaggiarlo, e dire a un di presso che vino è. Gervaso, a cui non pareva vero d'essere una volta più informato degli altri, a cui non pareva piccola gloria l'avere avuta una gran paura, a cui, per aver tenuto dl mano a una cosa che puzzava di criminale, pareva d'esser diventato un uomo come gli altri, crepava di voglia di vantarsene. E quantunque Tonio, che pensava seriamente all'inquisizioni e ai processi possibili e al conto da rendere, gli comandasse, co' pugni sul viso, di non dir nulla a nessuno, pure non ci fu verso di soffogargli in bocca ogni parola. Del resto Tonio, anche lui, dopo essere stato quella notte fuor di casa in ora insolita, tornandovi, con un passo e con un sembiante insolito, e con un'agitazion d'animo che lo disponeva alla sincerità, non poté dissimulare il fatto a sua moglie; la quale non era muta. Chi parlò meno, fu Menico; perché, appena ebbe raccontata ai genitori la storia e il motivo della sua spedizione, parve a questi una cosa così terribile che un loro figliuolo avesse avuto parte a buttare all'aria un'impresa di don Rodrigo, che quasi quasi non lasciaron finire al ragazzo il suo racconto. Gli fecero poi subito i più forti e minacciosi comandi che guardasse bene di non far neppure un cenno di nulla: e la mattina seguente, non parendo loro d'essersi abbastanza assicurati, risolvettero di tenerlo chiuso in casa, per quel giorno, e per qualche altro ancora. Ma che? essi medesimi poi, chiacchierando con la gente del paese, e senza voler mostrar di saperne più di loro, quando si veniva a quel punto oscuro della fuga de' nostri tre poveretti, e del come, e del perché, e del dove, aggiungevano, come cosa conosciuta, che s'eran rifugiati a Pescarenico. Così anche questa circostanza entrò ne' discorsi comuni.

Con tutti questi brani di notizie, messi poi insieme e cuciti come s'usa, e con la frangia che ci s'attacca naturalmente nel cucire, c'era da fare una storia d'una certezza e d'una chiarezza tale, da esserne pago ogni intelletto più critico. Ma quella invasion de' bravi, accidente troppo grave e troppo rumoroso per esser lasciato fuori, e del quale nessuno aveva una conoscenza un po' positiva, quell'accidente era ciò che imbrogliava tutta la storia. Si mormorava il nome di don Rodrigo: in questo andavan tutti d'accordo; nel resto tutto era oscurità e congetture diverse. Si parlava molto de' due bravacci ch'erano stati veduti nella strada, sul far della sera, e dell'altro che stava sull'uscio dell'osteria; ma che lume si poteva ricavare da questo fatto così asciutto? Si domandava bene all'oste chi era stato da lui la sera avanti; ma l'oste, a dargli retta, non sl rammentava neppure se avesse veduto gente quella sera; e badava a dire che l'osteria è un porto di mare. Sopra tutto, confondeva le teste, e disordinava le congetture quel pellegrino veduto da Stefano e da Carlandrea, quel pellegrino che i malandrini volevano ammazzare, e che se n'era andato con loro, o che essi avevan portato via. Cos'era venuto a fare? Era un'anima del purgatorio, comparsa per aiutar le donne; era un'anima dannata d'un pellegrino birbante e impostore, che veniva sempre di notte a unirsi con chi facesse di quelle che lui aveva fatte vivendo; era un pellegrino vivo e vero, che coloro avevan voluto ammazzare, per timor che gridasse, e destasse il paese; era (vedete un po' cosa si va a pensare!) uno di quegli stessi malandrini travestito da pellegrino; era questo, era quello, era tante cose che tutta la sagacità e l'esperienza del Griso non sarebbe bastata a scoprire chi fosse, se il Griso avesse dovuto rilevar questa parte della storia da' discorsi altrui. Ma, come il lettore sa, ciò che la rendeva imbrogliata agli altri, era appunto il più chiaro per lui: servendosene di chiave per interpretare le altre notizie raccolte da lui immediatamente, o col mezzo degli esploratori subordinati, poté di tutto comporne per don Rodrigo una relazione bastantemente distinta. Si chiuse subito con lui, e l'informò del colpo tentato dai poveri sposi, il che spiegava naturalmente la casa trovata vota e il sonare a martello, senza che facesse bisogno di supporre che in casa ci fosse qualche traditore, come dicevano que' due galantuomini. L'informò della fuga; e anche a questa era facile trovarci le sue ragioni: il timore degli sposi colti in fallo, o qualche avviso dell'invasione, dato loro quand'era scoperta, e il paese tutto a soqquadro. Disse finalmente che s'eran ricoverati a Pescarenico; più in là non andava la sua scienza. Piacque a don Rodrigo l'esser certo che nessuno l'aveva tradito, e il vedere che non rimanevano tracce del suo fatto; ma fu quella una rapida e leggiera compiacenza. - Fuggiti insieme! - gridò: - insieme! E quel frate birbante! Quel frate! - la parola gli usciva arrantolata dalla gola, e smozzicata tra' denti, che mordevano il dito: il suo aspetto era brutto come le sue passioni. - Quel frate me la pagherà. Griso! non son chi sono... voglio sapere, voglio trovare... questa sera, voglio saper dove sono. Non ho pace. A Pescarenico, subito, a sapere, a vedere, a trovare... Quattro scudi subito, e la mia protezione per sempre. Questa sera lo voglio sapere. E quel birbone...! quel frate...!

Il Griso di nuovo in campo; e, la sera di quel giorno medesimo, poté riportare al suo degno padrone la notizia desiderata: ed ecco in qual maniera.

Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più d'uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine. Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d'un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione. Così, d'amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell'immensa catena, tanto che arriva all'orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino, se ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice, e quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri divengon sì rapidi e sì moltiplici, che non è più possibile di seguirne la traccia. Il nostro autore non ha potuto accertarsi per quante bocche fosse passato il segreto che il Griso aveva ordine di scovare: il fatto sta che il buon uomo da cui erano state scortate le donne a Monza, tornando, verso le ventitre, col suo baroccio, a Pescarenico, s'abbatté, prima d'arrivare a casa, in un amico fidato, al quale raccontò, in gran confidenza, l'opera buona che aveva fatta, e il rimanente; e il fatto sta che il Griso poté, due ore dopo, correre al palazzotto, a riferire a don Rodrigo che Lucia e sua madre s'eran ricoverate in un convento di Monza, e che Renzo aveva seguitata la sua strada fino a Milano.

Don Rodrigo provò una scellerata allegrezza di quella separazione, e sentì rinascere un po' di quella scellerata speranza d'arrivare al suo intento. Pensò alla maniera, gran parte della notte; e s'alzò presto, con due disegni, l'uno stabilito, l'altro abbozzato. Il primo era di spedire immantinente il Griso a Monza, per aver più chiare notizie di Lucia, e sapere se ci fosse da tentar qualche cosa. Fece dunque chiamar subito quel suo fedele, gli mise in mano i quattro scudi, lo lodò di nuovo dell'abilità con cui gli aveva guadagnati, e gli diede l'ordine che aveva premeditato.

- Signore... - disse, tentennando, il Griso.

- Che? non ho io parlato chiaro?

- Se potesse mandar qualchedun altro...

- Come?

- Signore illustrissimo, io son pronto a metterci la pelle per il mio padrone: è il mio dovere; ma so anche che lei non vuole arrischiar troppo la vita de' suoi sudditi.

- Ebbene?

- Vossignoria illustrissima sa bene quelle poche taglie ch'io ho addosso: e... Qui son sotto la sua protezione; siamo una brigata; il signor podestà è amico di casa; i birri mi portan rispetto; e anch'io... è cosa che fa poco onore, ma per viver quieto... li tratto da amici. In Milano la livrea di vossignoria è conosciuta; ma in Monza... ci sono conosciuto io in vece. E sa vossignoria che, non fo per dire, chi mi potesse consegnare alla giustizia, o presentar la mia testa, farebbe un bel colpo? Cento scudi l'uno sull'altro, e la facoltà di liberar due banditi.

- Che diavolo! - disse don Rodrigo: - tu mi riesci ora un can da pagliaio che ha cuore appena d'avventarsi alle gambe di chi passa sulla porta, guardandosi indietro se quei di casa lo spalleggiano, e non si sente d'allontanarsi!

- Credo, signor padrone, d'aver date prove...

- Dunque!

- Dunque, - ripigliò francamente il Griso, messo così al punto, - dunque vossignoria faccia conto ch'io non abbia parlato: cuor di leone, gamba di lepre, e son pronto a partire.

- E io non ho detto che tu vada solo. Piglia con te un paio de' meglio... lo Sfregiato, e il Tiradritto; e va di buon animo, e sii il Griso. Che diavolo! Tre figure come le vostre, e che vanno per i fatti loro, chi vuoi che non sia contento di lasciarle passare? Bisognerebbe che a' birri di Monza fosse ben venuta a noia la vita, per metterla su contro cento scudi a un gioco così rischioso. E poi, e poi, non credo d'esser così sconosciuto da quelle parti, che la qualità di mio servitore non ci si conti per nulla.

Svergognato così un poco il Griso, gli diede poi più ampie e particolari istruzioni. Il Griso prese i due compagni, e partì con faccia allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in cuor suo Monza e le taglie e le donne e i capricci de' padroni; e camminava come il lupo, che spinto dalla fame, col ventre raggrinzato, e con le costole che gli si potrebber contare, scende da' suoi monti, dove non c'è che neve, s'avanza sospettosamente nel piano, si ferma ogni tanto, con una zampa sospesa, dimenando la coda spelacchiata,

Leva il muso, adorando il vento infido,

se mai gli porti odore d'uomo o di ferro, rizza gli orecchi acuti, e gira due occhi sanguigni, da cui traluce insieme l'ardore della preda e il terrore della caccia. Del rimanente, quel bel verso, chi volesse saper donde venga, è tratto da una diavoleria inedita di crociate e di lombardi, che presto non sarà più inedita, e farà un bel rumore; e io l'ho preso, perché mi veniva in taglio; e dico dove, per non farmi bello della roba altrui: che qualcheduno non pensasse che sia una mia astuzia per far sapere che l'autore di quella diavoleria ed io siamo come fratelli, e ch'io frugo a piacer mio ne' suoi manoscritti.

L'altra cosa che premeva a don Rodrigo, era di trovar la maniera che Renzo non potesse più tornar con Lucia, né metter piede in paese; e a questo fine, macchinava di fare sparger voci di minacce e d'insidie, che, venendogli all'orecchio, per mezzo di qualche amico, gli facessero passar la voglia di tornar da quelle parti. Pensava però che la più sicura sarebbe se si potesse farlo sfrattar dallo stato: e per riuscire in questo, vedeva che più della forza gli avrebbe potuto servir la giustizia. Si poteva, per esempio, dare un po' di colore al tentativo fatto nella casa parrocchiale, dipingerlo come un'aggressione, un atto sedizioso, e, per mezzo del dottore, fare intendere al podestà ch'era il caso di spedir contro Renzo una buona cattura. Ma pensò che non conveniva a lui di rimestar quella brutta faccenda; e senza star altro a lambiccarsi il cervello, si risolvette d'aprirsi col dottor Azzecca-garbugli, quanto era necessario per fargli comprendere il suo desiderio. "Le gride son tante!" pensava: "e il dottore non è un'oca: qualcosa che faccia al caso mio saprà trovare, qualche garbuglio da azzeccare a quel villanaccio: altrimenti gli muto nome". Ma (come vanno alle volte le cose di questo mondo!) intanto che colui pensava al dottore, come all'uomo più abile a servirlo in questo, un altr'uomo, l'uomo che nessuno s'immaginerebbe, Renzo medesimo, per dirla, lavorava di cuore a servirlo, in un modo più certo e più spedito di tutti quelli che il dottore avrebbe mai saputi trovare.

Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire il vero, più del bisogno, ma che, a tutti i segnali, mostra di voler riuscire un galantuomo; l'ho visto, dico, più volte affaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d'India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile; ma era fatica buttata: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due, tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte. Dimodoché, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio, spingeva prima dentro quelli ch'eran più vicini all'uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come gli riusciva. Un gioco simile ci convien fare co' nostri personaggi: ricoverata Lucia, siam corsi a don Rodrigo; e ora lo dobbiamo abbandonare, per andar dietro a Renzo, che avevam perduto di vista.

Dopo la separazione dolorosa che abbiam raccontata, camminava Renzo da Monza verso Milano, in quello stato d'animo che ognuno può immaginarsi facilmente. Abbandonar la casa, tralasciare il - mestiere, e quel ch'era più di tutto, allontanarsi da Lucia, trovarsi sur una strada, senza saper dove anderebbe a posarsi; e tutto per causa di quel birbone! Quando si tratteneva col pensiero sull'una o sull'altra di queste cose, s'ingolfava tutto nella rabbia, e nel desiderio della vendetta; ma gli tornava poi in mente quella preghiera che aveva recitata anche lui col suo buon frate, nella chiesa di Pescarenico; e si ravvedeva: gli si risvegliava ancora la stizza; ma vedendo un'immagine sul muro, si levava il cappello, e si fermava un momento a pregar di nuovo: tanto che, in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e risuscitatolo, almeno venti volte. La strada era allora tutta sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profonde, che, dopo una pioggia, divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse, s'allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca. A que' passi, un piccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indicava che altri passeggieri s'eran fatta una strada ne' campi. Renzo, salito per un di que' valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell'ottava maraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino. Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro, vide all'orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle il suo Resegone, si sentì tutto rimescolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tristamente da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua strada. A poco a poco cominciò poi a scoprir campanili e torri e cupole e tetti; scese allora nella strada, camminò ancora qualche tempo, e quando s'accorse d'esser ben vicino alla città, s'accostò a un viandante, e, inchinatolo, con tutto quel garbo che seppe, gli disse: - di grazia, quel signore. - Che volete, bravo giovine?

- Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al convento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura?

L'uomo a cui Renzo s'indirizzava, era un agiato abitante del contorno, che, andato quella mattina a Milano, per certi suoi affari, se ne tornava, senza aver fatto nulla, in gran fretta, ché non vedeva l'ora di trovarsi a casa, e avrebbe fatto volentieri di meno di quella fermata. Con tutto ciò, senza dar segno d'impazienza, rispose molto gentilmente: - figliuol caro, de' conventi ce n'è più d'uno: bisognerebbe che mi sapeste dir più chiaro quale è quello che voi cercate -. Renzo allora si levò di seno la lettera del padre Cristoforo, e la fece vedere a quel signore, il quale, lettovi: porta orientale, gliela rendette dicendo: - siete fortunato, bravo giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete per questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il convento: non potete sbagliare. Dio v'assista, bravo giovine -. E, accompagnando l'ultime parole con un gesto grazioso della mano, se n'andò. Renzo rimase stupefatto e edificato della buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e non sapeva ch'era un giorno fuor dell'ordinario, un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti. Fece la strada che gli era stata insegnata, e si trovò a porta orientale. Non bisogna però che, a questo nome, il lettore si lasci correre alla fantasia l'immagini che ora vi sono associate. Quando Renzo entrò per quella porta, la strada al di fuori non andava diritta che per tutta la lunghezza del lazzeretto; poi scorreva serpeggiante e stretta, tra due siepi. La porta consisteva in due pilastri, con sopra una tettoia, per riparare i battenti, e da una parte, una casuccia per i gabellini. I bastioni scendevano in pendìo irregolare, e il terreno era una superficie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttati là a caso. La strada che s'apriva dinanzi a chi entrava per quella porta, non si paragonerebbe male a quella che ora si presenta a chi entri da porta Tosa. Un fossatello le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione. Al punto dov'era, e dov'è tuttora quella viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in una fogna. Lì c'era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi: a destra e a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce, abitate per lo più da lavandai. Renzo entra, passa; nessuno de' gabellini gli bada: cosa che gli parve strana, giacché, da que' pochi del suo paese che potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentito raccontar cose grosse de' frugamenti e dell'interrogazioni a cui venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla campagna. La strada era deserta, dimodoché, se non avesse sentito un ronzìo lontano che indicava un gran movimento, gli sarebbe parso d'entrare in una città disabitata. Andando avanti, senza saper cosa si pensare, vide per terra certe strisce bianche e soffici, come di neve; ma neve non poteva essere; che non viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione. Si chinò sur una di quelle, guardò, toccò, e trovò ch'era farina. "Grand'abbondanza", disse tra sé, "ci dev'essere in Milano, se straziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto. Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente di campagna". Ma, dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedestallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarli pani. Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello. "Vediamo un po' che affare è questo", disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente un pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. - È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - così lo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo? - Dopo dieci miglia di strada, all'aria fresca della mattina, quel pane, insieme con la maraviglia, gli risvegliò l'appetito. "Lo piglio?" deliberava tra sé: "poh! l'hanno lasciato qui alla discrezion de' cani; tant'è che ne goda anche un cristiano. Alla fine, se comparisce il padrone, glielo pagherò". Così pensando, si mise in una tasca quello che aveva in mano, ne prese un secondo, e lo mise nell'altra; un terzo, e cominciò a mangiare; e si rincamminò, più incerto che mai, e desideroso di chiarirsi che storia fosse quella. Appena mosso, vide spuntar gente che veniva dall'interno della città, e guardò attentamente quelli che apparivano i primi. Erano un uomo, una donna e, qualche passo indietro, un ragazzotto; tutt'e tre con un carico addosso, che pareva superiore alle loro forze, e tutt'e tre in una figura strana. I vestiti o gli stracci infarinati; infarinati i visi, e di più stravolti e accesi; e andavano, non solo curvi, per il peso, ma sopra doglia, come se gli fossero state peste l'ossa. L'uomo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di farina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a ogni intoppo, a ogni mossa disequilibrata. Ma più sconcia era la figura della donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: come una pentolaccia a due manichi; e di sotto a quel pancione uscivan due gambe, nude fin sopra il ginocchio, che venivano innanzi barcollando. Renzo guardò più attentamente, e vide che quel gran corpo era la sottana che la donna teneva per il lembo, con dentro farina quanta ce ne poteva stare, e un po' di più; dimodoché, quasi a ogni passo, ne volava via una ventata. Il ragazzotto teneva con tutt'e due le mani sul capo una paniera colma di pani; ma, per aver le gambe più corte de' suoi genitori, rimaneva a poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera perdeva l'equilibrio, e qualche pane cadeva.

- Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei, - disse la madre, digrignando i denti verso il ragazzo.

- Io non li butto via; cascan da sé: com'ho a fare? - rispose quello.

- Ih! buon per te, che ho le mani impicciate, - riprese la donna, dimenando i pugni, come se desse una buona scossa al povero ragazzo; e, con quel movimento, fece volar via più farina, di quel che ci sarebbe voluto per farne i due pani lasciati cadere allora dal ragazzo. - Via, via, - disse l'uomo: - torneremo indietro a raccoglierli, o qualcheduno li raccoglierà. Si stenta da tanto tempo: ora che viene un po' d'abbondanza, godiamola in santa pace.

In tanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questi, accostatosi alla donna, le domandò: - dove si va a prendere il pane?

- Più avanti, - rispose quella; e quando furon lontani dieci passi, soggiunse borbottando: - questi contadini birboni verranno a spazzar tutti i forni e tutti i magazzini, e non resterà più niente per noi.

- Un po' per uno, tormento che sei, - disse il marito: - abbondanza, abbondanza.

Da queste e da altrettali cose che vedeva e sentiva, Renzo cominciò a raccapezzarsi ch'era arrivato in una città sollevata, e che quello era un giorno di conquista, vale a dire che ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza, dando busse in pagamento. Per quanto noi desideriamo di far fare buona figura al nostro povero montanaro, la sincerità storica ci obbliga a dire che il suo primo sentimento fu di piacere. Aveva così poco da lodarsi dell'andamento ordinario delle cose, che si trovava inclinato ad approvare ciò che lo mutasse in qualunque maniera. E del resto, non essendo punto un uomo superiore al suo secolo, viveva anche lui in quell'opinione o in quella passione comune, che la scarsezza del pane fosse cagionata dagl'incettatori e da' fornai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle mani l'alimento che essi, secondo quell'opinione, negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo. Pure, si propose di star fuori del tumulto, e si rallegrò d'esser diretto a un cappuccino, che gli troverebbe ricovero, e gli farebbe da padre. Così pensando, e guardando intanto i nuovi conquistatori che venivano carichi di preda, fece quella po' di strada che gli rimaneva per arrivare al convento.

Dove ora sorge quel bel palazzo, con quell'alto loggiato, c'era allora, e c'era ancora non son molt'anni, una piazzetta, e in fondo a quella la chiesa e il convento de' cappuccini, con quattro grand'olmi davanti. Noi ci rallegriamo, non senza invidia, con que' nostri lettori che non han visto le cose in quello stato: ciò vuol dire che son molto giovani, e non hanno avuto tempo di far molte corbellerie. Renzo andò diritto alla porta, si ripose in seno il mezzo pane che gli rimaneva, levò fuori e tenne preparata in mano la lettera, e tirò il campanello. S'aprì uno sportellino che aveva una grata, e vi comparve la faccia del frate portinaio a domandar chi era.

- Uno di campagna, che porta al padre Bonaventura una lettera pressante del padre Cristoforo.

- Date qui, - disse il portinaio, mettendo una mano alla grata.

- No, no, - disse Renzo: - gliela devo consegnare in proprie mani.

- Non è in convento.

- Mi lasci entrare, che l'aspetterò.

- Fate a mio modo, - rispose il frate: - andate a aspettare in chiesa, che intanto potrete fare un po' di bene. In convento, per adesso, non s'entra -. E detto questo, richiuse lo sportello. Renzo rimase lì, con la sua lettera in mano. Fece dieci passi verso la porta della chiesa, per seguire il consiglio del portinaio; ma poi pensò di dar prima un'altra occhiata al tumulto. Attraversò la piazzetta, si portò sull'orlo della strada, e si fermò, con le braccia incrociate sul petto, a guardare a sinistra, verso l'interno della città, dove il brulichìo era più folto e più rumoroso. Il vortice attrasse lo spettatore. "Andiamo a vedere", disse tra sé; tirò fuori il suo mezzo pane, e sbocconcellando, si mosse verso quella parte. Intanto che s'incammina, noi racconteremo, più brevemente che sia possibile, le cagioni e il principio di quello sconvolgimento.
Capitolo XII

Era quello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per carità. Ho detto: più dell'ordinario; perché le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e con un'insensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle truppe alloggiate ne' paesi, condotta che i dolorosi documenti di que' tempi uguagliano a quella d'un nemico invasore, altre cagioni che non è qui il luogo di mentovare, andavano già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d'un mal cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni per l'esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vòto, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.

Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un'opinione ne' molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza. Gl'incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome d'averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l'abbominio della moltitudine male e ben vestita. Si diceva di sicuro dov'erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s'indicava il numero de' sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell'immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne' quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano. S'imploravan da' magistrati que' provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l'abbondanza. I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d'alcune derrate, d'intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d'attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de' rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de' più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l'uomo secondo il suo cuore.

Nell'assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l'assedio di Casale del Monferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui vide, e chi non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta (così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto trentatre lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo.

Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d'una volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma all'esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo finalmente convertito in legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per celia. Accorse subito ai forni, a chieder pane al prezzo tassato; e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia, che dànno la passione, la forza e la legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non lo domandate. Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa; perché il popolo, sentendo in confuso che l'era una cosa violenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse essere. Ma, da una parte i magistrati che intimavan pene, dall'altra il popolo che voleva esser servito, e, punto punto che qualche fornaio indugiasse, pressava e brontolava, con quel suo vocione, e minacciava una di quelle sue giustizie, che sono delle peggio che si facciano in questo mondo; non c'era redenzione, bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere. Però, a farli continuare in quell'impresa, non bastava che fosse lor comandato, né che avessero molta paura; bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non avrebbero più potuto. Facevan vedere ai magistrati l'iniquità e l'insopportabilità del carico imposto loro, protestavano di voler gettar la pala nel forno, e andarsene; e intanto tiravano avanti come potevano, sperando, sperando che, una volta o l'altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ragione. Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un uomo di carattere, rispondeva che i fornai s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato, che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza; che anche si vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti. O fosse veramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o che, anche conoscendo dagli effetti l'impossibilità di mantener quel suo editto, volesse lasciare agli altri l'odiosità di rivocarlo; giacché, chi può ora entrar nel cervello d'Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva stabilito. Finalmente i decurioni (un magistrato municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo scorso) informaron per lettera il governatore, dello stato in cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che le facesse andare.

Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra, fece ciò che il lettore s'immagina certamente: nominò una giunta, alla quale conferì l'autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l'altra. I deputati si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che non c'era da far altro, conclusero di rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì.

La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca. Migliaia d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe. Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applaudivano; questo faceva al più vicino la stessa domanda ch'era allora stata fatta a lui; quest'altro ripeteva l'esclamazione che s'era sentita risonare agli orecchi; per tutto lamenti, minacce, maraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.

Non mancava altro che un'occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò molto. Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso in una polveriera. - Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci insieme. - Sì, per i tiranni, che notano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di fame, - dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta, e dice: - lascia vedere -. Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne. - Giù quella gerla, - si grida intanto. Molte mani l'afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde all'intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, - dice il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe. Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi. - Al forno! al forno! - si grida.

Nella strada chiamata la Corsia de' Servi, c'era, e c'è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono (El prestin di scansc.). A quella parte s'avventò la gente. Quelli della bottega stavano interrogando il garzone tornato scarico, il quale, tutto sbigottito e abbaruffato, riferiva balbettando la sua trista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo insieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della masnada.

Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bottega, e appuntellano i battenti. La gente comincia a affollarsi di fuori, e a gridare: - pane! pane! aprite! aprite!

Pochi momenti dopo, arriva il capitano di giustizia, con una scorta d'alabardieri. - Largo, largo, figliuoli: a casa, a casa; fate luogo al capitano di giustizia, - grida lui e gli alabardieri. La gente, che non era ancor troppo fitta, fa un po' di luogo; dimodoche quelli poterono arrivare, e postarsi, insieme, se non in ordine, davanti alla porta della bottega.

- Ma figliuoli, - predicava di lì il capitano, - che fate qui? A casa, a casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il re nostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate a casa. Da bravi! Che diamine volete far qui, così ammontati? Niente di bene, ne per l'anima, né per il corpo. A casa, a casa.

Ma quelli che vedevan la faccia del dicitore, e sentivan le sue parole, quand'anche avessero voluto ubbidire, dite un poco in che maniera avrebber potuto, spinti com'erano, e incalzati da quelli di dietro, spinti anch'essi da altri, come flutti da flutti, via via fino al l'estremità della folla, che andava sempre crescendo. Al capitano, cominciava a mancargli il respiro. - Fateli dare addietro ch'io possa riprender fiato, - diceva agli alabardieri: - ma non fate male a nessuno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro.

- Indietro! indietro! - gridano gli alabardieri, buttandosi tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli con l'aste dell'alabarde. Quelli urlano, si tirano indietro, come possono; dànno con le schiene ne' petti, co' gomiti nelle pance, co' calcagni sulle punte de' piedi a quelli che son dietro a loro: si fa un pigìo, una calca, che quelli che si trovavano in mezzo, avrebbero pagato qualcosa a essere altrove. Intanto un po' di vòto s'è fatto davanti alla porta: il capitano picchia, ripicchia, urla che gli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestre, scendon di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli alabardieri, che si ficcan dentro anch'essi l'un dopo l'altro, gli ultimi rattenendo la folla con l'alabarde. Quando sono entrati tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella; il capitano sale di corsa, e s'affaccia a una finestra. Uh, che formicolaio!

- Figliuoli, - grida: molti si voltano in su; - figliuoli, andate a casa. Perdono generale a chi torna subito a casa.

- Pane! pane! aprite! aprite! - eran le parole più distinte nell'urlìo orrendo, che la folla mandava in risposta.

- Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo. Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera. Eh!... eh! che fate laggiu! Eh! a quella porta! Oibò oibò! Vedo, vedo: giudizio! badate bene! è un delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh! smettete con que' ferri; giu quelle mani. Vergogna! Voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati in tutto il mondo! Sentite, sentite: siete sempre stati buoni fi... Ah canaglia!

Questa rapida mutazione di stile fu cagionata da una pietra che, uscita dalle mani d'uno di que' buoni figliuoli, venne a batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica. - Canaglia! canaglia! - continuava a gridare, chiudendo presto presto la finestra, e ritirandosi. Ma quantunque avesse gridato quanto n'aveva in canna, le sue parole, buone e cattive, s'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'aria, nella tempesta delle grida che venivan di giù. Quello poi che diceva di vedere, era un gran lavorare di pietre, di ferri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi per la strada), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle finestre, per svellere l'inferriate: e già l'opera era molto avanzata.

Intanto, padroni e garzoni della bottega, ch'erano alle finestre de' piani di sopra, con una munizione di pietre (avranno probabilmente disselciato un cortile), urlavano e facevan versacci a quelli di giù, perché smettessero; facevan vedere le pietre, accennavano di volerle buttare. Visto ch'era tempo perso, cominciarono a buttarle davvero. Neppur una ne cadeva in fallo; giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra.

- Ah birboni! ah furfantoni! È questo il pane, che date alla povera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora! - s'urlava di giù. Più d'uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti. Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l'inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi. Quelli di dentro, vedendo la mala parata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati ne' cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su pe' tetti, come i gatti.

La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il pane è messo a ruba. Qualcheduno in vece corre al banco, butta giù la serratura, agguanta le ciotole, piglia a manate, intasca, ed esce carico di quattrini, per tornar poi a rubar pane, se ne rimarrà. La folla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai sacchi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un carico da potersi portare, butta via una parte della farina: chi, gridando: - aspetta, aspetta, - si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il cappello, per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una madia, e prende un pezzo di pasta, che s'allunga, e gli scappa da ogni parte; un altro, che ha conquistato un burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene: uomini, donne, fanciulli, spinte, rispinte, urli, e un bianco polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto vela e annebbia. Di fuori, una calca composta di due processioni opposte, che si rompono e s'intralciano a vicenda, di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare a farne.

Mentre quel forno veniva così messo sottosopra, nessun altro della città era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno la gente accorse in numero tale da potere intraprender tutto; in alcuni, i padroni avevan raccolto degli ausiliari, e stavan sulle difese; altrove, trovandosi in pochi, venivano in certo modo a patti: distribuivan pane a quelli che s'eran cominciati a affollare davanti alle botteghe, con questo che se n'andassero. E quelli se n'andavano, non tanto perché fosser soddisfatti, quanto perché gli alabardieri e la sbirraglia, stando alla larga da quel tremendo forno delle grucce, si facevan però vedere altrove, in forza bastante a tenere in rispetto i tristi che non fossero una folla. Così il trambusto andava sempre crescendo a quel primo disgraziato forno; perché tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far qualche bell'impresa, correvan là, dove gli amici erano i più forti, e l'impunità sicura.

A questo punto eran le cose, quando Renzo, avendo ormai sgranocchiato il suo pane, veniva avanti per il borgo di porta orientale, e s'avviava, senza saperlo, proprio al luogo centrale del tumulto. Andava, ora lesto, ora ritardato dalla folla; e andando, guardava e stava in orecchi, per ricavar da quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia più positiva dello stato delle cose. Ed ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.

- Ora è scoperta, - gridava uno, - l'impostura infame di que' birboni, che dicevano che non c'era né pane, né farina, né grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere. Viva l'abbondanza!

- Vi dico io che tutto questo non serve a nulla, - diceva un altro: - è un buco nell'acqua; anzi sarà peggio, se non si fa una buona giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far morir la povera gente, come mosche. Già lo dicono che siam troppi; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certo, per averlo sentito dir io, con quest'orecchi, da una mia comare, che è amica d'un parente d'uno sguattero d'uno di que' signori.

Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su' capelli arruffati e insanguinati. E qualche vicino, come per consolarlo, gli faceva eco.

- Largo, largo, signori, in cortesia; lascin passare un povero padre di famiglia, che porta da mangiare a cinque figliuoli -. Così diceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; e ognuno s'ingegnava di ritirarsi, per fargli largo.

- Io? - diceva un altro, quasi sottovoce, a un suo compagno: - io me la batto. Son uomo di mondo, e so come vanno queste cose. Questi merlotti che fanno ora tanto fracasso, domani o doman l'altro, se ne staranno in casa, tutti pieni di paura. Ho già visto certi visi, certi galantuomini che giran, facendo l'indiano, e notano chi c'è e chi non c'è: quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca.

- Quello che protegge i fornai, - gridava una voce sonora, che attirò l'attenzione di Renzo, - è il vicario di provvisione.

- Son tutti birboni, - diceva un vicino.

- Sì; ma il capo è lui, - replicava il primo.

Il vicario di provvisione, eletto ogn'anno dal governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio de' decurioni, era il presidente di questo, e del tribunale di provvisione; il quale, composto di dodici, anche questi nobili, aveva, con altre attribuzioni, quella principalmente dell'annona. Chi occupava un tal posto doveva necessariamente, in tempi di fame e d'ignoranza, esser detto l'autore de' mali: meno che non avesse fatto ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle sue facoltà, se anche fosse stata nelle sue idee.

- Scellerati! - esclamava un altro: - si può far di peggio? sono arrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchio rimbambito, per levargli il credito, e comandar loro soli. Bisognerebbe fare una gran stia, e metterli dentro, a viver di vecce e di loglio, come volevano trattar noi.

- Pane eh? - diceva uno che cercava d'andar in fretta: - sassate di libbra: pietre di questa fatta, che venivan giù come la grandine. E che schiacciata di costole! Non vedo l'ora d'essere a casa mia.

Tra questi discorsi, dai quali non saprei dire se fosse più informato o sbalordito, e tra gli urtoni, arrivò Renzo finalmente davanti a quel forno. La gente era già molto diradata, dimodoché poté contemplare il brutto e recente soqquadro. Le mura scalcinate e ammaccate da sassi, da mattoni, le finestre sgangherate, diroccata la porta.

"Questa poi non è una bella cosa", disse Renzo tra sé: "se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne' pozzi?"

Ogni tanto, usciva dalla bottega qualcheduno che portava un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d'una gramola, una panca, una paniera, un libro di conti, qualche cosa in somma di quel povero forno; e gridando: - largo, largo, - passava tra la gente. Tutti questi s'incamminavano dalla stessa parte, e a un luogo convenuto, si vedeva. "Cos'è quest'altra storia?" pensò di nuovo Renzo; e andò dietro a uno che, fatto un fascio d'asse spezzate e di schegge, se lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada che costeggia il fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli scalini che c'erano, e da poco in qua non ci son più. La voglia d'osservar gli avvenimenti non poté fare che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta. Studiò poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso come per guida; voltò il canto, diede un'occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo della piazza. La gente era più fitta quanto più s'andava avanti, ma al portatore gli si faceva largo: egli fendeva l'onda del popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, arrivò con lui al centro della folla. Lì c'era uno spazio vòto, e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie degli attrezzi detti di sopra. All'intorno era un batter di mani e di piedi, un frastono di mille grida di trionfo e d'imprecazione.

L'uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il fumo cresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgon più forti. - Viva l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Moia la carestia! Crepi la Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!

Veramente, la distruzion de' frulloni e delle madie, la devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva. Però, senza essere un gran metafisico, un uomo ci arriva talvolta alla prima, finch'è nuovo nella questione; e solo a forza di parlarne, e di sentirne parlare, diventerà inabile anche a intenderle. A Renzo in fatti quel pensiero gli era venuto, come abbiam visto, da principio, e gli tornava ogni momento. Lo tenne per altro in sé; perché, di tanti visi, non ce n'era uno che sembrasse dire: fratello, se fallo, correggimi, che l'avrò caro.

Già era di nuovo finita la fiamma; non si vedeva più venir nessuno con altra materia, e la gente cominciava a annoiarsi; quando si sparse la voce, che, al Cordusio (una piazzetta o un crocicchio non molto distante di lì), s'era messo l'assedio a un forno. Spesso, in simili circostanze, l'annunzio d'una cosa la fa essere. Insieme con quella voce, si diffuse nella moltitudine una voglia di correr là: - io vo; tu, vai? vengo; andiamo, - si sentiva per tutto: la calca si rompe, e diventa una processione. Renzo rimaneva indietro, non movendosi quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva intanto consiglio in cuor suo, se dovesse uscir dal baccano, e ritornare al convento, in cerca del padre Bonaventura, o andare a vedere anche quest'altra. Prevalse di nuovo la curiosità. Però risolvette di non cacciarsi nel fitto della mischia, a farsi ammaccar l'ossa, o a risicar qualcosa di peggio; ma di tenersi in qualche distanza, a osservare. E trovandosi già un poco al largo, si levò di tasca il secondo pane, e attaccandoci un morso, s'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.

Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e stretta di Pescheria vecchia, e di là, per quell'arco a sbieco, nella piazza de' Mercanti. E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell'edifizio chiamato allora il collegio de' dottori, non dessero un'occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì per dire: ora vengo io, marmaglia.

Quella statua non c'è più, per un caso singolare. Circa cento settant'anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto. Così accomodata stette forse un par d'anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove. Chi l'avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva!

Dalla piazza de' Mercanti, la marmaglia insaccò, per quell'altr'arco, nella via de' fustagnai, e di lì si sparpagliò nel Cordusio. Ognuno, al primo sboccarvi, guardava subito verso il forno ch'era stato indicato. Ma in vece della moltitudine d'amici che s'aspettavano di trovar lì già al lavoro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche distanza della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star pronti a difendersi. A quella vista, chi si maravigliava, chi sagrava, chi rideva; chi si voltava, per informar quelli che arrivavan via via; chi si fermava, chi voleva tornare indietro, chi diceva: - avanti, avanti -. C'era un incalzare e un rattenere, come un ristagno, una titubazione, un ronzìo confuso di contrasti e di consulte. In questa, scoppiò di mezzo alla folla una maledetta voce: - c'è qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e a dare il sacco -. Parve il rammentarsi comune d'un concerto preso, piuttosto che l'accettazione d'una proposta. - Dal vicario! dal vicario! - è il solo grido che si possa sentire. La turba si move, tutta insieme, verso la strada dov'era la casa nominata in un così cattivo punto.
Capitolo XIII

Lo sventurato vicario stava, in quel momento, facendo un chilo agro e stentato d'un desinare biascicato senza appetito, e senza pan fresco, e attendeva, con gran sospensione, come avesse a finire quella burrasca, lontano però dal sospettar che dovesse cader così spaventosamente addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di galoppo la folla, per avvertirlo di quel che gli sovrastava. I servitori, attirati già dal rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi. Mentre ascoltan l'avviso, vedon comparire la vanguardia: in fretta e in furia, si porta l'avviso al padrone: mentre questo pensa a fuggire, e come fuggire, un altro viene a dirgli che non è più a tempo. I servitori ne hanno appena tanto che basti per chiuder la porta. Metton la stanga, metton puntelli, corrono a chiuder le finestre, come quando si vede venire avanti un tempo nero, e s'aspetta la grandine, da un momento all'altro. L'urlìo crescente, scendendo dall'alto come un tuono, rimbomba nel vòto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si senton forti e fitti colpi di pietre alla porta.

- Il vicario! Il tiranno! L'affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!

Il meschino girava di stanza in stanza, pallido, senza fiato, battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a' suoi servitori, che tenessero fermo, che trovassero la maniera di farlo scappare. Ma come, e di dove? Salì in soffitta; da un pertugio, guardò ansiosamente nella strada, e la vide piena zeppa di furibondi; sentì le voci che chiedevan la sua morte; e più smarrito che mai, si ritirò, e andò a cercare il più sicuro e riposto nascondiglio. Lì rannicchiato, stava attento, attento, se mai il funesto rumore s'affievolisse, se il tumulto s'acquietasse un poco; ma sentendo in vece il muggito alzarsi più feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da un nuovo soprassalto al cuore, si turava gli orecchi in fretta. Poi, come fuori di sé, stringendo i denti, e raggrinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta... Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia è costretta a indovinare. Fortuna che c'è avvezza.

Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato. E quantunque, per quella funesta docilità degli animi appassionati all'affermare appassionato di molti, fosse persuasissimo che il vicario era la cagion principale della fame, il nemico de' poveri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s'era subito proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata in cento modi. Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti: giacché, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento.

I magistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che accadeva, spediron subito a chieder soccorso al comandante del castello, che allora si diceva di porta Giovia; il quale mandò alcuni soldati. Ma, tra l'avviso, e l'ordine, e il radunarsi, e il mettersi in cammino, e il cammino, essi arrivarono che la casa era già cinta di vasto assedio; e fecero alto lontano da quella, all'estremità della folla. L'ufiziale che li comandava, non sapeva che partito prendere. Lì non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che stava a vedere. All'intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi, e di dar luogo, rispondevano con un cupo e lungo mormorìo; nessuno si moveva. Far fuoco sopra quella ciurma, pareva all'ufiziale cosa non solo crudele, ma piena di pericolo; cosa che, offendendo i meno terribili, avrebbe irritato i molti violenti: e del resto, non aveva una tale istruzione. Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra, e andare avanti a portar la guerra a chi la faceva, sarebbe stata la meglio; ma riuscirvi, lì stava il punto. Chi sapeva se i soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che se, in vece di romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra quella, si sarebber trovati a sua discrezione, dopo averla aizzata. L'irresolutezza del comandante e l'immobilità de' soldati parve, a diritto o a torto, paura. La gente che si trovavan vicino a loro, si contentavano di guardargli in viso, con un'aria, come si dice, di me n'impipo; quelli ch'erano un po' più lontani, non se ne stavano di provocarli, con visacci e con grida di scherno; più in là, pochi sapevano o si curavano che ci fossero; i guastatori seguitavano a smurare, senz'altro pensiero che di riuscir presto nell'impresa; gli spettatori non cessavano d'animarla con gli urli.

Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse.

- Oibò! vergogna! - scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole, alla vista di tant'altri visi che davan segno d'approvarle, e incoraggito dal vederne degli altri, sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore del quale era compreso lui. - Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulmini, e non del pane!

- Ah cane! ah traditor della patria! - gridò, voltandosi a Renzo, con un viso da indemoniato, un di coloro che avevan potuto sentire tra il frastono quelle sante parole. - Aspetta, aspetta! È un servitore del vicario, travestito da contadino: è una spia: dàlli, dàlli! - Cento voci si spargono all'intorno. - Cos'è? dov'è? chi è? Un servitore del vicario. Una spia. Il vicario travestito da contadino, che scappa. Dov'è? dov'è? dàlli, dàlli!

Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe sparire; alcuni suoi vicini lo prendono in mezzo; e con alte e diverse grida cercano di confondere quelle voci nemiche e omicide. Ma ciò che più di tutto lo servì fu un - largo, largo, - che si sentì gridar lì vicino: - largo! è qui l'aiuto: largo, ohe!

Cos'era? Era una lunga scala a mano, che alcuni portavano, per appoggiarla alla casa, e entrarci da una finestra. Ma per buona sorte, quel mezzo, che avrebbe resa la cosa facile, non era facile esso a mettere in opera. I portatori, all'una e all'altra cima, e di qua e di là della macchina, urtati, scompigliati, divisi dalla calca, andavano a onde: uno, con la testa tra due scalini, e gli staggi sulle spalle, oppresso come sotto un giogo scosso, mugghiava; un altro veniva staccato dal carico con una spinta; la scala abbandonata picchiava spalle, braccia, costole: pensate cosa dovevan dire coloro de' quali erano. Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si caccian sotto, se lo mettono addosso, gridando: - animo! andiamo! - La macchina fatale s'avanza balzelloni, e serpeggiando. Arrivò a tempo a distrarre e a disordinare i nemici di Renzo, il quale profittò della confusione nata nella confusione; e, quatto quatto sul principio, poi giocando di gomita a più non posso, s'allontanò da quel luogo, dove non c'era buon'aria per lui, con l'intenzione anche d'uscire, più presto che potesse, dal tumulto, e d'andar davvero a trovare o a aspettare il padre Bonaventura.

Tutt'a un tratto, un movimento straordinario cominciato a una estremità, si propaga per la folla, una voce si sparge, viene avanti di bocca in bocca: - Ferrer! Ferrer! - Una maraviglia, una gioia, una rabbia, un'inclinazione, una ripugnanza, scoppiano per tutto dove arriva quel nome; chi lo grida, chi vuol soffogarlo; chi afferma, chi nega, chi benedice, chi bestemmia.

- È qui Ferrer! - Non è vero, non è vero! - Sì, sì; viva Ferrer! quello che ha messo il pane a buon mercato. - No, no! - E qui, è qui in carrozza. - Cosa importa? che c'entra lui? non vogliamo nessuno! - Ferrer! viva Ferrer! l'amico della povera gente! viene per condurre in prigione il vicario. - No, no: vogliamo far giustizia noi: indietro, indietro! - Sì, sì: Ferrer! venga Ferrer! in prigione il vicario!

E tutti, alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare da quella parte donde s'annunziava l'inaspettato arrivo. Alzandosi tutti, vedevano né più né meno che se fossero stati tutti con le piante in terra; ma tant'è, tutti s'alzavano.

In fatti, all'estremità della folla, dalla parte opposta a quella dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio Ferrer, il gran cancelliere; il quale, rimordendogli probabilmente la coscienza d'essere co' suoi spropositi e con la sua ostinazione, stato causa, o almeno occasione di quella sommossa, veniva ora a cercar d'acquietarla, e d'impedirne almeno il più terribile e irreparabile effetto: veniva a spender bene una popolarità mal acquistata.

Ne' tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura. Ma per contrappeso, c'è sempre anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s'adoprano per produr l'effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senz'altro impulso che d'un pio e spontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci. Il cielo li benedica. In ciascuna di queste due parti opposte, anche quando non ci siano concerti antecedenti, l'uniformità de' voleri crea un concerto istantaneo nell'operazioni. Chi forma poi la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio accidentale d'uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite, tengono dell'uno e dell'altro estremo: un po' riscaldati, un po' furbi, un po' inclinati a una certa giustizia, come l'intendon loro, un po' vogliosi di vederne qualcheduna grossa, pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare e ad adorare, secondo che si presenti l'occasione di provar con pienezza l'uno o l'altro sentimento; avidi ogni momento di sapere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di gridare, d'applaudire a qualcheduno, o d'urlargli dietro. Viva e moia, son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi è riuscito a persuaderli che un tale non meriti d'essere squartato, non ha bisogno di spender più parole per convincerli che sia degno d'esser portato in trionfo: attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento; pronti anche a stare zitti, quando non sentan più grida da ripetere, a finirla, quando manchino gl'istigatori, a sbandarsi, quando molte voci concordi e non contraddette abbiano detto: andiamo; e a tornarsene a casa, domandandosi l'uno con l'altro: cos'è stato? Siccome però questa massa, avendo la maggior forza, la può dare a chi vuole, così ognuna delle due parti attive usa ogni arte per tirarla dalla sua, per impadronirsene: sono quasi due anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio, e farlo movere. Fanno a chi saprà sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore dell'uno o dell'altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità, per l'una o per l'altra parte.

Tutta questa chiacchierata s'è fatta per venire a dire che, nella lotta tra le due parti che si contendevano il voto della gente affollata alla casa del vicario, l'apparizione d'Antonio Ferrer diede, quasi in un momento, un gran vantaggio alla parte degli umani, la quale era manifestamente al di sotto, e, un po' più che quel soccorso fosse tardato, non avrebbe avuto più, né forza, né motivo di combattere. L'uomo era gradito alla moltitudine, per quella tariffa di sua invenzione così favorevole a' compratori, e per quel suo eroico star duro contro ogni ragionamento in contrario. Gli animi già propensi erano ora ancor più innamorati dalla fiducia animosa del vecchio che, senza guardie, senza apparato, veniva così a trovare, ad affrontare una moltitudine irritata e procellosa. Faceva poi un effetto mirabile il sentire che veniva a condurre in prigione il vicario: così il furore contro costui, che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse preso con le brusche, e non gli avesse voluto conceder nulla, ora, con quella promessa di soddisfazione, con quell'osso in bocca, s'acquietava un poco, e dava luogo agli altri opposti sentimenti, che sorgevano in una gran parte degli animi.

I partigiani della pace, ripreso fiato, secondavano Ferrer in cento maniere: quelli che si trovavan vicini a lui, eccitando e rieccitando col loro il pubblico applauso, e cercando insieme di far ritirare la gente, per aprire il passo alla carrozza; gli altri, applaudendo, ripetendo e facendo passare le sue parole, o quelle che a lor parevano le migliori che potesse dire, dando sulla voce ai furiosi ostinati, e rivolgendo contro di loro la nuova passione della mobile adunanza. - Chi è che non vuole che si dica: viva Ferrer? Tu non vorresti eh, che il pane fosse a buon mercato? Son birboni che non vogliono una giustizia da cristiani: e c'è di quelli che schiamazzano più degli altri, per fare scappare il vicario. In prigione il vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer! - E crescendo sempre più quelli che parlavan così, s'andava a proporzione abbassando la baldanza della parte contraria; di maniera che i primi dal predicare vennero anche a dar sulle mani a quelli che diroccavano ancora, a cacciarli indietro, a levar loro dall'unghie gli ordigni. Questi fremevano, minacciavano anche, cercavan di rifarsi; ma la causa del sangue era perduta: il grido che predominava era: prigione, giustizia, Ferrer! Dopo un po' di dibattimento, coloro furon respinti: gli altri s'impadroniron della porta, e per tenerla difesa da nuovi assalti, e per prepararvi l'adito a Ferrer; e alcuno di essi, mandando dentro una voce a quelli di casa (fessure non ne mancava), gli avvisò che arrivava soccorso, e che facessero star pronto il vicario, - per andar subito... in prigione: ehm, avete inteso?

- È quel Ferrer che aiuta a far le gride? - domandò a un nuovo vicino il nostro Renzo, che si rammentò del vidit Ferrer che il dottore gli aveva gridato all'orecchio, facendoglielo vedere in fondo di quella tale.

- Già: il gran cancelliere - gli fu risposto.

- È un galantuomo, n'è vero?

- Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva messo il pane a buon mercato; e gli altri non hanno voluto; e ora viene a condurre in prigione il vicario, che non ha fatto le cose giuste.

Non fa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer. Volle andargli incontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue spinte e gomitate da alpigiano, riuscì a farsi far largo, e a arrivare in prima fila, proprio di fianco alla carrozza.

Era questa già un po' inoltrata nella folla; e in quel momento stava ferma, per uno di quegl'incagli inevitabili e frequenti, in un'andata di quella sorte. Il vecchio Ferrer presentava ora all'uno, ora all'altro sportello, un viso tutto umile, tutto ridente, tutto amoroso, un viso che aveva tenuto sempre in serbo per quando si trovasse alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo anche in quest'occasione. Parlava anche; ma il chiasso e il ronzlo di tante voci, gli evviva stessi che si facevano a lui, lasciavano ben poco e a ben pochi sentir le sue parole. S'aiutava dunque co' gesti, ora mettendo la punta delle mani sulle labbra, a prendere un bacio che le mani, separandosi subito, distribuivano a destra e a sinistra in ringraziamento alla pubblica benevolenza; ora stendendole e movendole lentamente fuori d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo; ora abbassandole garbatamente, per chiedere un po' di silenzio. Quando n'aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano e ripetevano le sue parole: - pane, abbondanza: vengo a far giustizia: un po' di luogo di grazia -. Sopraffatto poi e come soffogato dal fracasso di tante voci, dalla vista di tanti visi fitti, di tant'occhi addosso a lui, si tirava indietro un momento, gonfiava le gote, mandava un gran soffio, e diceva tra sé: "por mi vida' que de gente!" - Viva Ferrer! Non abbia paura. Lei è un galantuomo. Pane, pane!

- Sì; pane, pane, - rispondeva Ferrer: - abbondanza; lo prometto io, - e metteva la mano al petto.

- Un po' di luogo, - aggiungeva subito: - vengo per condurlo in prigione, per dargli il giusto gastigo che si merita: - e soggiungeva sottovoce: - si es culpable-. Chinandosi poi innanzi verso il cocchiere, gli diceva in fretta: - adelante' Pedro' si puedes.

Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio; e con un garbo ineffabile, dimenava adagio adagio la frusta, a destra e a sinistra, per chiedere agl'incomodi vicini che si ristringessero e si ritirassero un poco. - Di grazia, - diceva anche lui, - signori miei, un po' di luogo, un pochino; appena appena da poter passare.

Intanto i benevoli più attivi s'adopravano a far fare il luogo chiesto così gentilmente. Alcuni davanti ai cavalli facevano ritirar le persone, con buone parole, con un mettere le mani sui petti, con certe spinte soavi: - in là, via, un po' di luogo, signori -; alcuni facevan lo stesso dalle due parti della carrozza, perché potesse passare senza arrotar piedi, né ammaccar mostacci; che, oltre il male delle persone, sarebbe stato porre a un gran repentaglio l'auge d'Antonio Ferrer.

Renzo, dopo essere stato qualche momento a vagheggiare quella decorosa vecchiezza, conturbata un po' dall'angustia, aggravata dalla fatica, ma animata dalla sollecitudine, abbellita, per dir così, dalla speranza di togliere un uomo all'angosce mortali, Renzo, dico, mise da parte ogni pensiero d'andarsene; e si risolvette d'aiutare Ferrer, e di non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto l'intento. Detto fatto, si mise con gli altri a far far largo; e non era certo de' meno attivi. Il largo si fece; - venite pure avanti, - diceva più d'uno al cocchiere, ritirandosi o andando a fargli un po' di strada più innanzi. - Adelante, presto, con juicio, - gli disse anche il padrone; e la carrozza si mosse. Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al pubblico in massa, ne faceva certi particolari di ringraziamento, con un sorriso d'intelligenza, a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e di questi sorrisi ne toccò più d'uno a Renzo, il quale per verità se li meritava, e serviva in quel giorno il gran cancelliere meglio che non avrebbe potuto fare il più bravo de' suoi segretari. Al giovane montanaro invaghito di quella buona grazia, pareva quasi d'aver fatto amicizia con Antonio Ferrer.

La carrozza, una volta incamminata, seguitò poi, più o meno adagio, e non senza qualche altra fermatina. Il tragitto non era forse più che un tiro di schioppo; ma riguardo al tempo impiegatovi, avrebbe potuto parere un viaggetto, anche a chi non avesse avuto la santa fretta di Ferrer. La gente si moveva, davanti e di dietro, a destra e a sinistra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a una nave che avanza nel forte della tempesta. Più acuto, più scordato, più assordante di quello della tempesta era il frastono. Ferrer, guardando ora da una parte, ora dall'altra; atteggiandosi e gestendo insieme, cercava d'intender qualche cosa, per accomodar le risposte al bisogno; voleva far alla meglio un po' di dialogo con quella brigata d'amici; ma la cosa era difficile, la più difficile forse che gli fosse ancora capitata, in tant'anni di gran-cancellierato. Ogni tanto però, qualche parola, anche qualche frase, ripetuta da un crocchio nel suo passaggio, gli si faceva sentire, come lo scoppio d'un razzo più forte si fa sentire nell'immenso scoppiettìo d'un fuoco artifiziale. E lui, ora ingegnandosi di rispondere in modo soddisfacente a queste grida, ora dicendo a buon conto le parole che sapeva dover esser più accette, o che qualche necessità istantanea pareva richiedere, parlò anche lui per tutta la strada. - Sì, signori; pane, abbondanza. Lo condurrò io in prigione: sarà gastigato... si es culpable. Sì, sì, comanderò io: il pane a buon mercato. Asi es... così è, voglio dire: il re nostro signore non vuole che codesti fedelissimi vassalli patiscan la fame. Ox! ox! guardaos: non si facciano male, signori. Pedro' adelante con juicio. Abbondanza, abbondanza. Un po' di luogo, per carità. Pane, pane. In prigione, in prigione. Cosa? - domandava poi a uno che s'era buttato mezzo dentro lo sportello, a urlargli qualche suo consiglio o preghiera o applauso che fosse. Ma costui, senza poter neppure ricevere il "cosa?" era stato tirato indietro da uno che lo vedeva lì lì per essere schiacciato da una rota. Con queste botte e risposte, tra le incessanti acclamazioni, tra qualche fremito anche d'opposizione, che si faceva sentire qua e là, ma era subito soffogato, ecco alla fine Ferrer arrivato alla casa, per opera principalmente di que' buoni ausiliari.

Gli altri che, come abbiam detto, eran già lì con le medesime buone intenzioni, avevano intanto lavorato a fare e a rifare un po' di piazza. Prega, esorta, minaccia; pigia, ripigia, incalza di qua e di là, con quel raddoppiare di voglia, e con quel rinnovamento di forze che viene dal veder vicino il fine desiderato; gli era finalmente riuscito di divider la calca in due, e poi di spingere indietro le due calche; tanto che, tra la porta e la carrozza, che vi si fermò davanti, v'era un piccolo spazio voto. Renzo, che, facendo un po' da battistrada, un po' da scorta, era arrivato con la carrozza, poté collocarsi in una di quelle due frontiere di benevoli, che facevano, nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due onde prementi di popolo. E aiutando a rattenerne una con le poderose sue spalle, si trovò anche in un bel posto per poter vedere.

Ferrer mise un gran respiro, quando vide quella piazzetta libera, e la porta ancor chiusa. Chiusa qui vuol dire non aperta; del resto i gangheri eran quasi sconficcati fuor de' pilastri: i battenti scheggiati, ammaccati, sforzati e scombaciati nel mezzo lasciavano veder fuori da un largo spiraglio un pezzo di catenaccio storto, allentato, e quasi divelto, che, se vogliam dir così, li teneva insieme. Un galantuomo s'era affacciato a quel fesso, a gridar che aprissero; un altro spalancò in fretta lo sportello della carrozza: il vecchio mise fuori la testa, s'alzò, e afferrando con la destra il braccio di quel galantuomo, uscì, e scese sul predellino.

La folla, da una parte e dall'altra, stava tutta in punta di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'attenzione generale creò un momento di generale silenzio. Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gridò: - pane e giustizia -; e franco, diritto, togato, scese in terra, tra l'acclamazioni che andavano alle stelle. Intanto quelli di dentro avevano aperto, ossia avevan finito d'aprire, tirando via il catenaccio insieme con gli anelli già mezzi sconficcati, e allargando lo spiraglio, appena quanto bastava per fare entrare il desideratissimo ospite. - Presto, presto, - diceva lui: - aprite bene, ch'io possa entrare: e voi, da bravi, tenete indietro la gente; non mi lasciate venire addosso... per l'amor del cielo! Serbate un po' di largo per tra poco. Ehi! ehi! signori, un momento, - diceva poi ancora a quelli di dentro: - adagio con quel battente, lasciatemi passare: eh! le mie costole; vi raccomando le mie costole. Chiudete ora: no; eh! eh! la toga! la toga! - Sarebbe in fatti rimasta presa tra i battenti, se Ferrer non n'avesse ritirato con molta disinvoltura lo strascico, che disparve come la coda d'una serpe, che si rimbuca inseguita.

Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla meglio. Di fuori, quelli che s'eran costituiti guardia del corpo di Ferrer, lavoravano di spalle, di braccia e di grida, a mantener la piazza vota, pregando in cuor loro il Signore che lo facesse far presto.

- Presto, presto, - diceva anche Ferrer di dentro, sotto il portico, ai servitori, che gli si eran messi d'intorno ansanti, gridando: - sia benedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza!

- Presto, presto, - ripeteva Ferrer: - dov'è questo benedett'uomo?

Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo portato da altri suoi servitori, bianco come un panno lavato. Quando vide il suo aiuto, mise un gran respiro; gli tornò il polso, gli scorse un po' di vita nelle gambe, un po' di colore sulle gote; e corse, come poté, verso Ferrer, dicendo: - sono nelle mani di Dio e di vostra eccellenza. Ma come uscir di qui? Per tutto c'è gente che mi vuol morto.

- Venga usted con migo, e si faccia coraggio: qui fuori c'è la mia carrozza; presto, presto -. Lo prese per la mano, e lo condusse verso la porta, facendogli coraggio tuttavia; ma diceva intanto tra sé: "aqui està el busilis; Dios nos valga!"

La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro, rannicchiato, attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un bambino alla sottana della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza vota, fanno ora, con un alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario; il quale entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo. Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso. La moltitudine vide in confuso, riseppe, indovinò quel ch'era accaduto; e mandò un urlo d'applausi e d'imprecazioni.

La parte della strada che rimaneva da farsi, poteva parer la più difficile e la più pericolosa. Ma il voto pubblico era abbastanza spiegato per lasciar andare in prigione il vicario; e nel tempo della fermata, molti di quelli che avevano agevolato l'arrivo di Ferrer, s'eran tanto ingegnati a preparare e a mantener come una corsìa nel mezzo della folla, che la carrozza poté, questa seconda volta, andare un po' più lesta, e di seguito. Di mano in mano che s'avanzava, le due folle rattenute dalle parti, si ricadevano addosso e si rimischiavano, dietro a quella.

Ferrer, appena seduto, s'era chinato per avvertire il vicario, che stesse ben rincantucciato nel fondo, e non si facesse vedere, per l'amor del cielo; ma l'avvertimento era superfluo. Lui, in vece, bisognava che si facesse vedere, per occupare e attirare a sé tutta l'attenzione del pubblico. E per tutta questa gita, come nella prima, fece al mutabile uditorio un discorso, il più continuo nel tempo, e il più sconnesso nel senso, che fosse mai; interrompendolo però ogni tanto con qualche parolina spagnola, che in fretta in fretta si voltava a bisbigliar nell'orecchio del suo acquattato compagno. - Sì, signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia guardia. Grazie, grazie, grazie tante. No, no: non iscapperà. Por ablandarlos. E troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io voglio bene a lor signori. Un gastigo severo. Esto lo digo por su bien. Una meta giusta, una meta onesta, e gastigo agli affamatori. Si tirin da parte, di grazia. Sì, sì; io sono un galantuomo, amico del popolo. Sarà gastigato: è vero, è un birbante, uno scellerato. Perdone, usted. La passerà male, la passerà male... si es culpable. Sì, sì, li faremo rigar diritto i fornai. Viva il re, e i buoni milanesi, suoi fedelissimi vassalli! Sta fresco, sta fresco. Animo; estamos ya quasi fuera.

Avevano in fatti attraversata la maggior calca, e già eran vicini a uscir al largo, del tutto. Lì Ferrer, mentre cominciava a dare un po' di riposo a' suoi polmoni, vide il soccorso di Pisa, que' soldati spagnoli, che però sulla fine non erano stati affatto inutili, giacché sostenuti e diretti da qualche cittadino, avevano cooperato a mandare in pace un po' di gente, e a tenere il passo libero all'ultima uscita. All'arrivar della carrozza, fecero ala, e presentaron l'arme al gran cancelliere, il quale fece anche qui un saluto a destra, un saluto a sinistra; e all'ufiziale, che venne più vicino a fargli il suo, disse, accompagnando le parole con un cenno della destra: - beso a usted las manos-: parole che l'ufiziale intese per quel che volevano dir realmente, cioè: m'avete dato un bell'aiuto! In risposta, fece un altro saluto, e si ristrinse nelle spalle. Era veramente il caso di dire: cedant arma togae; ma Ferrer non aveva in quel momento la testa a citazioni: e del resto sarebbero state parole buttate via, perché l'ufiziale non intendeva il latino.

A Pedro, nel passar tra quelle due file di micheletti, tra que' moschetti così rispettosamente alzati, gli tornò in petto il cuore antico. Si riebbe affatto dallo sbalordimento, si rammentò chi era, e chi conduceva; e gridando: - ohe! ohe! - senz'aggiunta d'altre cerimonie, alla gente ormai rada abbastanza per poter esser trattata così, e sferzando i cavalli, fece loro prender la rincorsa verso il castello.

- Levantese' levantese; estàmos ya fuera, - disse Ferrer al vicario; il quale, rassicurato dal cessar delle grida, e dal rapido moto della carrozza, e da quelle parole, si svolse, si sgruppò, s'alzò; e riavutosi alquanto, cominciò a render grazie, grazie e grazie al suo liberatore. Questi, dopo essersi condoluto con lui del pericolo e rallegrato della salvezza: - ah! - esclamò, battendo la mano sulla sua zucca monda, - que dirà de esto su excelencia, che ha già tanto la luna a rovescio, per quel maledetto Casale, che non vuole arrendersi? Que dirà el conde duque, che piglia ombra se una foglia fa più rumore del solito? Que dirà el rey nuestro señor, che pur qualche cosa bisognerà che venga a risapere d'un fracasso così? E sarà poi finito? Dios lo sabe. - Ah! per me, non voglio più impicciarmene, - diceva il vicario: - me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica nelle mani di vostra eccellenza, e vo a vivere in una grotta, sur una montagna, a far l'eremita, lontano, lontano da questa gente bestiale.

- Usted farà quello che sarà più conveniente por el servicio de su magestad, - rispose gravemente il gran cancelliere.

- Sua maestà non vorrà la mia morte, - replicava il vicario: - in una grotta, in una grotta; lontano da costoro.

Che avvenisse poi di questo suo proponimento non lo dice il nostro autore, il quale, dopo avere accompagnato il pover'uomo in castello, non fa più menzione de' fatti suoi.
Capitolo XIV

La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una fine così fredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla meglio. All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade del contorno erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si moveva insieme: era come quella nuvolaglia che talvolta rimane sparsa, e gira per l'azzurro del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in su: questo tempo non è rimesso bene. Pensate poi che babilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi particolari che aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso aveva fatto; chi si rallegrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrer, e pronosticava guai seri per il vicario; chi, sghignazzando, diceva: - non abbiate paura, che non l'ammazzeranno: il lupo non mangia la carne del lupo -; chi più stizzosamente mormorava che non s'eran fatte le cose a dovere, ch'era un inganno, e ch'era stata una pazzia il far tanto chiasso, per lasciarsi poi canzonare in quella maniera.

Intanto il sole era andato sotto, le cose diventavan tutte d'un colore; e molti, stanchi della giornata e annoiati di ciarlare al buio, tornavano verso casa. Il nostro giovine, dopo avere aiutato il passaggio della carrozza, finché c'era stato bisogno d'aiuto, e esser passato anche lui dietro a quella, tra le file de' soldati, come in trionfo, si rallegrò quando la vide correr liberamente, e fuor di pericolo; fece un po' di strada con la folla, e n'uscì, alla prima cantonata, per respirare anche lui un po' liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al largo, in mezzo all'agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini, recenti e confuse, sentì un gran bisogno di mangiare e di riposarsi; e cominciò a guardare in su, da una parte e dall'altra, cercando un'insegna d'osteria; giacché, per andare al convento de' cappuccini, era troppo tardi. Camminando così con la testa per aria, si trovò a ridosso a un crocchio; e fermatosi, sentì che vi discorrevan di congetture, di disegni, per il giorno dopo. Stato un momento a sentire, non poté tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli che potesse senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanto. E persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel giorno, che ormal, per mandare a effetto una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade, - signori miei! - gridò, in tono d'esordio: - devo dire anch'io il mio debol parere? Il mio debol parere è questo: che non è solamente nell'affare del pane che si fanno delle bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel che è giusto; bisogna andar avanti così, fin che non si sia messo rimedio a tutte quelle altre scelleratezze, e che il mondo vada un po' più da cristiani. Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne dev'essere la sua parte.

- Pur troppo, - disse una voce.

- Lo dicevo io, - riprese Renzo: - già le storie si raccontano anche da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamo, per esempio, che qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' in campagna, un po' in Milano: se è un diavolo là, non vorrà esser un angiolo qui; mi pare. Dunque mi dicano un poco, signori miei, se hanno mai visto uno di questi col muso all'inferriata. E quel che è peggio (e questo lo posso dir io di sicuro), è che le gride ci sono, stampate, per gastigarli: e non già gride senza costrutto; fatte benissimo, che noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon gastigo. E dice: sia chi si sia, vili e plebei, e che so io. Ora, andate a dire ai dottori, scribi e farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che canta la grida: vi dànno retta come il papa ai furfanti: cose da far girare il cervello a qualunque galantuomo. Si vede dunque chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma non se ne fa nulla, perché c'è una lega. Dunque bisogna romperla; bisogna andar domattina da Ferrer, che quello è un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'era contento di trovarsi con la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni che gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia. Bisogna andar da Ferrer, e dirgli come stanno le cose; e io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle; che ho visto io, co' miei occhi, una grida con tanto d'arme in cima, ed era stata fatta da tre di quelli che possono, che d'ognuno c'era sotto il suo nome bell'e stampato, e uno di questi nomi era Ferrer, visto da me, co' miei occhi: ora, questa grida diceva proprio le cose giuste per me; e un dottore al quale io gli dissi che dunque mi facesse render giustizia, com'era l'intenzione di que' tre signori, tra i quali c'era anche Ferrer, questo signor dottore, che m'aveva fatto veder la grida lui medesimo, che è il più bello, ah! ah! pareva che gli dicessi delle pazzie. Son sicuro che, quando quel caro vecchione sentirà queste belle cose; che lui non le può saper tutte, specialmente quelle di fuori; non vorrà più che il mondo vada così, e ci metterà un buon rimedio. E poi, anche loro, se fanno le gride, devono aver piacere che s'ubbidisca: che è anche un disprezzo, un pitaffio col loro nome, contarlo per nulla. E se i prepotenti non vogliono abbassar la testa, e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo, come s'è fatto oggi. Non dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad acchiappar tutti i birboni, prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè. Bisogna che lui comandi a chi tocca, e non solamente in Milano, ma per tutto, che faccian le cose conforme dicon le gride; e formare un buon processo addosso a tutti quelli che hanno commesso di quelle bricconerie; e dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera; e dire ai podestà che faccian davvero; se no, mandarli a spasso, e metterne de' meglio: e poi, come dico, ci saremo anche noi a dare una mano. E ordinare a' dottori che stiano a sentire i poveri e parlino in difesa della ragione. Dico bene, signori miei?

Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori. Un grido confuso d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta dell'udienza. Non mancaron però i critici. - Eh sì, - diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti avvocati -; e se ne andava. - Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi -. Renzo però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A rivederci a domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va bene. - E qualcosa si farà. - E qualcosa si farà.

- Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da povero figliuolo? - disse Renzo.

- Son qui io a servirvi, quel bravo giovine, - disse uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e non aveva detto ancor nulla. - Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e vi raccomanderò al padrone, che è mio amico, e galantuomo.

- Qui vicino? - domandò Renzo. - Poco distante, - rispose colui.

La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo della sua cortesia.

- Di che cosa? - diceva colui: - una mano lava l'altra, e tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio al prossimo? - E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra domanda. - Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?

- Vengo, - rispose Renzo, - fino, fino da Lecco.

- Fin da Lecco? Di Lecco siete?

- Di Lecco... cioè del territorio.

- Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.

- Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma... basta, qualche giorno si saprà; e allora... Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in fede mia, non ho voglia d'andar più lontano.

- No, no! venite dov'ho detto io, che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.

- Eh, sì; - rispose il giovine: - non sono un signorino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro. Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l'insegna della luna piena. - Bene; vi condurrò qui, giacché vi piace così, - disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.

- Non occorre che v'incomodiate di più, - rispose Renzo. - Però, - soggiunse, - se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere.

- Accetterò le vostre grazie, - rispose colui; e andò, come più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un cortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v'entrò col suo compagno. Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce. Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: "noi eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private". Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste era a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui. S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista ch'ebbe la guida, "maledetto!" disse tra sé: "che tu m'abbia a venir sempre tra' piedi, quando meno ti vorrei!" Data poi un'occhiata in fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: "non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò". Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.

- Cosa comandan questi signori? - disse ad alta voce.

- Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne subito in mente quella panca e quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide venir l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in faccia a Renzo. Questo gli mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -. E riempito l'altro bicchiere, lo tracannò in un sorso.

- Cosa mi darete da mangiare? - disse poi all'oste.

- Ho dello stufato: vi piace? - disse questo.

- Sì, bravo; dello stufato.

- Sarete servito, - disse l'oste a Renzo; e al garzone: - servite questo forestiero -. E s'avviò verso il cammino. - Ma... - riprese poi, tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in questa giornata.

- Al pane, - disse Renzo, ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza!

All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato!

- A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.

- Meglio, meglio.

- Ma, - soggiunse subito Renzo, - non vorrei che lor signori pensassero a male. Non è ch'io l'abbia, come si suol dire, sgraffignato. L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son pronto a pagarglielo.

- Bravo! bravo! - gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de' quali passò per la mente che quelle parole fossero dette davvero.

- Credono ch'io canzoni; ma l'è proprio così, - disse Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: - vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi -. E subito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: - da sé non vuol andar giù questo pane. Non ho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran gridare!

- Preparate un buon letto a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.

- Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.

- Sicuro, - rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero figliuolo, ma avvezzo alla pulizia.

- Oh, in quanto a questo! - disse l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.

- Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo davanti, e sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto?

L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.

- Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?

- Io fo il mio dovere, - disse l'oste, guardando in viso alla guida: - noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi in questa città... Son parole della grida.

Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo più contare. Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle gride.

- Dico davvero, - disse l'oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.

- Ah! ecco! - esclamò questo, alzando con una mano il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo poi l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: - ecco quel bel foglio di messale. Me ne rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella faccia d'ariano, con la corda al collo -. (In cima alle gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo Fernandez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola). - Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io; come dice in un altro foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano d'altri furfanti: perché se fosse solo... - e qui finì la frase con un gesto: - se un furfantone volesse saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.

L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: - ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perché questo è fesso -. Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: - senti, senti, oste, come crocchia.

Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno: e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.

- Cosa devo fare? - disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.

- Via, via, - gridaron molti di que' compagnoni: - ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova Oggi, legge nuova. In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.

- Ho fatto il mio dovere, - disse l'oste, forte; e poi tra se: "ora ho le spalle al muro". E prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.

- Porta del medesimo, - disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa città.

- Del medesimo, - disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. "Altro che lepre!" pensava, istoriando di nuovo la cenere: "e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie".

Renzo ringraziò la guida, e tutti quegli altri che avevan prese le sue parti. - Bravi amici! - disse: - ora vedo proprio che i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono -. Poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, - gran cosa, - esclamò, - che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna!

- Ehi, quel galantuomo di campagna! volete saperne la ragione? - disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.

- Sentiamo un poco, - rispose Renzo.

- La ragione è questa, - disse colui: - che que' signori son loro che mangian l'oche, e si trovan lì tante penne, tante penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.

Tutti si misero a ridere, fuor che il compagno che perdeva.

- To', - disse Renzo: - è un poeta costui. Ce n'è anche qui de' poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una vena anch'io, e qualche volta ne dico delle curiose... ma quando le cose vanno bene.

Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le cose più lontane dal loro legittimo significato! Perché, vi domando io, cosa ci ha che fare poeta con cervello balzano?

- Ma la ragione giusta la dirò io, - soggiunse Renzo: - è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi anche un'altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po' di... so io quel che voglio dire... - e, per farsi intendere, andava picchiando, e come arietando la fronte con la punta dell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir l'imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve smetter dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di giustizia.

Intanto alcuni di que' compagnoni s'eran rimessi a giocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano; altra gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare con la nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun affare in quel luogo; eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altro poco con Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tempo, correvano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo progetto. - Eh! se comandassi io, - disse, - lo troverei il verso di fare andar le cose bene.

- Come vorreste fare? - domandò Renzo, guardandolo con due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo un po' la bocca, come per star più attento.

- Come vorrei fare? - disse colui: - vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.

- Ah! così va bene, - disse Renzo.

- Ecco come farei. Una meta onesta, che tutti ci potessero campare. E poi, distribuire il pane in ragione delle bocche: perché c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente. Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane dal fornaio. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche. A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per... il vostro nome?

- Lorenzo Tramaglino, - disse il giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era tutto fondato su carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di raccogliere i nomi delle persone.

- Benissimo, - disse lo sconosciuto: - ma avete moglie e figliuoli?

- Dovrei bene... figliuoli no... troppo presto... ma la moglie... se il mondo andasse come dovrebbe andare...

- Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione più piccola.

- È giusto; ma se presto, come spero... e con l'aiuto di Dio.. Basta; quando avessi moglie anch'io?

- Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho detto; sempre in ragion delle bocche, - disse lo sconosciuto, alzandosi.

- Così va bene, - gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno una legge così?

- Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da un pezzo.

- Un altro gocciolino, un altro gocciolino, - gridava Renzo, riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosi, e acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per farlo seder di nuovo. - Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.

Ma l'amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un guazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo: - buona notte, - e se n'andò. Renzo seguitava ancora a predicargli, che quello era già in istrada; e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar davanti alla tavola il garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche affare da comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pronunzia lenta e solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse: - ecco, l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso, proprio da amico; ma non l'ha voluto. Alle volte, la gente ha dell'idee curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'ho fatto vedere. Ora, giacché la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a male -. Così detto, lo prese, e lo votò in un sorso.

- Ho inteso, - disse il garzone, andandosene.

- Ah! avete inteso anche voi, - riprese Renzo: - dunque è vero. Quando le ragioni son giuste...!

Qui è necessario tutto l'amore, che portiamo alla verità, per farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a un personaggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra storia. Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che aveva buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito, parte per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione d'animo, che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.

Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e l'altre in su, senza misura né regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare, e s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco, quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente difficile. Il pensiero, che s'era presentato vivo e risoluto alla sua mente, s'annebbiava e svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo essersi fatta aspettare un pezzo, non era quella che fosse al caso. In queste angustie, per uno di que' falsi istinti che, in tante cose, rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco. Ma di che aiuto gli potesse essere il fiasco, in una tale circostanza, chi ha fior di senno lo dica.

Noi riferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che mandò fuori, in quella sciagurata sera: le molte più che tralasciamo, disdirebbero troppo; perché, non solo non hanno senso, ma non fanno vista d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.

- Ah oste, oste! - ricominciò, accompagnandolo con l'occhio intorno alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta fissandolo dove non era, e parlando sempre in mezzo al chiasso della brigata: - oste che tu sei! Non posso mandarla giù... quel tiro del nome, cognome e negozio. A un figliuolo par mio...! Non ti sei portato bene. Che soddisfazione, che sugo, che gusto... di mettere in carta un povero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni figliuoli... Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone... per la ragione... Ridono eh? Ho un po' di brio, sì... ma le ragioni le dico giuste. Dimmi un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n'è vero? dico bene? Guarda un po' se que' signori delle gride vengono mai da te a bere un bicchierino.

- Tutta gente che beve acqua, - disse un vicino di Renzo.

- Vogliono stare in sé, - soggiunse un altro, - per poter dir le bugie a dovere.

- Ah! - gridò Renzo: - ora è il poeta che ha parlato. Dunque intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunque, oste: e Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto qui a fare un brindisi, e a spendere un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don...? Sto zitto, perché sono in cervello anche troppo. Ferrer e il padre Crrr... so io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de' galantuomini. I vecchi peggio de' giovani; e i giovani... peggio ancora de' vecchi. Però, son contento che non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da lasciarle fare al boia. Pane; oh questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni; ma... ne ho anche dati. Largo! abbondanza! viva!... Eppure, anche Ferrer... qualche parolina in latino... siés baraòs trapolorum... Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole giuste!... Là ci volevano que' galantuomini... quando scappò fuori quel maledetto ton ton ton, e poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve', allora. Tenerlo lì quel signor curato... So io a chi penso!

A questa parola, abbassò la testa, e stette qualche tempo, come assorto in un pensiero: poi mise un gran sospiro, e alzò il viso, con due occhi inumiditi e lustri, con un certo accoramento così svenevole, così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo un momento. Ma quegli omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso dell'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n'era tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di più era contadino. Si misero, or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con domande sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava di tutt'altro, ora rispondeva, ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito. Per buona sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.

Anonimo ha detto...

Ogni tanto io resto basito di fronte agli abissi di pochezza mentale che tutti (e, lo ripeto, tutti - membri dello staff in incognito od utenti inalberati) stanno dimostrando.
Però mi diverto a leggere certi commenti ed invito quindi a non far terminare questa discussione.

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Rispondiamo per Gradi:Intanto dico al signore che Parla di QI e intelligenza poi si nasconde dietro l'anonimato, di dare una ripassata alla grammatica, forse troppe sigle lo hanno un pò confuso.Sintassi e punteggiatura ..questi sconosciuti....
POi ...fermo restando che se io ho dato il numero di Carta Via Messaggio personale ad un mio familiare sono un pò grullo, questo non vuol dire che chi , in modo fraudolento, ha accesso al mio account debba poi approfittarne.
Io non so chi sia il colpevole, ma sarebbe ancora più grave se fosse stato uno con un bel pannello attivo sul mio account :-D
Sai benissimo chi sono e sai che quello che dico è verità. Come sai benissimo che c'è una mia denuncia firmata presso il comando si polizia postale..Il problema è che vi nascondete dietro i vostri Nick e mamma GF (Grande Truffatrice) vi copre.
Ma un giorno I GolacazzonSyrioIlTeutonicocanideRexMazucalaluna avranno una faccina :-D
Nel frattempo mi godo un pò le vostre solite mancate risposte a domande precise..ed il motivo è solo uno.
Ricordatevi..la mandria di BK fa le regole e poi se le aggiusta..tutto deve essere assolutamente a discrezione altrimenti non potrebbero fare quello che fanno..non hanno i mezzi.
Parlate in privato con alcuni dei loro Ex colleghi ne sentirete delle belle, se una spiata ai vostri PM vi sembra grave..bhe....hanno fatto di peggio..
Chiedete ai vari Wamoo, Qunnappa, Ranxerox, Devilman e decine di altri Pg che non hanno mai IMBROGLIATO ma si sono trovati bannati per aver dato della Zoccola ad una GO in privato ad un amico o aver detto sempre in Privato ad amici che parte dell' staff era da compatire perchè sembravano un branco di ritardati...Cos'è ci hanno intercettato??
:-D
Non commento il resto...mi pare che il livello qui stia diventando spaventosamente simile a quello del forum di BK..
PLS CACCIATE GLI STAFFI DALLA DISCUSSIONE ci abbassano la media :-D
Enjoy Q.
P.s. FIRMATEVI!!!

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

ma pensate a sto coglione che sta perdendo tutto sto tempo a fare copia e incolla.
Qualcuno potrebbe spiegargli che è inutile almeno che lui non sia l'amministratore del blog???
Ma con parole semplici mi raccomando..

Anonimo ha detto...

Compito difficile scovare gli utenti dai membri dello staff. Tutti si chiamano Anonimo.

Mi spiace solo non aver potuto leggere il commento sgrammaticato sul QI.

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

beh.. finito? si può continuare a discutere ed elencare chi ha avuto problemi SENSATI con i ban o devi ancora impedire di farci discutere come se fosse un segreto di stato? Attendo ancora una risposta alle mie domande. GRAZIE

Anonimo ha detto...

Visto che non lo conoscete ve lo posto per farvelo ricordare :
REGOLAMENTO DEL FORUM


1 PREMESSA

Questo regolamento è stato stilato al fine di tenere il forum il più leggibile edordinato possibile verso gli utenti che si avvicinano a questo mezzo di comunicazione per la prima volta.
Ogni violazione delle regole del Forum (questo regolamento generale e le regole speciali delle sottosezioni) può portare a un avvertimento, a una sospensione temporanea oppure ad un ban permanente. Gli amministratori del forum hanno il diritto di bannare gli account dal forum e in casi estremi anche dal gioco e da IRC.

L'interpretazione delle regole è unicamente affidata allo staff del forum.

Eccovi per cominciare un piccolo Piccolo dizionario del forum redatto per aiutarvi a capire meglio il linguaggio delle comunity virtuali ed a seguire un breve promemoria di quello che non si deve mai fare, se non si vuole ricevere un avvertimento/sospensione/ban.

FLAME – TROLL – INSULTI
MESSAGGI LESIVI PER LA COSCIENZA ALTRUI
SPAM – TOPIC SPAM – CROSSPOSTING - NECROPOSTING
CRITICHE ALLO STAFF – DISCUSSIONE BAN
SCAMBI ACCOUNT
LINK COMMERCIALI
RIAPERTURA DISCUSSIONI CHIUSE
COORDINATE – COMUNICAZIONI PRIVATE
MULTIACCOUNT SUL FORUM

FLAME – TROLL – INSULTI

FLAME sono toni troppo accesi che trascendono la civile conversazione, al limite dell’insulto. Anche comportamenti maleducati possono rientrare in questa categoria, tra cui le infrazioni alla netiquette.

Viene considerato INSULTO tutto ciò che viene scritto con il chiaro intento di arrecare offesa.

Viene visto come tale anche l’uso di insulti parzialmente o totalmente coperti da asterischi oppure offese storpiate nel vano tentativo di aggirare la regola.

TROLL è colui che provoca uno o più altri utenti per spingerli al flame o a insultare.
Spesso nelle segnalazioni queste tre categorie vengono segnalate solamente con il nome di FLAME.

Allo staff di moderazione spetta il compito di stabilire se si è verificata o meno una delle suddette infrazioni. Non viene considerata attenuante l’avere risposto a tono a chi ha commesso una di queste infrazioni.

MESSAGGI LESIVI PER LA COSCIENZA ALTRUI

Sono vietati nel forum messaggi osceni, volgari, diffamatori, di odio, minatori, sessuali, politici, religiosi o qualunque altro materiale che possa essere considerato LESIVO PER LA COSCIENZA ALTRUI. Vengono visti come tali anche messaggi rientranti nelle suddette categorie parzialmente coperti da asterischi o storpiati nel vano tentativo di aggirare la regola. Rispondere ad uno di questi messaggi con uno appartenente alla stessa categoria è perseguibile allo stesso modo del primo.

SPAM – TOPIC SPAM – CROSSPOSTING - NECROPOSTING

Vengono considerati SPAM tutti quei messaggi che non hanno alcuna attinenza con la discussione o che vengono considerati inutili ai fini della discussione. Inoltre un eccessivo ed inappropriato utilizzo di faccine,immagini e quote sarà considerato come lo stesso SPAM Rientra in tale categoria anche l’aprire o partecipare a discussioni prive di significato il cui scopo è il puro SPAM. Domande non chiare, risposte incomplete o sbagliate o già date da altri, sono considerate alla stessa stregua dello spam: non sono tollerati botta e risposta da esse causati.

Viene considerato TOPIC SPAM l’aprire più volte la stessa discussione nella stessa o in più sezioni, oppure l’aprire un alto numero di discussioni in uno stretto lasso di tempo. Anche aprire una discussione già aperta da altri può rientrare in questa casistica, pertanto si consiglia di cercare almeno nella prima pagina della sezione eventuali thread simili.

Il CROSSPOSTING è l’aprire una discussione per segnalare l’esistenza di un’altra e invitare la gente a seguirla.

Messaggi per pubblicizzare link di “caccia” per altri giochi (es. gladiatus, battleknight e metaldamage), verranno considerati alla stregua di spam, i link verranno editati e segnalati ai responsabili del gioco in questione, nel caso violassero le regole del gioco stesso

Il NECROPOSTING è l'azione di postare in una discussione il cui ultimo post è abbastanza datato nel tempo ed è espressamente vietato, sia dalla netiquette di rete sia dal regolamento di questo forum.

2. Account, Avvertimenti e Ban

2.1 Ogni Utente può registrare e usare un solo account. Registrazioni multiple e l'uso di più account può portare al ban di tutti gli account.

A seguito di comportamenti che infrangono il presente regolamento o quello specifico della sezione, possono essere assegnati gli avvertimenti, le sospensioni o i ban.

2.2 Dopo avere ricevuto il terzo avvertimento un account viene sospeso temporaneamente, per i recidivi il lasso di tempo aumenta. Non è possibile avere più di un account sul forum, indipendentemente da quanti account in gioco si posseggono. Il MULTIACCOUNT SUL FORUM viene punito con il ban definitivo. Se si hanno problemi di accesso con l’account, si contatta il board admin che provvede a risolverlo, non si crea un nuovo account ogni volta che si dimentica la password. In caso di ripetuta reiscrizione dopo il ban, non avendo sortito effetto il sistema di avvertimenti/ban del forum, le sanzioni verranno commisurate direttamente agli account di gioco

2.3 In casi estremi è possibile che un Utente venga sospeso o bannato in maniera permanente prima del raggiungimento del quarto avvertimento.

2.4 Gli avvertimenti e le sospensioni verranno notificate, le prime tramite segnalazione sul thread luogo dell'avvertimento e per pm, le seconde sempre sul thread e tramite mail. I ban verranno notificati per mail a discrezione dei Board Admin.

Avvertimento: serve a segnalare all’utente, ai moderatori e al board admin che l’utente è stato ripreso in precedenza. Una infrazione giudicata pesante o aggravata per qualche motivo, può portare all’avvertimento multiplo. In parole povere indica quanto manca ad una “vacanza forzata”. Gli avvertimenti vengono assegnati dai board admin e/o Supermoderatori su segnalazione dei moderatori o di propria iniziativa. Non decadono con il tempo, ma se la condotta rimane buona e non se ne accumulano altri, non avranno conseguenze.
Gli avvertimenti saranno notificati per mezzo di messaggio privato sul forum e sul topic incriminato. Non sono permessi thread sul forum per richiedere spiegazioni per i propri avvertimenti. Al quarto avvertimento scatta la sospensione.

Sospensione: è un periodo di allontanamento forzato dal forum, nel quale sarà possibile solamente leggere senza postare. L’attivazione di un altro account durante il periodo di sospensione, porterà all’immediato ban dell’account nuovo, di quello vecchio e di tutti gli eventuali account successivi. Normalmente il periodo di sospensione è di una settimana la prima volta e una settimana in più per ogni volta che si viene sospesi in seguito, ma in casi particolari può essere più corta o più lunga. Durante la sospensione l’indirizzo e-mail dell’account e la possibilità di ricevere messaggi vengono inibiti automaticamente. È compito dell’utente, se interessato, a riabilitarli dal pannello di controllo alla riattivazione dell’account. La notifica di sospensione viene fatta tramite e-mail.

Eccovi una descrizione dei periodi di sospensione

1 sospensione : 3 o 7 giorni (a seconda della gravita delle infrazioni)
2 sospensione : 14 giorni
3 sospensione : 21 giorni
4 sospensione : 28 giorni
5 sospensione : BAN permanente dell'account.


Ban: è l’allontanamento definitivo dal forum. Ogni successivo account riconducibile allo stesso utente riceverà senza preavviso e senza notifica il ban. In casi estremi viene bloccato l’indirizzo IP dell’utente, impedendogli di utilizzare il forum anche solamente in consultazione. Questa estrema misura viene presa quando l’utente risulta particolarmente refrattario al regolamento, con infrazioni giudicate estremamente gravi o multiaccount sul forum. Nel caso il ban non venga comunque rispettato, possono essere presi provvedimenti direttamente nei confronti dell'account o degli account di gioco, con ban che possono essere provvisori o definitivi.

2.5 Se si ritiene un provvedimento ingiusto, se ne può parlare con chi ha assegnato il provvedimento o con un suo diretto superiore (vedere anche le note in calce a questo regolamento). Questo deve essere fatto con toni civili e privatamente. Ogni altro modo non è concesso e verrà sanzionato di conseguenza. Ciò vale anche sia per i provvedimenti in gioco, sia per i provvedimenti nel forum.

CRITICHE ALLO STAFF – DISCUSSIONE BAN E PROVVEDIMENTI

Le CRITICHE ALLO STAFF devono essere portate avanti attraverso determinati canali privati. Le critiche sul forum verranno soppresse e punite, in quanto ritenute atte più a fomentare malcontento che a migliorare una situazione. Alla stessa stregua vengono considerate le DISCUSSIONI BAN E PROVVEDIMENTI in gioco o sul forum, che possono essere protratte per via privata dai singoli giocatori coinvolti con gli operatori, in quanto i particolari sono spesso informazioni riservate che non possono essere rese pubbliche.

L’iter per le critiche allo staff è rivolgersi al diretto superiore del membro del quale ci si lamenta.

Per lo staff del forum la gerarchia è MOD (moderatore) -> SMOD (super moderatore) -> BA (board admin o amministratore) -> CM (country manager).

Per lo staff di gioco la gerarchia è GO (game operator) -> SGO (super game operator) ->GA (game admin) -> CM (country manager).

Ogni critica portata sul forum a qualsiasi componente dello staff, a seconda della gravità e dei toni con la quale verrà espressa sarà punita con il BAN immediato dal forum, dal gioco (server presenti e server futuri) e dal chan ufficiale di BattleKnight.it


3. Comportamento sul forum

3.1 Postare contenuti o link porno, policamente estremi, immorali o materiale offensivo che può violare le leggi vigenti o ledere la coscienza altrui è proibito. Le sanzioni possono andare dal singolo avvertimento, fino alla sospensione o al ban permanente nei casi più gravi. La recidività è un'aggravante. Lo staff del forum ha il diritto e il dovere di censurare i contenuti in questione.

3.2 Postare chiavi, hacks, cracks, o altro materiale illegale, compreso le pagine di download illegale e warez. Infrazioni di questo tipo sono equiparabili a quelle del punto 2.1 e portano alle medesime sanzioni ed alle medesime azioni da parte dei moderatori.

3.2.1 Postare contenuti che non appartengono al thread o aprire thread non consoni alla sezione dove si trovano (Spammare ed andare OT) è indesiderato e può portare a un avvertimento ed alla chiusura/spostamento/rimozione del thread o del post incriminato. Unica eccezione a questo è la SpamBoard (a discrezione dei responsabili di sezione)

3.2.2 E' considerato spam anche i messaggi composti di sole faccine ed immagini, senza alcun commento.

3.2.3 E' vietato inoltre, postare immagini o quant'altro che rallenti in modo considerevole l'apertura della pagina, anche a chi non è dotato di una connessione veloce.

3.3 Postare nel forum degli exploit, cioè dei modi per aggirare il regolamento di gioco e del forum non è concesso. Tali metodi, quando scoperti, vanno comunicati privatamente allo staff che agirà di conseguenza.

3.4 Ripostare un argomento che è già stato chiuso è vietato. Se si vuole postare su quell'argomento si chiede privatamente al moderatore che l'ha chiuso di riaprire. La riapertura è a discrezione del moderatore.

Quando una discussione viene chiusa da un moderatore significa che viola in qualche modo le direttive. Se interessati alla riapertura della discussione, si contatta un moderatore della sezione o un suo superiore per discutere i motivi per la riapertura.

Ogni RIAPERTURA DI UNA DISCUSSIONE CHIUSA precedentemente con la creazione di un nuovo thread, senza l’autorizzazione di un moderatore, verrà sanzionata e il nuovo thread chiuso.

3.5 E' vietato scambiare account di gioco sul forum, com'è altresi vietato venderli o comprarli in qualunque luogo e modo. In caso di scambio e compravendita di account nel forum il thread sarà censurato e l'autore sarà avvertito nel caso di scambio, sospeso o bannato nel caso di compravendita commerciale. In caso di compravendita commerciale su piattaforme esterne al forum di BattleKnight, la cosa verrà segnalata alla GameForge che si riserva il diritto di agire legalmente verso chi compra o vende gli account.

A tal proposito si consiglia la lettura del thread specifico Termini di utilizzo del gioco che avete accettato quando avete creato un account di gioco.

3.6 Pubblicizzare e linkare altri browsergame è vietato sull'intero forum, incluso il sottoforum "PC e Giochi" . Collegamenti a giochi con l'obiettivo di contare ogni visitatore sono vietati e saranno censurati, e l'utente che li posta riceverà un avvertimento.

Unica eccezione fatta per i giochi della Game Forge

LINK COMMERCIALI E SIMILI

Non è permesso utilizzare il forum come piattaforma pubblicitaria. È quindi vietato pubblicizzare LINK COMMERCIALI sul forum, qualsiasi sia la loro natura, se non dietro concessione di un Board Admin. I link incriminati verranno immediatamente editati ed eliminati.
Saranno tollerati solo link utilizzati per hosting di immagini, video (che ovviamente non infrangano le norme generali), link esplicativi (es.wikipedia) e tutti quelli inerenti ai giochi della GF (fatta, ovviamente, eclusione dei link di reclutamento)
Anche link a contenuti ritenuti inadatti a questo forum verranno editati.

Altresi non dovranno essere postate proposte commerciali di nessun tipo anche se velate.

Questo non è forum commerciale e quindi non potete pensare di pubblicizzare servizi che voi o altri enti offrono, a scopo di lucro.

3.7 La lingua del forum è l'italiano.Si usa solo questa. Nessuna altra lingua sarà concessa se non in casi particolari che saranno decisi dagli amministratori, come altresì non è concesso l'utilizzo del linguaggio sms o la storpiatura VOLONTARIA di parole con k (ch) e simili !

3.8 Personificare un membro dello staff (nome, avatar, firma) può portare a un avvertimento o in casi estremi alla sospensione o al ban.

Rientrano in questa casistica anche i nick che somigliano in tutto o in parte a quelli dei componenti dello staff.
Verrà prima chiesto all'utente di cambiarlo e successivamente verrà modificato dallo staff.

3.9 Verrà sanzionato con la motivazione del backseat modding l'operato di coloro che, senza intervenire in maniera costruttiva e utile alla conversazione, procederanno a adottare atteggiamenti che impersonifichino membri dello staff del forum. Non intendiamo con questa dicitura penalizzare coloro che provvedono a aiutare la risoluzione di dubbi o a chiarire le modalità del gioco ai nuovi utenti (atteggiamento altamente consigliato e richiesto), ma solo quanti assumono un comportamento da MOD/SMOD/BA che a loro non compete"

3.10 Non è permesso postare per conto di persone bannate. Chi viola questa regola, prende un avvertimento. Unica eccezione può essere fatta per i thread di addio (previa approvazione del Board Admin).

3.11 E' vietato inoltre postare nel forum stralci di conversazioni private fra due o piu' utenti, senza il consenso esplicito di tutti i partecipanti alla suddetta conversazione.

3.12 Per presentarvi alla comunità ed ai giocatori di Battleknight dovete obbligatoriamente usare il topic Presentatevi alla Comunità

Ogni altro topic di presentazione verrà immediatamente chiuso.


4. Firme e avatar degli utenti

4.1 Come per i messaggi, non è consentito utilizzare firme e/o avatar di carattere osceno, volgare,a fini diffamatori, di odio, per minaccia, di natura sessuale, politica, religiosa o qualsivoglia altro argomento che possa palesemente ledere la coscienza altrui.

4.2 Le dimensioni massime consentite per le immagini in firma sono 200 px di altezza, 600 px di larghezza e 75 kb di peso. Per gli avatar invece le dimensioni massime consentite sono 150 px in altezza, 150 px in larghezza e 30 kb di peso. E' consentito inoltre avere una ed una sola immagine in firma.

4.3 A chi userà firme e/o avatar non consentiti dai punti 4.1 e 4.2 lo staff disabiliterà e/o editerà firme e/o avatar, eventualemnte assegnando avvertimenti e sanzioni via via crescenti per i recidivi.

5 Note

I seguenti argomenti sono da discutere ESCLUSIVAMENTE con gli amministratori del forum e solo ed esclusivamente con essi:
- Ban per la firma
- Richieste di sban
- Cambio dell'User Title o del Nick Name.
- Lamentele sui SuperModeratori
In caso di lamentele sui moderatori, rivolgersi prima a uno SuperModeratore

Lo Staff si riserva il diritto di modificare le regole in qualsiasi momento e senza preavviso.

L'utilizzo del forum è un privilegio e non un diritto.
Gli amministratori si riservano il diritto di agire nel modo che ritengono più opportuno per far si che il forum funzioni correttamente

Ricordiamo che lo staff di questo forum è composto di membri della community volontari che si offrono di vigilare affinchè i toni non trascendano mai quello che è considerato rispetto reciproco e di tranquillo confronto.

Il forum, inoltre, è un servizio che un privato mette a disposizione del pubblico gratuitamente a determinate condizioni (vedi termini e condizioni). Non è una dittatura, non vige politica fascista, comunista, nazista o tantomeno democratica. Il fornitore del servizio decide i termini nei quali lo concede e le persone a cui lo concede. Se una discussione sul forum non è concessa o un determinato linguaggio non è tollerato, non si può invocare la libertà di parola, in quanto non è assolutamente pertinente al caso.

Eventuali infrazioni al regolamento o comportamenti contrari a questa linea di pensiero potranno essere puniti con avvertimenti, sospensioni e ban sia dal FORUM che dal GIOCO

Anonimo ha detto...

E poi c'è anche questo che voi tutti non leggete ma accettate:
Premessa al Regolamento di Gioco

Lo Staff di Battleknight.it ricorda che l'utenza è obbligata ad accettare e rispettare i Termini di utilizzo e Condizioni prima di registrare il proprio account.
Altresì l'utente accetta di seguire e rispettare i Termini di utilizzo e Condizioni ad ogni Login nel proprio account.
Nei Termini di utilizzo e Condizioni è scritto all'articolo II del paragrafo §5 che ogni utente di Battleknight.it è tenuto ad osservare e rispettare le Regole del Gioco. Le Regole del Gioco sono contenute nel Regolamento di Gioco. Ciò che segue È il Regolamento di gioco che l'utente è tenuto, da parte di sé stesso medesimo, a conoscere, seguire e rispettare.
Ogni violazione, consapevole o meno, del Regolamento del Gioco può portare al ban, permanente o temporaneo, del proprio account di gioco e, in casi estremi, al ban da tutti i server di Battleknight.it, dal Forum di Battleknight.it e da iRC da parte degli Amministratori di Gioco.
Le sanzioni possono essere applicate dallo Staff di Gioco anche senza alcun avvertimento preventivo.
L'interpretazione delle Regole è unicamente affidata allo Staff del Gioco, quindi, se avete dubbi, chiedete.
Si fa inoltre presente che tra i privilegi dell'account premium NON c'è quello di avere un Regolamento di Gioco diverso: premium o non premium, il Regolamento di Gioco è UNICO per tutti ed è applicato indistintamente, senza eccezioni od occhi di riguardo.
Quella che segue è la legge di Battleknight.it. La legge non ammette ignoranza.



Regolamento Internazionale di Gioco - Battleknight



Ogni giocatore accetta i Termini e le Condizioni di gioco di Battleknight.it al momento della sua registrazione. Ogni violazione alle regole di gioco può causare un ban temporaneo o l'esclusione dal gioco. Un'esclusione dal gioco può essere estesa da un Amministratore di Gioco a tutte le offerte connesse a Battleknight, cioè i server di gioco, il Forum di supporto e il canale iRC #Battleknight.it


I. Account
A ogni giocatore è permesso l'utilizzo di un unico account per ogni server. L'account sarà assegnato al possessore dell'indirizzo email segnalato all'iscrizione.


II. Account Sharing
Ogni account è creato per essere gestito da un'unica persona, solo il sitting è l'unica eccezione alla regola


III. Account Sitting
L'operatore responsabile del rispettivo server deve essere avvertito almeno tre giorni prima che il sitting inizi. Il sitting deve essere conforme alle seguenti regole:

1. Un account può essere sittato per un massimo di 14 giorni continuativi
2. Solo un account per persona e per server possono essere sittati allo stesso momento. Colui che riceve il sitting e colui che lo effettua possono giocare nello stesso server.
3. Non può essere effettuato alcun sitting su un account sittato sino a una settimana prima. Un'eccezione può essere fatta per giudizio e valutazione dell'Operatore di Gioco
4. A colui che effettua il sitting non è permesso cancellare o modificare alcun dato del giocatore che sta sittando, ad esempio email o password, e non può nè cancellare nè modificare le caratteristiche dell'account
5. Usare il mercante è permesso. In caso di investimento sbagliato o di perdita oggetti durante il sitting, il titolare dell'account non ha diritto a chiedere un risarcimento.


IV. Assenza per lungo tempo
In caso di una lunga assenza dal gioco, il titolare di un account ha il permesso di scegliere un giocatore che possa effettuare un login una volta a mese, per evitarne la cancellazione. Un'assenza per lungo tempo deve essere comunicata a un Operatore di Gioco e può durare per 3 mesi continuativi.


V. Multiaccount
Secondo il presente regolamento, un giocatore può essere escluso dal gioco, se controlla più di un account nello stesso server. Il multiaccount può essere bannato senza alcun avviso preventivo. Se due o più account sono generalmente, occasionalmente, permanentemente utilizzati tramite la stessa linea telefonica (università, rete aziendale, rete scolastica, ecc) deve essere richiesto il permesso a un Operatore di Gioco, non ci sono eccezioni.


VI. Scambio account
Uno scambio account all'interno dello stesso server deve essere comunicato a un Operatore di Gioco.

Nessuna lamentela può essere fatta nei casi in cui i giocatori non cambiano il proprio indirizzo email dopo gli scambi account. Le uniche lamentele possono essere fatte solo dal proprietario degll'indirizzo email del account dato.

Una volta che un account cambi il proprio titolare, devono passare 28 giorni prima di un ulteriore scambio. Dopo che il nuovo titolare ne prende possesso ha 12 ore di tempo per modificare l'indirizzo email.


VII. Bugusing
Lo sfruttamento e l'utilizzo di bug e di errori di programma sono proibiti. Se un giocatore si accorge di un bug è tenuto a informare immediatamente l'Operatore di Gioco. Lo sfruttamento di un bug può causare un ban da parte dello staff di Gioco.


VIII. Script
Usare un programma come interfaccia tra un giocatore e il gioco è proibito. Ogni altra forma di informazioni generate automaticamente a vantaggio di un gruppo di giocatori con intenzioni fraudolente è ugualmente proibito. I pannelli di simulazione possono essere tollerati dall'amministrazione.


IX. Offese in Reallife
Esprimersi in modo da offendere o ferire una persona (giocatore, membro dello staff o responsabile della Game Forge) è strettamente proibito in gioco, sul forum e nei canali IRC e punito con il ban permanente da tutti i server.
La valutazione delle offese è affidata unicamente allo staff di gioco.


X. Spam
Ogni situazione intesa a saturare l'interfaccia di un utente con ogni mezzo è proibita. La richiesta di un giocatore di smettere di scrivere messaggi in gioco deve essere rispettata. Le circolari all'interno di un ordine non sono soggette a questa norma


XI. Abuso del pulsante di segnalazione
Abusare del pulsante di segnalazione al fine di interferire con il lavoro dello staff è proibito. Il pulsante di segnalazione può essere usato in caso di valutazione di messaggi arrivati in gioco. Una volta riportato, il messaggio non deve essere riportato di nuovo, per evitare incomprensioni.


XII. Contenuto
Il contenuto nei profili, nomi, messaggi, descrizioni, novità, nomi degli ordini, descrizioni degli ordini, messaggi degli ordini, che violino l'umana dignità della persona o la legge, o che incitino a violare la dignità di una persona o la legge, possono essere censurati e l'utente può essere bannato in maniera temporanea o permanente.
Non è permesso usare i nick di membri dello staff, di spacciarsi per loro, o di ricattare un altro utente con sanzioni dello staff, pena l'edit del nick e la sospensione permanente dal gioco.


XIII. Linguaggio
L'Italiano è il linguaggio ufficiale di tutti i server di Battleknight.it Usare altre lingue in messaggi in gioco, messaggi di ordine o in qualsiasi altra parte del gioco, sarà censurato e può causare il ban permanente.


XIV. Abuso delle regole e del loro aggiornamento
Ogni forma, modo o tentativo di prenderne profitto personale fraudolento dall'utilizzo delle regole del gioco e delle decisioni dello staff è proibito.


XV. Termini e Condizioni
I Termini e le Condizioni sono implementate da questo regolamento e devono essere rispettate.


XVI. Clausola Finale
Le parti del documento che risultano scorrette, non valide o incomplete non rendono il presente regolamento privo di effetto.




In particolare fate attenzione ai seguenti punti:

- Gli screenshot non saranno accettati come prova o come difese nei confronti di una violazione delle regole.

- Gli Operatori di Gioco devono essere contattati tramite email dall'email di iscrizione al gioco, per essere sicuri che le informazioni del titolare dell'account rimangano confidenziali.

- Le sanzioni di un Operatore non saranno discusse con un altro Operatore o con lo SGO senza aver contattato l'Operatore responsabile della sanzione.

- Cercare di evitare la sanzione ricevuta da un operatore contattando altri membri dello staff può essere sanzionato con il ban. Le lamentele non sono accettate.

- Un Operatore di Gioco potrà effettuare, all'interno di un account, tutti i controlli che riterrà apportuni per evitare che vengano infrante le regole del gioco

- In caso di furti di account lo staff di gioco è autorizzato a bloccare gli account in modo permanente.

- Inutile contattare un GO per ban altrui, nessuno vi darà informazioni e in cambio riceverete un ban, come scritto in questo thread: Cavalieri Serventi ed indomiti paladini

Anonimo ha detto...

Poi ci sono anche i TeC che tanto anche se giocate non avete mai letto :
Termini di contratto e condizioni d'uso



La società Gameforge Productions GmbH, Durmersheimer Strasse 55, 76185 Karlsruhe, HRB 701682 corte locale di Mannheim, alla quale da qui in poi ci si riferira con il nome di Gameforge, richiede che tutti gli utenti dei giochi della Gameforge Productions GmbH, leggano e accettino i seguenti Termini e Condizioni prima di registrarsi:

§1 Servizi
(I) Condizioni di partecipazione
Per partecipare a qualsiasi gioco della Gameforge, qualsiasi utente deve accettare i seguenti Termini e Condizioni. I Termini e le Condizioni si riferiscono principalmente, ma non esclusivamente tutti i servizi offerti dalla presenza online della Gameforge

(II) Responsabilità
La Gameforge cerca sempre di assicurare la disponibilita di tutti i servizi. Comunque, per cirostanze fuori dal nostro controllo, alcuni servizi possono non essere disponibili su richiesta. Per questo motivo, nessun utente può reclamare riguardo alla disponibilita dei servizi. La societa non puo essere ritenuta responsabile in qualsiasi caso per interruzione server, programmazione imperfetta ecc.
Il verificarsi di svantaggi per un utente causati da interruzioni server, programmazioni imperfette ecc. non da diritto all'utente di richiedere il ripristino dello stato del proprio account a prima dell'avvenimento.
Vedi anche il §8 di questi Termini e Condizioni che tratta i termini delle Responsabilita.


§2 Associazione
(I) Inizio dell'associazione
L'associazione inizia dopo che è stato registrato un account di gioco o su un forum.
L'utente deve utilizzare un indirizzo e-mail valido. La Gameforge si riserva il diritto di verificarne la validita in qualsiasi momento.

(II) Terminazione da parte dell'utente
L'associazione puo essere sciolta dall'utente cancellando l'account.
La cancellazione dei dati potrebbe subire ritardi per motivi tecnici.
Il trattamento dei dati personali è regolato dal §6.

(III) Terminazione da parte dela società
Nessun utente può rivendicare di prendere parte ad un servizio della Gameforge.
La societa si riserva il diritto di cancellare o bloccare gli accounts, di solito ma non esclusivamente in caso di violazione di questi Termini e Condizioni o delle regole del Gioco/Forum.
La gestione del progetto decide se un account deve essere cancellato.
Eventuali obiezioni possono essere avanzate solo verso la gestione del progetto. Non ci possono essere rivendicazioni legali che riguardino la terminazione di un account.

(IV) Rimborso
L'utente non ha diritto alla richiesta di rimborsi eccetto quando l'associazione sia stata sciolta dalla Gameforge e l'utente non abbia causato la terminazione con la violazione dei Termini e Condizioni, delle regole del Gioco/Forum o della legge.

(V) Varie
Se un account è finanziato da un utente, parzialmente o completamente, l'utente guadagna solo i diritti per i quali ha pagato (es. account liberi da pubblicita, utilizzo di un account, funzioni speciali) e non ha diritto di avanzare altre rivendicazioni.


§3 Contenuti / Responsabilità

La Gameforge fornisce una piattaforma che permette agli utenti di comunicare tra di loro. Gli utenti sono responsabili dei contenuti delle loro comunicazioni.
Sono proibiti contenuti pornografici, xenofobici, offensivi o qualsiasi altro contenuto illegittimo di cui la societa non può essere ritenuta responsabile. Violazioni possono portare alla cancellazione diretta o al blocco da alcuni o da tutti i servizi della Gameforge.


§4 Azioni proibite
(I) Azioni di manipolazione
Nessun utente ha il diritto di utilizzare qualsiasi azione, meccanismo o software in connessione con il(i) sito(i) che possa interferire con la funzione e lo sviluppo del gioco. Gli utenti non possono compiere azioni che causino uno stress irragionevole o eccessivo per le capacità tecniche. Gli utenti non possono bloccare, sovrascrivere o modificare il contenuto generato dalla direzione del progetto.

(II) Programmi proibiti
E' proibito caricare qualsiasi sito con altri programmi che non siano web browser. Tali programmi sono in particolare definiti "Bots" allo stesso modo di altre utilita che simulino, sostituiscano o suppliscano l'interfaccia web.
Lo stesso si applica a script e programmi completamente o parzialmente automatizzati che forniscono vantaggi rispetto agli altri utenti, funzioni di auto-aggiornamento e altri meccanismi integrati dei browser dal momento che queste sono azioni automatizzate.
E' proibito l'uso di strumenti o azioni che disabilitino la pubblicita, e non ha rilevanza alcuna se la publicita è bloccata di proposito o se è genericamete bloccata attraverso un pop-up-blocker, browser basati sul testo o altre funzioni simili. Le uniche eccezioni per quanto sopra riportato sono quelli che hanno esplicitamente ottenuto un permesso dalla Gameforge.

(III) Login diretti

Il login ad un account è permesso solo dalla pagina iniziale dei giochi. L'apertura automatica di un account, a prescindere dalla visualizzazione o meno della pagina iniziale, è proibita.


§5 Restrizioni
(I) Numero massimo di account
Tutti gli utenti concordano nell'utilizzare uno ed un solo account per server. Il comunemente definito "Multiaccount", i.e. utenti che non aderiscono a questo accordo, può essere cancellato o bloccato senza preavviso alcuno.

(II) Regole
Tutti i particolari sono contenuti nelle regole del gioco. Tutti gli utenti sono soggetti alle regole del gioco.

(III) Blocco degli utenti
Gli utenti possono essere bloccati temporaneamente o definitivamente a discrezione dei gestori.
Il blocco può interessare uno o tutti i servizi.


§6 Protezione dei dati
(I) Conservazione dei dati personali
La societa si riserva il diritto di conservare le informazioni personali degli utenti in modo da controllare che questi seguano le regole, i Temini e Condizioni e la legge.
Oggetto dell'immagazzinamento potranno essere indirizzo IP, l'indirizzo email registrato e - se disponibile - tutte le informazioni dal profilo utente che sono inserite volontariamente.
Nei forums i dati del profilo inseriti dall'utente, sono conservati.

(II) Trasmissione e utilizzo dei dati
La societa si riserva il diritto, in conformita con l'Atto Tedesco di Protezione delle Informazioni e tutti gli altri statuti legali, di rivelare informazioni personali alle autorita, avvocati e archivisti, se e finché necessario per la protezione degli interessi e dei diritti della societa stessa o per la protezione dei doveri legali delle autorita.
Oltre a ciò, i dati di un utente possono essere forniti a terze parti per scopi promozionali.

(III) Obiezione
L'utente può obiettare in qualsiasi momento all'immagazzinamento dati.
Dal momento che la partecipazione ai giochi richiede il salvataggio dei dati personali per ragioni tecniche, l'account dell'utente verrà cancellato alla ricezione dell'obiezione nel minor tempo possibile, a seconda della disponibilita tecnica.


§7 Diritti ddella società riguardo agli accounts
(I) Diritti generali
Tutti gli account, incluse le loro risorse, unità, ecc. sono oggetti virtuali del gioco. L'utente non ottiene la proprietà o qualsiasi altro diritto sull'account. Tutti i diritti sono riservati alla società. Nessun diritto, in particolare nessun diritto di sfruttamento, è assegnato all'utente.

(II) Proibizione dello sfruttamento
Senza un permesso scritto della società, è proibito concordare con terze parti riguardo al trasferimento, l'utilizzo o la fornitura di account o informazioni d'accesso.
In particolare, è proibito vendere account o risorse, o ottenere qualsiasi altro profitto dal lasciare account o risorse a terze parti. Lo stesso si applica alle informazioni di accesso, ai diritti di utilizzazione o a qualsiasi altro tentativo di evadere questa regolamentazione. Violazioni di queste regole o di altri diritti della società, in particolare copyrights, sarà riportato alle autorità e perseguito legalmente.

(III)Eccezioni
Non e' vietato trasferire definitivamente e gratuitamente l'account così come non è vietato lo scambio di risorse interne se e finchè è concesso dalle regole.


§8 Responsabilità

La società non è responsabile per qualsiasi danno causato dall'uso dei giochi della Gameforge, eccetto per danni causati intenzionalmente o da negligenza grossolana cosi come danni da morte o danni personali.
Per questo la Gameforge ricorda agli utenti che una partecipazione eccessiva a giochi per computer comporta il rischio di seri danni personali.


§9 Modifica dei Termini e Condizioni

La società si riserva il diritto di modificare o estendere questi Termini e Condizioni in qualsiasi momento.. Una modifica o estensione sarà pubblicata non meno di due settimane prima che le modifiche diventino effettive.


§10 Legge applicabile

La legge tedesca è esclusivamente applicabile per tutte le questioni legali riguardanti la Gameforge. Se differenti aree di giurisdizione sono applicabili, l'area di giuridizione è quella che governa la Gameforge. Nelle questioni legali internazionali le corti alla giurisdizione della Gameforge sono le uniche responsabili.



In aggiunta alle politiche sopra riportate, le seguenti regole si applicano per ogni azione di pagamento che concerne la partecipazione nel gioco.
(Pagamento - Termini e Condizioni)


A Pagamento
(I) Tipo di pagamento
I tipi di pagamento variano a seconda delle nazioni partecipanti, dei tipi di pagamento disponibili sul mercato e delle possibilità tecniche.


(II) Tipo di impegno
Se il pagamento è un pagamento una-tantum o è una sottoscrizione, dipende dal metodo di pagamento. Se è una sottoscrizione l'utente riceve un'ulteriore notifica. Durata e condizioni di estensione di una sottoscrizione dipendono dal tipo di pagamento e sono in ogni caso descritte nell'area di registrazione. I dettagli menzionati sono parte del contratto.


(III) Disponibilità

Il pagamento è disponibile per l'utente dopo il completamento dell'attivazione.
La raccolta del pagamento è fatta dal provider che è autorizzato per questo tipo di pagamento. Pagamenti successivi sono considerati disponibili fino alla scadenza del periodo pagato (inizio dell'estensione della sotoscrizione). La raccolta del pagamento può avvenire prima della scadenza affinchè il servizio possa essere usato senza interruzione.

(IV) Sovrapprezzo

Se il metodo di pagamento (credito telefonico, credito bancario) non contiene fondi sufficienti seguira poi una nota di debito.
A seguito di ciò c'è automaticamente un costo amministrativo addizionale di €10.00 per pagamento retrodatato a meno che l'utente non dimostri un diritto di risarcimento minore. Dopo un pagamento rifiutato con carta di credito il costo amministrativo è di €40.00. a meno che l'utente non dimostri un diritto di risarcimento minore. Fino a che il completo pagamento non sara ricevuto, l'utente è escluso dal gioco.

(V) Avvisi

Se ci sono arretrati di un pagamento un avviso sarà inviato all'indirizzo e-mail registrato all'account dell'utente. E' responsabilita dell'utente assicurare che questo indirizzo e-mail sia valido e vi si possa fare accesso.

(VI) Debito

Gli utenti sono anche considerati essere in debito, senza un avviso, se il pagamento non è stato ricevuto entro 14 giorni dopo l'attivazione del pagamento.

(VII) Recupero

In caso di mancato pagamento, un avviso (o in caso di ritardo nel pagamento) può essere inoltrato ad una ditta di recupero crediti con tutti i dati riguardanti l'utente. I costi incontrati da quel momento in avanti saranno a carico dell'utente.

(VIII) Importi insignificanti

Importi fino a €5.00 non saranno cercati dalla Gameforge e non potranno in alcun caso essere ordinati dall'utente.

B Revoca / terminazione
(I) Diritti di revoca
Non vi è diritto di revoca in particolare secondo § 312b III Nr. 6 BGB.


(II) Terminazione

Se il pagamento è stato fatto come una sottoscrizione, può essere terminato prima della conclusione di ogni periodo di sottoscrizione, questo deve avvenire almeno 15 giorni lavorativi prima della data d scadenza che è indicata nell'account di gioco. Se l'utente non cancella la sua sottoscrizione, la stessa viene prolungata automaticamente per un altro periodo. La Gameforge fornisce differenti modi per terminare la sottoscrizione a seconda del tipo di pagamento. L'utente riceve un messaggio che fornisce le informazioni ove trovare il sito web tramite il quale terminare la sottoscrizione. L'utente ha anche l'opportunità di riempire i forms presso http://support.gamepay.de per ottenere supporto. La terminazione di una sottoscrizione deve essere fatta indipendentemente dalla terminazione o cancellazione di un account.



C Protezione dei dati / integrazione di terze parti

La Gameforge si avvale dell'assistenza di terze parti per il completamento delle procedure di pagamento. Tutte le terze parti sono obbligate dalla legge a mantenere riservati i dati degli utenti. I dati dell'utente saranno inoltrati a terzi solo nel caso in cui l'utente non rispetti i suoi obblighi/responsabilità.

I dati che sono stati forniti durante la procedura di pagamento non saranno forniti a terzi in accordo col §6 di questi Termini e Condizioni. Più infomazioni sulla protezione dei dati possono essere trovati qui.



L'utente può contestare questi Termini e Condizioni entro 14 giorni dalla loro pubblicazione. Non è possibile, per motivi tecnici, prendere parte ad un gioco senza accettare i Termini e Codizioni per cui il contestare i Termini e le Condizioni durante il gioco, equivale ad una terminazione e conduce all'esclusione dal gioco. Si può dichiarare la contestazione dei Termini e Condizioni con la cancellazione dell'account.

Anche stavolta non avrete letto niente quindi potete continuare a postare boiate

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

Io sono la Ragione quindi chiedo: "Riassunto?"

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

"L'interpretazione delle Regole è unicamente affidata allo Staff del Gioco, quindi, se avete dubbi, chiedete."
infatti è quello che stiamo facendo e che sul forum dubbi di questo tipo non è possibil esprimere.


"Il forum, inoltre, è un servizio che un privato mette a disposizione del pubblico gratuitamente a determinate condizioni (vedi termini e condizioni). Non è una dittatura, non vige politica fascista, comunista, nazista o tantomeno democratica. Il fornitore del servizio decide i termini nei quali lo concede e le persone a cui lo concede. Se una discussione sul forum non è concessa o un determinato linguaggio non è tollerato, non si può invocare la libertà di parola, in quanto non è assolutamente pertinente al caso."

beh.. è come scrivere "Quel che tu e i tuoi discendenti riterrete giusto in terra, Io lo riterrò giusto nel Regno dei cieli" che per come la vedo io vuol dire "Pensatela come volete, nel forum fate come cazzo ci pare a noi e tutti zitti perchè se mi girano le balle di mattina vi banno tutti e rimango da solo.. w la democrazia"

insostanza.. è inutile che posti carte su carte di cui alcune neppure sul forum sono presenti.. riporta solo quello che è attinente all'argomento di cosa ti chiede la gente, già quell'utente che hanno bannato per presunta manipolazione di sistema l'ha già detto del contratto..

"1 sospensione : 3 o 7 giorni (a seconda della gravita delle infrazioni)
2 sospensione : 14 giorni
3 sospensione : 21 giorni
4 sospensione : 28 giorni
5 sospensione : BAN permanente dell'account."

non ti è stato chiesto di farci vedere quali sono i diversi tempi di ban ma invece ti è stato chiesto di far capire la maniera di come applichi le regole/ban che ancora in quelle carte non è definita.. mi è stato risposto con arroganza e maleducazione da parte di GO incompetenti, ho visto bannare gente che ha offeso tutta la mia famiglia, mi ha augurato la morte etc solo per 3 giorni quando invece solo perchè uno ha messo una foto di una in costume o perchè ha scritto un pezzo di una nota canzone nel profilo ha ricevuto 14 giorni... no dico.. riflettici su quello che fate, è normale se la gente si incazza perchè non c'è coerenza o meglio nn c'è un riferimento a riguardo.. ma tanto ci giri intorno e non dici nulla nonostante ti è stato chiesto 4 volte.. non è un fatto di rimborso o chissà quale richiesta... sono i ban ad essere applicati a sentimento.. se nn lo capisci ora penso che sei proprio di legno

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

"ho visto bannare gente che ha offeso tutta la mia famiglia, mi ha augurato la morte etc solo per 3 giorni quando invece solo perchè uno ha messo una foto di una in costume o perchè ha scritto un pezzo di una nota canzone nel profilo ha ricevuto 14 giorni"

non dire cazzate....

Anonimo ha detto...

sai qual'è il bello? che la cosa dei ban sopra è vera (successo in server 5 e 1) e non dico cazzate... le cazzate le fanno "loro" quando fanno queste cose.. potessero molti utenti cha hanno "smesso" di giocare raccontare la loro esperienza e raccontare con quanta arroganza e complesso di onnipotenza vi permettete di rispondere ai giocatori paganti... pensate ai vostri "ticket" vai, stiamo zitti pure su 'sta cosa.. la stessa gente che giudica e controlla si permette pure di giocare.. altro che conflitto di interessi..

Anonimo ha detto...

Non dirle tu le cazzate. I riferimenti di ban ci sono solo per determinate cose e non per tutte. Ergo si traduce in: se mi sati sul ca... ti banno per il tempo che mi pare e piace. Ma per favore evita di spararle grosse o per lo meno apri la finestra almeno escono subito fuori e si disperdono nell'aria.

Anonimo ha detto...

peccato che siate tutti utenti bannati per avere infanto + volte il regolamnto e che quindi venite qui solo per sputare cazzate dalle vostre bocche senza sapere MINIMAMENTE di cosa state parlando!!!

per ogni irregolarità c'è una punizione ben precisa e codificata...per ogni cosa c'è la durata obbligatoriamente da usare....

quindi non dite cazzate...se siete stati bannati è perchè avete infranto il regolamento....
e ora rosikate...hihi...

mamma mia...peggio dei bambini dell'asilo!!!

Anonimo ha detto...

"se siete stati bannati è perchè avete infranto il regolamento....
e ora rosikate...hihi..."
classica risposta da chi è preso da complesso di onnipotenza.. c'è gente che è stata bannata per manipolazione del sistema (vedi precedenti post) e nn ha fatto nulla, cosa peraltro riconosciuta anche da voi..

"peccato che siate tutti utenti bannati per avere infanto + volte il regolamnto"
R: errore io sto giocando tranquillamente, non ho mai preso neppure un ban e sto domandando con educazione una cosa che sul forum non posso domandare

"per ogni irregolarità c'è una punizione ben precisa e codificata...per ogni cosa c'è la durata obbligatoriamente da usare...."
R:allora perchè fai il misterioso e non la dici visto che gli altri te lo hanno chiesto come minimo 10 volte?

eh inutile, sono arrivato alla conclusione che questo confronto non serve a nulla, io sono convinto che molti vi direbbero anche chi sono ma tanto visti i "giochini" che vi divertite a fare tra voi allora fanno bene a non darvi i loro nomi o venire in chat a discutere per poi essere bannati solo per aver cercato un confronto costruttivo.. ma vi capisco, non siete abituati a confrontarvi in maniera paritaria senza essere arroganti perchè non siete abituati ad interagire educatamente ma soprattutto non sapete ascoltare le persone che cercano in pieno rispetto delle parti di togliervi il prosciutto dagli occhi, magari anche per il solo motivo di migliorare il servizio.. complimenti vi siete dimostrati i "soliti".. buona giornata

Anonimo ha detto...

Qualcuno ha scritto:

Meditate gente, meditate....

ha detto bene... meditate sul perchè siete stati bannati, meditate sul perchè esiste un regolamento (ops perchè esiste????), meditate sul perchè ci sono persone (così come forze dell'ordine in real) che lo fanno rispettare, meditate sul perchè pure su internet si sta diventando arroganti, presuntuosi e rivoluzionari, meditate sul perchè la GF tutela lo staff... mmh, forse perchè al mondo c'è gente come voi, che, pur non leggendo una benamata fava di quello che gl ista intorno crede di essere Dio in terra, crede di saperne di più, cerca di far parte dello staff solo per poi spifferare ai 4 venti che cosa????????

Ci tutela perchè gente che scrive qui non ha un cazzo di meglio da fare che lamentarsi con tutti degli errori commessi da loro stessi, gente che, crede di stare dalla parte della ragione nonostante abbia: insultato, minacciato, creato irregolaità in tutto il gioco in lungo in largo.

Ma vabbè la maggior parte degli italiani è così, fortuna che non lo sono tutti.

Spero che tutti gli organi competenti possano leggere queste buffonate, queste fandonie, queste ingiurie scitte da persone che non sanno nemmeno il cazzo di lavoro che c'è dietro per far andare tutto bene, tutto senza problemi, ma per chi mi chiedo io? Per una mandria di gente che tanto se ne fotte??

Ma sapete che vi dico, quello che avete scritto non mi tange nemmeno di striscio, persone meschine come voi, persone senza personalità (perdonate il gioco di parole), persone viziate che giocano con l'unico scopo non di divertirsi, ma di spaccare le palle a migliaia di altri utenti, perchè signori (ah ce ne sono qui???) parliamoci chiaro, se tutti voi che qui avete postato foste individui corretti, nemmeno il regolamento ci sarebbe, basterebbe una persona a gestire forum e gioco... invece...

Vabbè, di questa parole fatene ciò che volete, con la parte di utenza che va rispettata ci vediamo in board, con gli altri, via mail per i ban ricevuti GIUSTAMENTE.

Anonimo ha detto...

Rispondo al mio amico Qunnappa, [cit: ti stimo fratello]

ancora con questa storia della carta di credito.. io credo che tu ti sia inventato tutto, perchè altrimenti sai è molto facile risalire a chi è stato, se sono state comprate delle cose, bhe, dimmi dove, così ti evito tanta fatica se non corrispondono alle date/orari in cui posso essere stato io... facile no?

Beh evidentemente a te piacciono le cose cervellotiche, in quanto plurilaureato (e giochi a bk... non hai di meglio da fare.. ce l'ho io...)

Rispondo alle persone che vogliono sapere le durate dei ban etc. questi sono modus operandi di chi sta all'interno dello staff, sapete forse quanto sono le pene negli altri browsergame GF? (se li avete, postate i link qui, nel caso contatterò il CoMa (amicissimo di Qunnappa) e vedrò che posso fare.

Per tutti gli altri... beh signori, mi state arrovellando per un gioco, non ci venite a parlare di real, mi pare che lo staff non ha mai e dico MAI aperto forum, etc come quello che trovo qui... ma vabbè sarà di sicuro un caso...

Enjoy (posso usarla anche io???)

Gorlagor

Anonimo ha detto...

bravo Gorla, almeno ora che ti esponi, un intervento educato della controparte finalmente si vede.. ma non ci prendiamo per i fondelli: io so di ban x manipolazione del sistema ingiusti e sono d'accordo che molti bannati sono loro stessi e per primi nel torto ("chi è causa del suo mal.."), ma la cosa che cmq non capite è che se non ci fossero state delle "marachelle" ed una evidente incoerenza nella attribuzione dei tempi sui ban la gente non vi avrebbe chiesto mai queste cose.. è un buon tentativo di difesa ma non nascondetevi dietro le supercazzole come quelle che avete scritto, dai.. in fin dei conti si chiede solo un pò di trasparenza nell'applicazione del regolamento per una parte non "definita" alla luce del sole e che uno bannato possa riutilizzare i rubini acquistati magari riprendendo un pg dal livello 1 come fanno anche in altri browser game (letto in uno dei primi commenti).. poi se la gente si esprime come una bestia l'unico mezzo è non considerarli..

Anonimo ha detto...

Se è per questo vi sono anche casi di ban da parte di un GO per una cessione di account autorizzata oltre un anno fa proprio da lei Sig. Gorlagor. O sbaglio?

Anonimo ha detto...

io mi chiedo perchè la gente continui a scrivere senza prima aver almeno sbirciato i regolamenti....
bah...
se lo faceste sapreste che i ban di sistema sono ban dati direttamente dal sistema (come dice proprio la parola...) per tentate manipolazioni dello stesso....
e ora non fate i finti gnorri...
per manipolazioni di sistema si intende di solito inserire una stringa url per cercare di bypassare il sistema stesso...
es: uscire da una missione di gruppo, comprare dal mercante una arma per cui non si hanno abbastanza soldi o rubini...ecc.ecc...
sono tantissime le possibilità....
SI TRATTA CMQ SEMPRE DI ATTIVITà NON PERMESSE!!!!

per cui non fate i finti tonti: leggetevi i regolamenti!!!

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

Vorrei terminare e rispondere dicendo che io non sono un membro dello staff di Battleknight,sono solo un giocatore che gioca da anni in molteplici server e non è MAI STATO BANNATO vi siete chiesti il perchè?
Bha...

tomascy

Anonimo ha detto...

perché tu bravo e legge regolamenti e no spacca coglioni come quell'impotente di qunnappa o quel coglione di devilman

:]

Anonimo ha detto...

IO FACCIO LA CACCA 4 VOLTE AL GIORNO!!!

Anonimo ha detto...

io invece mi faccio le seghine 2 volte al giorno

Anonimo ha detto...
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RanXerox ha detto...

vi racconto come si fa
tempo fa sparí un 3D
il gran capo ne aprí uno dal titolo :"e la lista fece puff"
si riferiva alla lista di quelli che avevano subito sanzioni temporanee o definitive (ban- permaban)

Fin qui nessuno ci trova niente da dire, ma....

durante un perido di interdizione temporanea ai miei Account ... (critiche allo staff ecc eccc...)
arrivó alla GF una richiesta di rubini con pagamento telefonico riguardante appunto i miei account

si sa che la bolletta si paga dopo un mese ... per cui dopo un mese mi arrivó una comunicazione dalla GF nella quale mi si informava che mi chiudevano gli account per mancato pagamento dei succitati rubini.

non ho mai fatto un pagamento telefonico alla GF nn potrei ho fastweb con il blocco di certi numeri...ma nn avrei potuto comunque farlo in quanto in quel periodo non avevo accesso al mio account in quanto sotto ban temporaneo... si che é impossibile in quanto si deve essere loggati x poterlo fare... ma ....
tutti membri degli ordino a cui appertenevo ... vedevano il mio PG in modalitá "ON"
chi dunque si loggava e ordinava rubini telefonicamente al posto mio... inducendo in tal modo la GF a chiudere quell´account in modo "legale" ... ????
bhe... signori ... solo qualcuno dello staff
e questa fine l´hanno fatta in molti
io vorrei che adissero a vie legali x calunnia e diffamazione nei miei confronti ... ma nn lo fanno ..
nonostante le ripetute minacce che fanno a destra e a manca ... ancora niente e signori miei ...
non lo faranno mai ... hanno le mani sporche

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

A RanXerox... la cocaina e gli allucinogeni non giovano alla salute... Ma ti rendi conto delle puttanate che dici? E che sono dei paragnosti i membri dello staff? Ma dai su.... inventane una migliore, perchè manco il più lobotomizzato crederebbe ad una cazzata simile....

RanXerox ha detto...

intanto io parlo con cognizione di causa ,... oltre a ció ho tutte le mail ricevute dalla GF ... e nn ho mai fatto un pagamento ke nn fosse con PayPal,,,
quindi se tu usi allucinogeni .. azzi tua ... parla x te
io parlo di quello ke é successo a me ed é dokumentabile

Anonimo ha detto...

A Ranxerox, ti invito a darmi gli estremi dell'ordine di rubini, ma soprattutto l'IP dal quale sono stati ordinati.... Forza, dammi tutte queste info, d'altro canto sono stato io giusto??

Attento perchè se accusi senza sapere la verità, ti ritrovi a tua volta accusato..... presente il cane che si morde la coda??? (bravo)

Ban di sistema, ne avete più ricevuti??? Bene, forse il problema è stato sistemato, o no???
Giusto voi pensate che i ban di sistema (ovvero dove NON compare il nick di chi li fa) siano comunque nostri... beh ovvio... noi siamo il male, voi il bene..

Oh santa polenta che miriade di cazzate che mi tocca leggere....

RanXerox ha detto...

a gorlacoso
come sempre parli a vanvera
io nn ho fatto ordini di rubini e nn potevo farlo xké nn avevo accesso al mio account in quanto bantemporaneo
quindi nn so ne´l´importo e tantomeno la quantitá

ma il mio Pg risultava lo stesso "on"... ergo qualkuno dello staff si loggava e si sa ... xké mi avete cancellato anke le mie note nel profilo ... di cui poi tante scuse eccc.. ecc ...
e la posta intercorsa ci sta x dimostrarlo

e poi lo avete detto voi ke avevate potere di vita e di morte dei Pg
nn abbaiare al vento x niente piskelletto
denuncia, denuncia
hai pure i miei dati anagrafici
cosí salterá fuori anke ki ti sta sopra
bamboccio ke nn sei altro

ke cianci di sistemazione bug

ti mordo le palle a te altro ke la koda
e ti farai male

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RanXerox ha detto...

kisssá come mai ke qualke idiota ci aggiunge sempre una pergamena di cultura ... mha
e bhe qui siamo mika sul forum di BK
altrimenti vedi kome il guzzo o ki x lui ti avrebbe sazionato ... ha ha ha ha

RanXerox ha detto...

a gorlacoso
come sempre parli a vanvera
io nn ho fatto ordini di rubini e nn potevo farlo xké nn avevo accesso al mio account in quanto bantemporaneo
quindi nn so ne´l´importo e tantomeno la quantitá

ma il mio Pg risultava lo stesso "on"... ergo qualkuno dello staff si loggava e si sa ... xké mi avete cancellato anke le mie note nel profilo ... di cui poi tante scuse eccc.. ecc ...
e la posta intercorsa ci sta x dimostrarlo

e poi lo avete detto voi ke avevate potere di vita e di morte dei Pg
nn abbaiare al vento x niente piskelletto
denuncia, denuncia
hai pure i miei dati anagrafici
cosí salterá fuori anke ki ti sta sopra
bamboccio ke nn sei altro

ke cianci di sistemazione bug

ti mordo le palle a te altro ke la koda
e ti farai male

Anonimo ha detto...

Aiaiai mi sa che non sono solo i rumeni a volerti tagliar la gola. Prima o poi se continui a dir cazzate vedrai che qualcuno che lo farà veramente lo trovi. Non io ovviamente perchè sono contro la violenza ma chissà se magari qualche rumeno, albanese o qualsiasi altro da te bannato ingiustamente lo faccia veramente

Anonimo ha detto...

O Dio santo Ranx..lasciali stare

Non vedi come stanno messi?

1) NON conoscono la materia
2) stanno strippando per un piccolo blog di critiche(non ci sono abituati)
3) Massacrano di continuo la lingua italiana(Plz prendete Staffi che riescano ad usare un tempo verbale diverso dall'indicativo presente)
4) Continuano a postare regolamenti..che ormai sappiamo a memoria e dove non c'è scritto che firmandolo accettiamo di essere derubati
5) Ormai dovresti saperlo...sono dei poveracci che non hanno nient'altro

L'unica cosa che possiamo chiedergli e di lasciarci discutere senza mandarci i soliti imbecilli a rovinare i post

..ah ultima cosa..sto raccogliendo un pò di notizie da tutti gli ex staffi di BK...ci sarà da ridere

Anonimo ha detto...

Rispondo al mio amico Qunnappa, [cit: ti stimo fratello]

ancora con questa storia della carta di credito.. io credo che tu ti sia inventato tutto, perchè altrimenti sai è molto facile risalire a chi è stato, se sono state comprate delle cose, bhe, dimmi dove, così ti evito tanta fatica se non corrispondono alle date/orari in cui posso essere stato io... facile no?

Beh evidentemente a te piacciono le cose cervellotiche, in quanto plurilaureato (e giochi a bk... non hai di meglio da fare.. ce l'ho io...)

Rispondo alle persone che vogliono sapere le durate dei ban etc. questi sono modus operandi di chi sta all'interno dello staff, sapete forse quanto sono le pene negli altri browsergame GF? (se li avete, postate i link qui, nel caso contatterò il CoMa (amicissimo di Qunnappa) e vedrò che posso fare.

Per tutti gli altri... beh signori, mi state arrovellando per un gioco, non ci venite a parlare di real, mi pare che lo staff non ha mai e dico MAI aperto forum, etc come quello che trovo qui... ma vabbè sarà di sicuro un caso...
Enjoy (posso usarla anche io???)

Gorlagor

Ciao Gorlacazzone (anche io ti stimo e non ti dispiacerà se ti chiamo con il vezzeggiativo che ti abbiamo messo,ormai mi sono abituato sai :-D)

Ti rispondo per gradi:
1) Se ti ricordi bene....io non ti ho mai accusato del furto dei miei soldi..rileggiti le mie mail piano piano....ho solo detto che mi mancano e Bk era uno dei posti dove li avevo scritti incoscentemente
2) Se guardi i dati nazionali delle truffe telematiche e le percentuali di recupero del credito ti accorgerai che i numeri dicono che è RARISSIMO risalire e recuperare a fatto avvenuto.QUindi su che basi scientifiche basi la frase "è facilissimo risalire a chi è stato!"?? Come al solito mi vedo costretto a correggerti e farti notare che come al solito non conosci bene l'argomento di cui parli.

POi non vedo il nesso tra le mie lauree e il fatto di aver giocato a BK, se è per questo gioco anche a WOW, HAttrick, Warhammer, Sea Pirates...bhe?
Io gioco non sto a fare il cazzone a perdere tempo a bannare o a leggere come uno spione squallido i messaggi privati degli utenti.
Proprio perchè ho studiato forse ho più tempo libero di chi è costretto a mettersi la pettorina gialla sotto l'acqua per guadagnarsi da vivere..ergo non ti permettere più di fare commenti sulla mia vita privata in sedi non adatte come queste o mi vedo costretto ad essere offensivo e classista.
Per il resto..io non ho Amicissimi nella GF, quelli che ho se ne sono usciti presto e mi hanno raccontato un sacco di cose anche su di te ONESTISSIMO Gorlacazzone.
Perchè ti ripeto.Vi nascondete dietro il regolamento..che tu stesso hai infranto mettendo le mani nel mio pg(HO UNA TUA MAIL CHE LO ATTESTA E SE VUOI LA PUBBLICO) quando non potevi.
Ma non ti senti un uomo di merda ad aver letto miei messaggi privati ad amici e amiche che NIENTE avevano a che fare con il gioco , i ban la GF e altre cazzate del genere??? NON TI VERGOGNI????

Enjoy lo puoi usare tranquillamente..solo prima passa su google translate :-D

P.S. apprezza la buona volontà-...ti ho regalato 7 minuti di vita per rispondere
Q.

Anonimo ha detto...

"qualcuno" ha scritto:
"se lo faceste sapreste che i ban di sistema sono ban dati direttamente dal sistema (come dice proprio la parola...) per tentate manipolazioni dello stesso....e ora non fate i finti gnorri...
etcetc...
SI TRATTA CMQ SEMPRE DI ATTIVITà NON PERMESSE!!!!”
Allora ora rispondo io… FINTI GNORRI???? ora mi sono rotto.. ma te ne rendi conto che dici??? ma NON E' VERO NULLA CHE I BAN DI TENTATA MANIPOLAZIONE SONO SOLO PER QUELLO CHE DICI.. e quì non vado off-topic perchè i ban sono troppo strani: ma lo sai che io Fight Club ex-top15 nel server 5 sono stato permbannato dal sistema con tale giustificazione (tentata manipolazione del sistema) solo perchè:
1) uscito dall'ordine X
2) entrato nell'ordine Y
3) assoldato in guerra dall'ordine Y
4) uscito dall'ordine Y
5) ed appena rientrato nell'ordine X sono stato prontamente bannato dal sistema!!!!
..e tutto nel mentre ero in una missione da 30 min..!!! .. e non MI è MAI stata data una motivazione tecnica della cosa?
Chiunque tu sia, Gorlagor, LordSyrio, o uno dei suoi compagni.. ora scrivici pure un'altra cazzata vai, ti prego dimmi che queste azioni non sono regolari azioni di gioco o ATTIVITA NON PERMESSE.. oppure (in ottica matura di condividere l’esperienza tra giocatori/staff) dimmi che cosa io ho fatto di sbagliato così tutti possono imparare e non farlo... ma per favore..!!!! ma ti rendi conto che non ho fatto davvero nulla?? ma come ve lo devo spiegare se non sapete neppure voi come fare a capire se ho fatto qlcs di sbagliato o no??!!
e poi.. conosco il regolamento indi non ho ne mai provato a richiedere rimborsi ne scritto che è colpa vostra, io non ce l’ho con nessuno in particolare (anche se penso di aver visto molte cose strane in merito allo staff) ma leggere che cercate di disinformare gli altri non ci stò: io ho criticato il fatto che un giocatore PAGANTE, a cui succedono 'ste cose, non è per niente tutelato visto come vi siete rigirati la palla tra voi e la Germania (al 1mo indirizzo che mi ha dato Gorlagor: https://support.gamepay.de/) o quando non si degnavano di rispondere (al secondo indirizzo che mi ha dato Gorlagor della GF) e la vostra risposta è "non rispondono neppure a me in germania"........ eccheccazzo il problema è che l'unico canale di assistenza siete voi.. e mi dite che non potevate farci niente!!! ma te ne rendi conto??? tanto lo so che ora dici che sul forum c'era scritto che bla bla bla bla bla bla bla bla.. a me nn interessa se forse avete le mani legate da chi vi sta sopra di voi non avendomi potuto aiutare in maniera efficiente ma ciò non toglie il fatto che la situazione non è stata risolta ed io non avevo colpe e questo tipo di permban non mi ha permesso di usufruire dei 50 euro in rubini caricati 2 giorni prima.... mi dispiace e spero che le cose potranno migliorare ma la mia esperienza è questa e non può essere positiva qualunque cosa voi vi permettete di mettere in risalto.. e ci tengo MOLTO a raccontarla agli altri.. il vostro forte è che i players che ci buttano i soldi non smetteranno mai finchè “va tutto bene” mentre lo faranno solo quando succederanno cose come quella successa a me…
se ce la fate, prima di scrivere (con educazione si spera) tagliando quel coglione che scrive pezzi di libri per fermare questo confronto, leggete tutti i commenti e fatevene un’idea di che gioco è questo, ma soprattutto a 360gradi… quello che è successo a me forse potrebbe succedere anche a te che leggi… Meditate gente, meditate...

Anonimo ha detto...

"qualcuno" ha scritto:
"se lo faceste sapreste che i ban di sistema sono ban dati direttamente dal sistema (come dice proprio la parola...) per tentate manipolazioni dello stesso....e ora non fate i finti gnorri...
etcetc...
SI TRATTA CMQ SEMPRE DI ATTIVITà NON PERMESSE!!!!”
Allora… FINTI GNORRI???? ma te ne rendi conto che dici??? ma lo sai che io Fight Club ex-top15 nel server 5 fui permbannato dal sistema con tale giustificazione (tentata manipolazione del sistema) SOLO perchè:
1) uscito dall'ordine X
2) entrato nell'ordine Y
3) assoldato in guerra dall'ordine Y
4) uscito dall'ordine Y
5) ed appena rientrato nell'ordine X sono stato prontamente bannato dal sistema!!!!
..e tutto nel mentre ero in una missione da 30 min..!!! .. e non mi è MAI stata data una motivazione tecnica della cosa?
Chiunque tu sia, Gorlagor, LordSyrio, o uno dei suoi compagni.. ora scrivi un'altra fandonia vai, ti prego dimmi che queste azioni non sono regolari azioni di gioco o ATTIVITA NON PERMESSE.. oppure (in ottica matura di condividere l’esperienza tra giocatori/staff) dimmi che cosa io ho fatto di sbagliato così tutti possono imparare e non farlo... ma per favore..!!!! ma ti rendi conto che non ho fatto davvero nulla?? ma come ve lo devo spiegare se non sapete neppure voi come fare a capire se ho fatto qlcs di sbagliato o no??!!
e poi.. conosco il regolamento indi non ho ne mai provato a richiedere rimborsi ne scritto che è colpa vostra, io non ce l’ho con nessuno in particolare, ma sentire che scrivete e cercate di informare male gli altri non ci stò: io ho criticato il fatto che un giocatore PAGANTE a cui succedono 'ste cose non è per niente tutelato visto come vi siete rigirati la palla tra voi e la Germania (al 1mo indirizzo che mi ha dato Gorlagor: https://support.gamepay.de/) o quando non si degnavano di rispondere (al secondo indirizzo che mi ha dato Gorlagor della GF) e la vostra risposta migliore e rispolutiva in un mese di scambi email è stata quale.." mi dispiace ma non rispondono neppure a me".. cioè non rispondono nall'Amministratore del Gioco on Italia???!!!?!!!?? Eccheccazzo il problema è che l'unico canale di assistenza siete voi.. e mi dite che non potevate farci niente!!! ma te ne rendi conto??? tanto lo so che ora dici che sul forum c'era scritto che bla bla bla bla bla bla bla bla.. a me nn interessa se forse avete le mani legate da chi vi sta sopra di voi non avendomi potuto aiutare in maniera efficiente ma ciò non toglie il fatto che la situazione non è stata risolta ed io non avevo colpe e questo tipo di permban non mi ha permesso di usufruire dei 50 euro in rubini caricati 2 giorni prima.... mi dispiace e spero che le cose potranno migliorare ma la mia esperienza è questa e non può essere positiva qualunque cosa voi vi permettete di mettere in risalto.. e ci tengo MOLTO a raccontarla agli altri.. il vostro forte è che i players che ci buttano i soldi non smetteranno mai finchè “va tutto bene” mentre lo faranno solo quando succederanno cose come quella successa a me…
se ce la fate, prima di scrivere (con educazione si spera) tagliando quel coglione che scrive pezzi di libri per fermare questo confronto, leggete tutti i commenti e fatevene un’idea di che gioco è questo, ma soprattutto a 360gradi… quello che è successo a me forse potrebbe succedere anche a te che leggi… Meditate gente, meditate...

Anonimo ha detto...

@Ranxerox: come puoi leggere nelle sezione novità, più precisamente nel regolamento di gioco, è espressamente scritto che un GO, può entrare quando vuole nell'account di gioco di qualsiasi giocatore, quindi non vedo il problema; tu loggando accetti quello che c'è scritto, quindi...

AHahah, pischelletto... certo che ti diventri con poco, ti mordo le palle (oh mamma....), io dei tuoi dati anagrafici non me ne faccio una beneamata fava, dovreste denunciare voi la GameForge, non lo staff italiano ^^

"Aiaiai mi sa che non sono solo i rumeni a volerti tagliar la gola. Prima o poi se continui a dir cazzate vedrai che qualcuno che lo farà veramente lo trovi. Non io ovviamente perchè sono contro la violenza ma chissà se magari qualche rumeno, albanese o qualsiasi altro da te bannato ingiustamente lo faccia veramente"

Firmati o non parlare... semplice no? Uccidere o pestare per un ban in un browser game??? Ma uno psichiatra voi mai eh....

"1) NON conoscono la materia

Quale?

2) stanno strippando per un piccolo blog di critiche(non ci sono abituati)

Strippando per che cosa, io sono l'unic che posta e vi risponde=non vi va bene nemmeno così, manco voi sapete quello che volete... quindi...

3) Massacrano di continuo la lingua italiana(Plz prendete Staffi che riescano ad usare un tempo verbale diverso dall'indicativo presente)

Sai alle volte esistono degli errori di battitura, mai fatti?

4) Continuano a postare regolamenti..che ormai sappiamo a memoria e dove non c'è scritto che firmandolo accettiamo di essere derubati

Derubati? mi ricorda qualcosa questa parola.. vabbè... vai dai consumatori.

5) Ormai dovresti saperlo...sono dei poveracci che non hanno nient'altro "

TU invece che stai qui a postare sei pieno di cose da fare ovviamente.

..ah ultima cosa..sto raccogliendo un pò di notizie da tutti gli ex staffi di BK...ci sarà da ridere

Dai voglio ridere anche io.

@Q: chiamami come ti pare, come per Ranx, c'è chi si diverte con poco, divertitevi.

Tu hai accusato palesemente del furto di soldi dalla tua carta di credito... me o lo staff o chi per noi... devo rileggere, sicuro?

"Io gioco non sto a fare il cazzone a perdere tempo a bannare o a leggere come uno spione squallido i messaggi privati degli utenti.
Proprio perchè ho studiato forse ho più tempo libero di chi è costretto a mettersi la pettorina gialla sotto l'acqua per guadagnarsi da vivere..ergo non ti permettere più di fare commenti sulla mia vita privata in sedi non adatte come queste o mi vedo costretto ad essere offensivo e classista."

Invece, ovviamente tu, puoi tranquillamente fare commenti sulla mia, dato che sei... ehmm... aspetta... tu chi sei??? e che vuoi dalla mia vita?

"Perchè ti ripeto.Vi nascondete dietro il regolamento..che tu stesso hai infranto mettendo le mani nel mio pg(HO UNA TUA MAIL CHE LO ATTESTA E SE VUOI LA PUBBLICO) quando non potevi."

Stessa risposta che per Ranx, è tutto scritto.

"Ma non ti senti un uomo di merda ad aver letto miei messaggi privati ad amici e amiche che NIENTE avevano a che fare con il gioco , i ban la GF e altre cazzate del genere??? NON TI VERGOGNI????"

Sei sicuro che sia stato io a entrare nel tuo PG???

C'è altro a cui rispondere?

RanXerox ha detto...

facciamo un esempio

1) un tale enta in un bar e sta li a cazzeggiare
.. ergo .. uno decide di giocare a BK senza pagare e spende talleri d´argento ke nn valgono una mazza

2) il tale cui sopra decide di prendersi un caffé e lo ordina, il barsta gli kiede di pagare in anticipo un tot
... ergo ,,, il tale cui sopra decide di acquistare dei rubini e li paga in anticipo (soldi veri)

3) dopo un po il tale decide di prendersi una pastarella alla crema e di consumarla nel bar
ora star nel bar costa un cazz ma la pastarella 2 euri e paga anticipato
... ergo .... un paio di gambali da 10000 talleri e 70 rubini, talleri bk nn costan´cazz ma i rubini son soldi veri

4) il barsista da al cliente una crostatina alle mele oppure nn gli da niente
... ergo ... la GF intasca i soldi (tallericostan´cazz e euri veri) e nn gli da niente

5) il cliente guarda di traverso il barista e chiede spiegazioni
.. ergo ... mando una mail allo staff e chiedo ke succede

6) il barista. pur sapendo di aver giá intascato i 2 euri risponde : " da noi si fa cosí se nn ti sta bene vattene eppoi ci sta scritto alla porta ke nn si servono gli extracomunitari"... fine della discussione
... ergo ... lo staffo in questione risponde : "é un bug nn ci posso far niente eppoi se nn ti sta bene cambia gioco, ci sta scritto nel regolamento ke nn puoi contestar na mazza"

7) il cliente, ke aveva pagato in contanti alza un po la voce e il barista, x iutta risposta chiama i buttafuori coi cani e lo scaraventa sul marciapiedi lui e alri 4 cingalesi ke stavano x i cazzi loro in ultro tavolino i quali aveva tutti pagato regolarmente la consumazione
... ergo ... lo staffo banna tutti gli acco su 3 diversi server ... assolutamente regolari e "paganti"

------------

conclusione

a chiunque sarebbero girate le palle solo ke a BK nn si puó
tra l´altro nn si capisce xké i gioki online abbiano questa speciale delega sulle norme al consumo
cosí come nn puoi dire ad un extracomunitario "nn ti servo" nn si puó dire al cliente io faccio come mi pare
se gorla coso o ki x lui vuol decidere la sorte dei miei talleri contan´cazzo di BK x me va bene
lo status cambia nel momento in cui pago soldi veri

nn ke ci siano dei privilegi (posso multiaccountare o menate string) ... ma norme contrattuali tutelate dalla legge italiana

... ergo...
nn é ke se io compro una fiat al posto di una mercedes puoi dirmi : "cazzi tuoi"
se si rompe la frizione pagano tutti e 2 mercedes o fiat ke sia

RanXerox ha detto...

P.S. ... agorlacoso saccente....
all´epoca il regolamento nn lo prevedeva
e poi
sikkome tu sei il responsabile
sei responsabile x quello ke combina il tuo staff
nn sai che farci ??
denunciasmi ..
lo hai scritto tu in forum che adirai a vie legali
asoetto sulla sonda del fiume
e prima o poi passerá il tuo cadavere
(da Confucio ke la sapeva + lunga di te e di me messi assieme)
crogiolati nel tuo brodo.. come un polpetto inerte

RanXerox ha detto...

P.P.S.
a proposito
facevi tanto lo spiritoso nelle tue mail quando dovevi rispondere xké nn era l´indirizzo esatto
mna son 3 gg ke nn ricevo nulla anke se ti ho scritto kon la mail giusta
impegni...???
eh si .. immagino sia difficile superare la 3^media

Anonimo ha detto...

@Ranx, allora, nei T&C troverai scritto che pagando non hai privilegi se non per quello che stai pagando, dici di sapere il regolamento a memoria...

TU conosci la denuncia solo sotto forma di vado in una caserma dei carabinieri e poi ci vediamo in tribunale?? Beh, ok!!

Io rispondo quando sono on line e soprattutto quando leggo la mail, mi hai forse visto on line in questi giorni?? Non credo, quindi che parli a fa????

hahahaha, questa tra le alr cose sta diventando un OT immenso è Qunnappa e Ranxerox (al quale la GF o lo staff ha rotto il giocattolo) contro Gorlagor... compimenti, io avrò la terza media (che ne sai poi...) ma voi dall'alto delle vostre lauree potreste fare molto per l'Italia, ve ne state qui... io poi non ho un cazz da fare... bah, conoscete l'autocritica?

Ah giusto perchè tu ne sai più di me...

Se si spacca la frizione fiat o mercedes, non te la paga nessuno... è organo di usura... ;)

RanXerox ha detto...

tu devi avere dei problemi di lettura credo
1) .. io nn ho mai detto di conoscere i regolamenti a memoria

2) rispondi solo su quello ke ti fa comodo

3) la frizione é solo un esempio x far capire ai saccenti come te ke il rapporto fra cilente e consumatore é tutelato a tutti i livelli

4) ... adire a vie legali significa proprio questo ... inutile ke ci giri intorno .. aspetto una notifica
ora ke ti sei esposto pubblicamente
il nn farlo confermerebbe l´essere il coniglio ke sei

5) ... nn me ne puó fregar di meno se tu sei on o no.
il fatto stresso ke rispondi qui e nn nella tua area di competenza, dimostra quanto seriamente fai il tuo compito in BK x il quale sei preposto.
puoi kiamar giokattolo anke una maserati ... se uno se la compra son fatti suoi ... ma se tu gliela rompi, gliela ripaghi.

6) il regolamento BK nn é costituzionale ...
nn esiste nemmeno l´obsoleto "come visto piaciuto"
ad un pagamento bisogna correlare una prestazione
e tu nn puoi dire a uno ... nn te lo do + perche hai la faccia di kazzo dopo ke lo ha pagato
ci sta la restituzione del maltolto e una sanzione x aver commesso il fatto
e questo nn é xké lo diko io
pensa poi .. da una parte proibite di usare le string .. da un´altra dite come si fa ad usarla x uscire x esempio da una missione di gruppo
oibhó ... cos´é questa ...??... la legalizzazione di una truffa???
altra cosa
tutti e sottolinreo tutti i forum o le pagine internet hanno l´opzione "annulla l´iscrizione o cancella il tuo post)
il vs forum nn da ne l´una ne l´altra opzione
e addirittura si viene bannati dal forum se si prova a cancellarli
questo nn é legale caro il mio gorlacoso

bhe hai un po di tempo x studiare le contromosse

su spremiti un po e dai risposte sensate .. se nn qui .. le dovrai dare in tribunale .. hai promesso

Anonimo ha detto...

hahahaha, questa tra le alr cose sta diventando un OT immenso è Qunnappa e Ranxerox (al quale la GF o lo staff ha rotto il giocattolo) contro Gorlagor... compimenti, io avrò la terza media (che ne sai poi...) ma voi dall'alto delle vostre lauree potreste fare molto per l'Italia, ve ne state qui... io poi non ho un cazz da fare... bah, conoscete l'autocritica?

Ah giusto perchè tu ne sai più di me...

Se si spacca la frizione fiat o mercedes, non te la paga nessuno... è organo di usura... ;)


Ancora con sta storia delle Lauree Che LEI ha tirato in mezzo...??
Comunque continui come vedi a non rispondere su fatti molto precisi !!! Rileggiti..con Calma ...il mio Post e vedrai che ci sono molte cose che avresti potuto controbattere o spiegare ma non l'hai fatto..

Poi: La frase "potreste fare molto per l'Italia" fa molto ridere :-D cos'è sei in Libro Cuore Mode on? hahaha
Ripeto...il tempo libero è un lusso....come tante altre cose non tutti possono permetterselo..e io non sono S. Francesco (Santo Patrono dell'Italico Stivale credo :-D)quindi non salvo la patria.
Per la questione giocattolo informati....ma bene..
Avevo mollato effettivamente il game già da tempo (controlla acquisti, tempi di connessione etc..) stavamo solo facendo una transizione delle cariche quindi tranquillo...non ho nessun livore nei tuo confronti per questo.
Mi fa molto più schifo il guardone che con curiosità morbosa va a leggere TUTTI i messaggi anche quelli privati e personali di una persona .Messaggi che niente hanno a che vedere con Ban, giochi e regolamenti,.,Tanto è vero che sono stato bannato per aver dato della Zoccola ad una tua collega in un mess Privato con un compagno di gilda...Vero? Tu ne conosci ?

ah..."Organo di Usura????!!???"" AHAHAHAHHAH fa veramente ridere
Gorlacazzone che simpatico umorista
Con la stessa stima ricambio
Q.

Anonimo ha detto...

@Ranx, io che avrei promesso scusa?

Tu vuoi sta denuncia a tutti i costi.. bah... io coniglio? Diciamo che se tu ti senti truffato, perchè non farla tu per primo, se l'hai fatta, verso chi?

Comunque, io da studente di terza media serale, rispondo solo su quello per cui sono preparato, vogliate scusarmi se non so altro.

"tutti e sottolinreo tutti i forum o le pagine internet hanno l´opzione "annulla l´iscrizione o cancella il tuo post)
il vs forum nn da ne l´una ne l´altra opzione"

non è un forum pubblico, per quello contatta la germania, non venire a parlare con me, ho la terza media e soprattutto non mi occupo di forum.

Gentile e oneroso Q. mi rivolgo dandole del Lei:

"ah..."Organo di Usura????!!???"" AHAHAHAHHAH fa veramente ridere
Gorlacazzone che simpatico umorista"

hai mai letto la garanzia sulla tua auto? male, ci troverai tante cose che non sai....

"Tanto è vero che sono stato bannato per aver dato della Zoccola ad una tua collega in un mess Privato con un compagno di gilda"

Ma allora gentile Qunnappa, non era Ranxerox ad utilizzare quel personaggio, grazie, ora posso non rispondere dall'alto della mia terza media alla sua mail.

Possiamo finire e dar spazio a utenti che, forse vogliono avere info, non su vite private??

Grazie e buona giornata a entrambi.

RanXerox ha detto...

MENTI SPUDORATAMENTE !!!!!

io sono stato bannato dal forum xké volevo editare i miei ...
kiedi a maluna

ho 3 account in forum BK a cui nn posso accedere
xké voi li avete bannati ... nn io ..
e sikkome ci sono i miei dati ... dovrei anke avrene il copyright x quel forum ...
nn tu o uno dei tuoi collaboratori dei quali sei responsabile
caro il mio "generale d´armata" (si firma cosí lui)

parli a vanvera come sempre e ti cito ...
"TU conosci la denuncia solo sotto forma di vado in una caserma dei carabinieri e poi ci vediamo in tribunale?? Beh, ok!!"

nn hai dato risposte sullo string e nemmeno sul xké hai tempo di rispondere qui ma nn all´utenza BK

sei solo un farlocco
chiunque legge questa roba vede le tue contraddizioni

Anonimo ha detto...

Ma allora gentile Qunnappa, non era Ranxerox ad utilizzare quel personaggio, grazie, ora posso non rispondere dall'alto della mia terza media alla sua mail.

Possiamo finire e dar spazio a utenti che, forse vogliono avere info, non su vite private??

Grazie e buona giornata a entrambi.


1) Il personaggio in questione è quello del server 3 sempre e solo usato da me medesimo come ben sai..quindi non vedo di cosa vai farneticando.....

2) Mi fa ridere Organo di Usura che c'è di strano?? AH..non ho l'automobile soz....quindi nada libretto...

3)Non so se te ne sei accorto ma qui..parafrasando un famoso film...Non sei un Cazzo..ergo..non decidi cosa..a chi o dove scrivere e la gente se vuole spazio sa come prenderselo....Risparmiaci almeno qui i tuoi post inutili per favore.

4) Continui a glissare sul nucleo e il cuore pulsante degli appunti che ti ho fatto..
Qui si parla..bla bla bla..noi siamo corretti..noi abbiamo il regolamento..noi abbiamo qua...
Ma che ne pensiamo tutti di quelli che con la scusa del regolamento leggono cose che nulla hanno a che vedere con il game??
Capisco che c'è della patologia in questo e vanno curati..
Ma permetti caro Gorla che possa ritenere squallido e mediocre il personaggio che si macchia ai miei occhi di queste porcate?
Ripeto..se non provi vergoga per quello che hai fatto,...mi dispiace per te e non posso che provare compassione...
Con solidarietà umana
Q.

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